Dal 2016 nessuna nuova malattia è stata introdotta, nonostante fosse prevista una revisione periodica e l’ultimo dei termini stabiliti è scaduto da 8 mesi
Roma – L’Italia, che grazie alla Legge 167/2016 si era posta all’avanguardia in Europa per le politiche di screening neonatale, si è arenata sugli aggiornamenti. In 5 anni non c’è stato alcun adeguamento nella lista delle patologie, il cosiddetto “panel”, e anche gli ultimi termini fissati dal Ministero della Salute, con il decreto istitutivo del Gruppo di Lavoro sullo Screening Neonatale Esteso (SNE), sono scaduti. Il gruppo, infatti, in attesa di finire le valutazioni su altre patologie, aveva dato intanto il via libera all’inserimento della SMA (atrofia muscolare spinale) nel panel nazionale: sono passati 8 mesi e non c’è stato alcun decreto di aggiornamento.
Ad oggi sono almeno 7 le patologie che hanno già tutti i requisiti per essere inserite nell’elenco: oltre alla SMA ci soni, infatti, la sindrome adrenogenitale, la mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I), la Fabry, la Gaucher, la Pompe e le immunodeficienze congenite. È venuta l’ora di inserire anche queste nello screening nazionale: lo dicono gli specialisti, lo confermano le esperienze sul campo e lo chiedono le associazioni dei pazienti, ma per sancire definitivamente l’ingresso di queste patologie nel panel nazionale serve l’intervento delle istituzioni, e nello specifico un decreto di aggiornamento del Ministro della Salute. Di questo si è parlato oggi nel corso del convegno “Screening neonatale esteso. 2006 – 2021, 5 anni di progressi. Sfide e prospettive per il futuro” organizzato da Osservatorio Malattie Rare con il contributo non condizionante di Biogen, Chiesi Global Rare Diseases Italia, Novartis, Orchard Therapeutics, PTC Therapeutics, Roche, Sanofi Genzyme e Takeda.
Fino a poco fa la motivazione addotta per l’attesa era la mancanza di studi di HTA (Health Technology Assessment) obbligatori secondo la formulazione originaria della legge; studi lunghi e che, infatti, non sono mai arrivati. Ora, però, questo obbligo è caduto: nella Legge di Bilancio per il 2022, grazie all’emendamento firmato dalle Senatrici Annamaria Parente e Donatella Conzatti, su stimolo dell’On. Lisa Noja, è stato abrogato il comma 2, dell’articolo 4 della legge 167, che obbligava a fare gli HTA.
“Non ci sono più motivi per rimandare l’aggiornamento. A supporto dell’inserimento di queste patologie ci sono lunghe esperienze di screening, fatte anche in Italia, che hanno prodotto dati abbondanti e disegnato percorsi che sono già efficienti. Se vogliamo rimanere all’avanguardia occorre che l’aggiornamento delle norme segua a stretto giro il progresso scientifico: ogni ritardo viene pagato a caro prezzo dai pazienti”. Così Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore di Osservatorio Malattie Rare.
“È sempre più evidente l’importanza di aver attivato in Italia lo screening per un numero così grande di patologie metaboliche, che ci rende un esempio per tutti gli altri Paesi europei dove questo test non esiste oppure è solo per poche malattie – ha spiegato Manuela Vaccarotto, Vicepresidente AISMME - Associazione Italiana Malattie Metaboliche Ereditarie – Nel 2020 sono stati identificati grazie allo SNE ben 426 neonati, uno ogni 1.250 nati* [*Rapporto SIMMESN, N.d.R.], bambini cui è stato possibile assicurare precocemente terapie e diete che hanno cambiato radicalmente il decorso della patologia e la qualità della loro vita. E questo su un pannello di circa 40 malattie. Si può fare di più: sono molte le patologie che potrebbero essere candidate ad entrare ufficialmente nel pannello. L’eliminazione degli studi di HTA per valutare l’accesso al panel è un passo importante, ma ora bisogna accelerare il processo di aggiornamento, per dare a sempre più bambini la possibilità di usufruire delle nuove conoscenze mediche e scientifiche ed evitare loro la disabilità o la morte”.
