Gabellino: “Miglioramento dei sintomi senza tossicità”.
Le ricerche continueranno per poter poi sperimentare sull’uomo.
Dimostrata per la prima volta al mondo l’efficacia di una terapia molecolare per la distrofia facio-scapolo-omerale (FSHD): a descriverla sulle pagine della rivista scientifica Molecular Therapy è stato un pool di ricercatori italiani guidati dal dottor Davide Gabellini, ricercatore dell’Istituto Telethon Dulbecco, che lavora all’Istituto San Raffaele di Milano. Come suggerisce il nome stesso, questa patologia colpisce i muscoli di faccia, spalle e braccia, in qualche caso anche quelli delle gambe. I primi sintomi sono in genere difficoltà a compiere semplici movimenti del volto come sorridere, fischiare o chiudere gli occhi, ma spesso è la debolezza dei muscoli della scapola a suonare come un campanello di allarme. Età di insorgenza e gravità della malattia possono variare notevolmente da un paziente all’altro: se alcuni sono praticamente asintomatici, altri non sono in grado di correre e salire le scale o, nei casi più gravi, addirittura di camminare.
”Per quanto sia tra le principali forme di distrofia muscolare, questa malattia rimane per certi versi ancora un mistero - spiega Gabellino - Il difetto genetico responsabile è stato localizzato all’estremità del cromosoma 4, in una regione che non contiene geni ma una serie di sequenze ripetute. A provocare la malattia è una riduzione di queste ripetizioni, che porta a un aumento dell’attività di alcuni geni. A questo proposito non c’è ancora accordo completo tra gli scienziati: al momento i candidati principali si chiamano FRG1 e DUX4 . Con meccanismi ancora non del tutto chiariti, un aumento della produzione delle proteine codificate da questi geni sembra tradursi nei sintomi muscolari tipici di questa distrofia”.
A differenza di altre malattie genetiche il problema non sta dunque nell’assenza o nella presenza di una proteina alterata, ma semplicemente in una sovrapproduzione: Gabellini e il suo team hanno quindi provato a vedere se riducendo l’attività di questi geni si poteva ottenere un miglioramento dei sintomi. Proprio Gabellini era riuscito negli anni passati a ottenere un modello murino della malattia caratterizzato da un’eccessiva produzione della proteina FRG1: questi animali sviluppano una distrofia muscolare molto simile a quella umana.
Per provare a trattarla i ricercatori Telethon hanno sfruttato l’interferenza a Rna, una tecnica di “silenziamento genetico” che mima un fenomeno noto in natura e che nel 2006 ha fruttato il premio Nobel ai suoi scopritori, Andrew Fire e Craig Mello. Questo meccanismo, scoperto per la prima volta nelle piante, consiste nello “spegnimento” specifico dell’attività di alcuni geni grazie a piccole molecole di Rna a doppio filamento che, una volta riconosciuto il loro bersaglio, ne bloccano l’espressione.
“Abbiamo somministrato questi Rna silenziatori tramite dei virus già usati in terapia genica, chiamati adeno-associati (Aav), che ci sono stati forniti dalla nostra collaboratrice Joel Chamberlain della Università di Washington, a Seattle - spiega Gabellino - Una volta raggiunte le fibre muscolari, queste molecole hanno dimostrato di ridurre significativamente l’attività del gene FRG1. Questo si è tradotto in un netto miglioramento dei sintomi, stabile nel tempo, senza alcun effetto tossico: è la prima volta che si ottiene un risultato del genere per la distrofia-facio-scapolo-omerale. Contiamo di ripetere l’esperimento “mettendo a tacere” anche l’altro gene, DUX4, e di affinare la tecnica per renderla quanto più possibile sicura, in vista di un trasferimento all’uomo. Non solo: questo approccio è potenzialmente applicabile ad una trentina di altre malattie genetiche dei muscoli, come per esempio la distrofia miotonica, dovute alla produzione di molecole RNA tossiche”.
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