Mamma Roberta racconta del suo bambino, scomparso lo scorso 27 dicembre per una cardiopatia congenita rara. “Era lui a darci la forza per andare avanti”
“Il nostro Mattia ha vissuto una vita molto breve, solo 4 anni, ma sono stati anni molto intensi e pieni di amore e di forza”. Tiene a freno l’emozione mamma Roberta, mentre racconta del suo bambino scomparso lo scorso 27 dicembre per via di una cardiopatia congenita rara. Ripercorrerne la vicenda vuol dire per Roberta onorare il ricordo del suo piccolo e trasmettere agli altri quello che la sua esperienza di madre le ha insegnato: non smettere mai di sperare. Anche perché Mattia, pur così giovane, ha dato prova di grande resilienza. “Ha sofferto dal suo primo giorno di vita. Appena nato, anziché tornare a casa, è stato ricoverato 7 mesi all’ospedale di Ancona”, racconta ad OMaR Roberta. “Noi siamo di Pescara, abbiamo un altro figlio di qualche anno più grande, non è difficile immaginare quanto possa essere stato complicato. Ma Mattia affrontava ogni cosa – gli interventi, i cateterismi, le sedazioni continue – con il sorriso. Era lui a darci la forza di andare avanti. A volte la qualità della vita può cambiare il tempo che ti resta da vivere, anche a fronte di diagnosi devastanti e senza speranza”.
È la convinzione che insieme si può superare tutto il filo conduttore di questa storia. “In ospedale ho conosciuto tante mamme e molte di loro non riuscivano ad accettare la malattia dei loro figli. Questa mancanza di accettazione si ripercuoteva sui bambini, che perdevano la forza necessaria per affrontare la patologia”. Roberta e suo marito, invece, tirano dritto. Si nutrono dell’energia del loro bambino e gliela restituiscono, in un circolo positivo che investe tutti i membri della famiglia. “In ospedale gli parlavamo del fratello che non conosceva, gli raccontavamo di come tutti lo aspettassero a casa”, ricorda Roberta. “Mattia ha affrontato ogni cosa con grande determinazione, compresi i tre interventi a cuore aperto a cui si è dovuto sottoporre, uno dei quali molto complesso. Il momento più difficile è stato lo scorso aprile quando, due giorni dopo Pasqua, è entrato in sala operatoria. Era un intervento molto rischioso, ma lui ha reagito benissimo e si è ripreso solo appena 17 giorni. Non vedeva l’ora di tornare a casa e di riprendere la vita di sempre”. Nonostante la malattia, infatti, Mattia ha vissuto come tutti gli altri bambini: la scuola, gli amichetti, il fratello maggiore a cui voleva somigliare il più possibile. Non si è mai sentito diverso dagli altri, nonostante non potesse correre come i suoi coetanei, nonostante la PEG e le cicatrici evidenti, soprattutto quando al mare era in costume da bagno. “Si è sempre sentito un bambino normale a tutti gli effetti: quando gli chiedevano cosa fosse quel tubicino che aveva sulla pancia, rispondeva con naturalezza che era la PEG”.
Roberta è un medico, per la precisione un’odontoiatra. Anche suo padre è un medico ed è con lui che si è a lungo confrontata quando, durante la gravidanza, ha saputo che il suo bambino aveva una cardiopatia congenita. “Solo noi due abbiamo capito la gravità della situazione, in casi come questi essere un medico può rivelarsi un’arma a doppio taglio”, prosegue. “Mi avevano proposto di abortire, ma io non me la sono sentita. Io e mio padre abbiamo parlato tanto in quel periodo, e alla fine sono convinta che aver fatto nascere Mattia sia stata la scelta giusta”. Essere un medico ha anche permesso a Roberta di agire in alcuni momenti difficili. Come quando, negli ultimi momenti di vita di suo figlio, ha avuto la possibilità di rianimarlo. “Quando Mattia è andato in arresto cardiaco, ho avuto la lucidità di intervenire. Alla fine le cose sono andate come dovevano andare, ma almeno ho potuto salutarlo e stargli vicino negli ultimi momenti di vita”.
Essere madre di un bambino con cardiopatia congenita ha anche costretto Roberta a combattere alcune battaglie che non aveva messo in conto. Come quella volta che Gardaland aveva rifiutato di riservare alla famiglia un posto all’ombra, dove Mattia potesse trascorrere il tempo in maniera più serena. “Ho intrapreso una battaglia aiutata da alcuni giornali, fino a che anche i rappresentanti del parco hanno compreso la situazione e si sono scusati, destinandoci un’area bellissima e perfino superiore rispetto alle nostre aspettative”. Altre volte le battaglie quotidiane sono state più sottotraccia, perché la disabilità non evidente di Mattia poteva creare incomprensioni, soprattutto quando si trattava di usare i posti auto riservati. Ma nella maggior parte dei casi, le battaglie per Mattia erano le battaglie per tanti. “Per esempio, prima che cominciasse la scuola, abbiamo chiesto e ottenuto dalla preside che il personale scolastico seguisse un corso per la rianimazione e la disostruzione pediatrica”, sottolinea la mamma.
Oggi Roberta è al sesto mese di gravidanza e si prende cura del figlio maggiore, che ha 9 anni. Ma sente sempre la presenza di Mattia accanto a sé e conserva con lui un dialogo interiore. Anche per questo ha deciso di proseguire con il suo impegno a favore delle persone con disabilità, cercando soprattutto di organizzare raccolte fondi, insieme all’Associazione Cromosoma della felicità di Chieti, per donare quanti più defibrillatori possibile alle realtà di Pescara che ne possono avere bisogno, a cominciare dalla locale Misericordia. “Mattia mi ha insegnato il valore della forza e della resilienza”, conclude. “Sebbene avrei voluto un altro epilogo, voglio continuare a diffondere il messaggio di amore e di speranza che lui è riuscito a trasmettere a noi”.
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