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“Sono malattie note da poco e certamente sottodiagnosticate, ma le scoperte sono continue”

Deficit della proteina C del surfattante; quando è arrivata questa diagnosi  per il piccolo Raffaele i medici sono rimasti sorpresi, la malattia è infatti rarissima e nota da appena una decina d’anni. Uno dei massimi esperti è un neonatologo italiano, il dottor Marco Somaschini, che Osservatorio Malattie Rare ha intervistato per fare un punto sulla malattia. Somaschini attualmente lavora in Svizzera ma collabora con l’Unità di Genomica per la Diagnostica delle Patologie Umane dell’Istituto San Raffaele, centro di eccellenza per la malattia.
Dottore, di fronte a che cosa ci troviam
o?
Il deficit della proteina C del surfattante fa parte di un gruppo composto da 3 malattie che indichiamo col nome di deficit congeniti delle proteine del surfattante questo perché ci sono tre geni  che codificano per tre diverse proteine del surfattante, la C, la B, la ABCA3 e possono essere interessati da mutazioni. Nella maggior parte dei casi c’è una trasmissione ereditaria, con modalità dominante o recessiva, però, come proprio nel caso di Raffaele, può darsi che i genitori non abbiano le mutazioni ma che queste siano ‘nuove’ cioè nascano nel soggetto stesso.

La Neuromielite ottica (NMO) conosciuta anche come Malattia di Devic, è una grave malattia autoimmune che comporta infiammazione demielinizzante del sistema nervoso centrale. Colpisce in primo luogo i nervi ottici ed esordisce con episodi di cecità acuta, anche grave, paraparesi e quadriparesi, associate a disturbi sensoriali. In genere c’è una ripresa ma, soprattutto nelle donne, spesso si presentano delle recidive e gli effetti della malattia a lungo termine, senza un adeguato trattamento, possono essere invalidanti o anche mortali. Sulle cause non c’è ancora certezza ma si ritiene che possa essere dovuta all’azione di auto-anticorpi rivolti contro l'aquaporina-4.

L’uso di un basso dosaggio associato all’ormone della crescita aumenta altezza e stato cognitivo

Dare alle ragazze con sindrome di Turner basse dosi di estrogeni insieme all’ormone sintetico della crescita già nel periodo che precede la pubertà può essere utile per aumentarne la statura finale e anche per migliorate il livello cognitivo e psicosociale. Ad affermarlo è uno studio americano pubblicato il 31 marzo scorso sul New England Journal of Medicine e condotto da un gruppo di ricercatori della Thomas Jefferson University guidato dalla professoressa Judith Ross. Lo studio, frutto del lavoro di 20 anni e conseguenza di una intuizione nata addirittura 25 anni fa, è molto importante perché potrebbe avere l’effetto di cambiare le terapie fino ad ora utilizzate sulle bambine affette da questa malattia. Attualmente, le bambine con sindrome di Turner vengono normalmente trattate con ormone sintetico della crescita e solo a partire dai 12 anni viene indotta la pubertà con una terapia sostitutiva di estrogeni. Questo anche per permette di raggiungere una maggiore altezza nell'età adulta.

Lo studio avvenuto su animali è stato condotto grazie a Telethon e Città della Speranza

Quando i muscoli scheletrici si danneggiano, a causa di una trauma, un tumore, o come avviene per alcune malattie – ad esempio le distrofie – ne consegue sempre una grave livello di invalidità. La scienza però, attraverso gli studi sulle cellule staminali, sta cercando di mettere a punto delle tecniche che permettano di rigenerare la muscolatura, si parla, per questi studi, di medicina rigenerativa. Un interessante passo avanti in questo ambito è appena stato fatto da una equipe multidisciplinare dell’Università di Padova coordinato da Paolo De Coppi, Michela Pozzobon, Libero Vitiello, Nicola Elvassore e finanziata dalla Fondazione Città della Speranza e da Telethon. I ricercatori hanno individuato una nova strategia per ricostruire il muscolo scheletrico sfruttando le potenzialità delle cellule staminali: i risultati di questo studio sono appena stati pubblicati sulla rivista The FASEB Journal -  il giornale ufficiale della società americana di sperimentazione biologica.

Fibrosi Cistica, Fibrosi Polmonare Idiopatica e ancora Ipertensione Arteriosa Polmonare, sono tre malattie rare che colpiscono anche i polmoni e che spesso richiedono un trapianto d’organo. Ma non per tutti c’è un organo compatibile, i polmoni non sono facili da trovare, negli incidenti, ad esempio, è facile che si rovinino. Ad un ragazzo di 24 anni stava succedendo proprio questo: i suoi polmoni erano gravemente compromessi dalla fibrosi cistica, da una settimana per vivere era attaccato alla macchina cuore-polmoni, messa a punto negli anni ’80 dal prof Gattitinoni: era in lista d’attesa per il trapianto ma quell’attesa non sarebbe potuta durare a lungo. E così i medici del Policlinico di Milano hanno deciso di provare su di lui una tecnica mai provata prima sull’uomo: prendere dei polmoni non proprio in buone condizioni, rimetterli a nuovo con una procedura messa a punto da Franco Valenza, ricercatore universitario presso il Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, e darli al ragazzo.

Molti organi normalmente contenuti nell’addome si erano sviluppati al di fuori, la scoperta era stata fatta grazie alla diagnosi prenatale

E’ nata con una malattia rara ma molto evidente e, nel suo caso, anche in forma particolarmente complessa, così una neonata affetta da gastroschisi – una malformazione della parete addominale che comporta lo sviluppo fuori da corpo di molti organi – è stata immediatamente operata e salvata. L’intervento eccezionale è avvenuto al policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, dove la bimba è nata,  grazie al lavoro di una squadra formidabile messa insieme tra i reparti di Ostetricia e Ginecologia, diretta da Felice Petraglia, Terapia Intensiva Neonatale, diretta da Franco Bagnoli, Chirurgia Pediatrica, diretta da Mario Messina e Anestesia, diretta da Pasquale D’Onofrio, insieme ad infermieri altamente specializzati.

Al momento è solo un’ipotesi e serviranno studi più ampi

Ipertensione polmonare, ipertensione tromboembolica cronica, disfunzione erettile e, ora, anche il fenomeno di Raynaud che spesso affligge le persone affette dal sclerodermia: disturbi differenti che però sembrerebbero trovare sollievo grazie al Sildenafil, un farmaco prodotto da Pfizer, assai più noto con il suo nome commerciale di Viagra. A dimostrare che questo può giovare anche a chi soffre delle crisi di Raynaud è uno studio appena pubblicato su Arthritis & Rheumatism e firmato, tra gli altri, anche dal prof Armando Gabrielli, professore dell'Università Politecnica delle Marche. Lo studio mostra i risultati, incoraggianti, di uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo: stando a quanto ne risulta l’uso del sildenafil sarebbe in grado di ridurre gli attacchi settimanali.

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