Cardiopatie, le storie di Piccoli Grandi Cuori

Tante le storie in prima persona pubblicate sul sito dell’associazione Piccoli Grandi Cuori, a testimonianza della volontà di non arrendersi alla malattia

Da quando è nato, Emanuele ha trascorso quasi 600 giorni in ospedale e oggi è in attesa di un trapianto cardiaco. Ha una diagnosi di ventricolo unico, con trasposizione dei grandi vasi, e nei suoi 37 anni di vita si è sottoposto a 6 interventi a cuore aperto, 14 cateterismi, 4 pacemaker e un’operazione Fontan (intervento chirurgico complesso, che consiste nel reindirizzare il flusso sanguigno venoso direttamente alle arterie polmonari, bypassando il cuore), che all’epoca si faceva dalla scapola. La sua storia, accanto a quella di altri pazienti con cardiopatie congenite, è stata pubblicata sul sito dell’associazione Piccoli Grandi Cuori, nata nel 1997 per volontà di un gruppo di genitori che si erano conosciuti nel Reparto di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna. Investigatore privato, bolognese, Emanuele frequenta fin dall’infanzia il reparto: “Lì dentro feci l’ultimo intervento a cuore aperto e la sera prima mi concessero di mangiare i tortelloni ripieni di ricotta di mia nonna, li prepararono nel cucinino. Avevo 9 anni, dopo i tortelloni mangiai ben 3 fette di salame. E oggi sono ancora qua”.

Emanuele è anche uno dei primi tesserati dell’associazione Piccoli Grandi Cuori, nata quando lui aveva 10 anni ed era stato già ricoverato varie volte al Sant’Orsola. Quando nel dicembre 2021 ha avuto un ictus, il suo migliore amico, medico del 118, gli ha salvato la vita. Prima ha chiamato la sua fidanzata Gaia, ma poiché parlava con una voce strascicata, lei ha messo giù il telefono pensando che fosse ubriaco. Invece erano i primi segnali dell’ictus: nella notte Emanuele si è sentito male e, cercando di prendere il telefono, è caduto e ha sbattuto la testa più volte. Per fortuna è riuscito a chiamare comunque il suo amico, che ha capito subito cosa stava accadendo e si è precipitato a soccorrerlo. Il segreto di Emanuele è vivere una vita piena, senza lasciarsi scoraggiare dalla malattia. Nel momento in cui ha rilasciato la sua testimonianza aveva una bambina piccola, avuta insieme a Gaia, ed era in attesa di trapianto. “Non penso mai a quando mi chiameranno per il trapianto: quando succederà allora ci penserò”, ha spiegato. “Ora voglio godermi la mia famiglia, mia figlia: lei ha risanato il mio cuore”.

Elisa ha subito 4 interventi cardiaci di cui l’ultimo a maggio 2024 e, oltre a essere una paziente, è anche una volontaria e una componente del direttivo di Piccoli Grandi Cuori. “Dedico il mio tempo all’associazione perché per me è una cosa naturale”, racconta. “Non ho scelto di farlo: è sempre stata parte della mia famiglia e della mia vita. Mi sento coinvolta in prima persona ed è una soddisfazione personale sapere di poter fare qualcosa di utile per gli altri”. Nonostante le difficoltà, Elisa si ritiene fortunata: lavora nell’ambito del marketing e della comunicazione per una multinazionale svizzera e, pur non facendo parte delle categorie protette, riesce a lavorare in ufficio senza affaticarsi troppo. Tuttavia, sottolinea come il lavoro e i diritti siano spesso una sfida per i pazienti: “Vorrei che le persone con cardiopatia congenita fossero tutelate e riconosciute, ma nel modo giusto: rispetto alla patente, al tema del lavoro e della maternità, che al momento per me non rappresenta un problema ma che per alcune donne nella mia condizione potrebbe esserlo”, conclude.

La storia del piccolo Filippo, invece, è iniziata nel 2021 con alcuni episodi di vomito e un gonfiore in viso. Dopo gli accertamenti del caso è arrivata la diagnosi: cardiomiopatia dilatativa, con un cuore funzionante appena al 15%. Per sopravvivere e arrivare al trapianto, gli viene impiantato un cuore artificiale Berlin Heart. La macchina, ingombrante e con un’autonomia limitata, diventa una sfida quotidiana per lui e la sua famiglia. Nei mesi che seguono i suoi genitori fanno su e giù tra la provincia di Ravenna, dove abitano, e l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove Filippo è ricoverato, alloggiando al Polo dei Cuori, la struttura messa a disposizione delle famiglie che hanno un proprio caro ricoverato presso il Reparto di Cardiologia e Cardiochirurgia dall’associazione. Dopo il passaggio a un organo artificiale più piccolo, con cui il bambino può raggiungere una migliore autonomia, arriva un cuore da donatore e, con esso, una nuova vita. Oggi Filippo sta bene, può correre, saltare e fare tantissime delle cose 3 negli ultimi tre anni gli sono state precluse. Non ha mai chiesto a sua madre Ottavia da dove venga il suo nuovo cuore, ma sa che nel suo petto batte un nuovo organo. “Appena sarà più grande gli spiegherò che quando si muore si può scegliere di donare gli organi – dice Ottavia – ma sono convinta che lui abbia già capito tutto”.

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