“Sicuramente la legge ha dato al sistema screening italiano la possibilità di iniziare ad andare a regime – ha detto Giancarlo La Marca, Direttore Laboratorio Screening Neonatale Allargato, A.O.U. Meyer di Firenze e già Presidente SIMMESN - Società italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening – Prima dell’entrata in vigore della legge 167 erano evidenti due velocità del sistema screening, con regioni completamente scoperte e regioni molto all’avanguardia anche a livello internazionale. Il primo obiettivo della legge era raggiungere l’uniformità di applicazione del programma su tutto il territorio, azzerando le disparità effettivamente presenti. Oggi possiamo dire con certezza che questa uniformità sia stata raggiunta. Un secondo obiettivo importante della legge era la razionalizzazione dei costi di servizio per l’esecuzione dei test di screening, che prima erano effettuati in oltre 30 laboratori che servivano 20 regioni. Al 2021 questo numero si è ridotto del 50%: i laboratori di screening operativi, grazie ad accordi interregionali, sono diventati 15. Inoltre abbiamo un numero congruente anche per i laboratori di conferma diagnostica biochimica e genetica. Ritengo debba essere effettuato un censimento analitico dei centri clinici di riferimento per far sì che ogni famiglia sappia, una volta effettuata la diagnosi, chi e dove debba essere seguito il proprio figlio. Questo diventerà un problema ancora più cocente con l’introduzione nel panel di patologie non solo più tecnicamente metaboliche, cito ad esempio i centri di immunologia per le SCID. A mio parere, però, la nota veramente ancora dolente è la mancanza di un finanziamento finalizzato per il programma di screening nazionale. È stato un grande successo di sanità pubblica inserire il percorso screening nei LEA, tuttavia anche il finanziamento associato al percorso screening è incardinato nel sistema LEA e quindi ‘indistinto’ e indistinguibile nella pratica quotidiana. In termini pratici non c’è stato nessun reale finanziamento economico al sistema screening (se non nella fase di avviamento grazie alle leggi finanziarie) regionale e quindi a caduta sui laboratori (di screening e di conferma) e meno che mai sul percorso clinico. Resta pertanto nella vita quotidiana spesso disatteso l’implementazione e/o l’aggiornamento tecnologico di molti laboratori, la strutturazione del personale tecnico e medico precario, l’assunzione di nuove figure professionali (laboratoristi, infermieri dedicati, medici, esperti in dietistica, psicologi, personale amministrativo) lasciata a carico delle singole aziende ospedaliere. Sono molto contento dei risultati molto buoni ottenuti finora; sono però altresì convinto che l’ottenimento di una reale eccellenza e uniformità del programma, specie in previsione dell’estensione del pannello, possa solamente passare da un finanziamento ad hoc”.
Ed è in effetti vero che una delle questioni aperte è proprio questa dei finanziamenti. La questione non è la mancanza assoluta di fondi, anche se potrebbe essere utile un rifinanziamento, ma il fatto che la procedura che le regioni devono seguire per averli è complessa e non garantisce comunque che questi, alla fine, arrivino effettivamente alle strutture coinvolte nel percorso di screening. Una questione che l’On. Leda Volpi (Commissione VIII “Ambiente, territorio, lavori pubblici”, Camera dei Deputati) ha più volte affrontato e che ora sta cercando di modificare attraverso un emendamento al Decreto Legge “Milleproroghe”. “L’obiettivo di questo emendamento – ha dichiarato l’On. Volpi – è di vincolare le risorse previste dalla legge 167, dedicate allo screening neonatale e di individuare, in tempi brevi, un meccanismo di attribuzione di queste risorse alle regioni, al fine di implementare, ma soprattutto rendere uniforme, lo SNE su tutto il territorio nazionale”.
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