Il procedimento, messo a punto da ricercatori italiani, potrà essere usato in futuro per altre malattie

La scoperta ha per ora riguardato la sindrome di Down, una malattia che non è tra quelle rare, ma il procedimento usato questa volta da un gruppo di ricercatori campani potrebbe essere usata in futuro per molto altre malattie di origine genetica. E perché no anche in quelle rare.  Il gruppo, composto da ricercatori napoletani del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e di altri Istituti di Ricerca campani ha infatti determinato, mediante un approccio tecnologico all'avanguardia, il profilo completo dei geni alterati in individui con la Sindrome di Down. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale PLoS ONE. Il lavoro pubblicato è stato coordinato dal prof. Alfredo Ciccodicola, ricercatore presso l’Istituto di Genetica e Biofisica 'Adriano Buzzati-Traverso' (IGB) del CNR di Napoli e professore di Genetica dell’Università 'Parthenope', e condotto dal Dott. Valerio Costa, giovane ricercatore precario presso lo stesso Istituto. Alle ricerche hanno partecipato molti altri giovani ricercatori. “Costruire una 'mappa' accurata dei geni alterati nelle malattie è il primo passo fondamentale verso la loro cura - spiega il prof. Ciccodicola - Inoltre, avere la possibilità di studiarne la sequenza dei geni espressi nelle cellule degli individui malati può fornire una più accurata visione ad alta definizione di come la malattia nasca ed evolva".

Il centro si conferma per la sua competenza super specialistica nelle malformazioni complesse

Si chiama estrofia vescicale – epispadia (EEC) e comporta una serie di malformazioni vescicali, dell’apparato urinario e talvolta anche di quello genitale e scheletrico, molto gravi. La prevalenza di questa malattia non è nota – si parla di pochissimi casi – e la patologia, sulla quale si interviene per lo più per via chirurgica e con un approccio multidisciplinare, non è nemmeno riconosciuta tra le malattie rare esenti. In Italia c’è un centro particolarmente avanzato nella gestione di questi casi: è la Clinica Mangiagalli di Milano, dove nell’arco di pochi giorni sono stati eseguiti, con ottimi risultati, ben due interventi su pazienti affetti da questa malattia. Uno ha riguardato un bimbo ucraino di 8 mesi – che nonostante i protocolli lo prevedano non era ancora stato sottoposto ad intervento -  l’altro, invece, una donna siciliana che nonostante da piccola fosse stata operata per EEC è riuscita a portare a termine la sua prima gravidanza.

Una bimba di 10 mesi è stata operata e l’anomalia corretta chirurgicamente, ora sta bene.

Appena dieci mesi di vita e affetta da una anomalia cardiaca congenita così grave da averle ingrossato il cuore a tal punto da occupare buona parte del torace, provocando frequenti arresti cardiaci e inducendola a respirare con un solo polmone. La grave anomalia cardiaca congenita di cui la bambina soffriva è estremamente rara. Ha una frequenza di 1 caso ogni 500 cardiopatie congenite gravi. Con questo quadro clinico, scompensato sotto il profilo emodinamico e respiratorio, la bimba era stata ricoverata in emergenza presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze. Grazie all’intervento multidisciplinare dello staff di Endoscopia Respiratoria, l’équipe della Cardiologia del Meyer di Firenze, e dello staff di Cardiochirurgia Pediatrica della Fondazione Toscana "G. Monasterio" Ospedale del Cuore, "G. Pasquinucci" di Massa, la bambina ha ripreso totalmente tutte le sue funzioni: l’anomalia congenita è stata corretta e le funzionalità respiratorie ripristinate. Si tratta di un intervento che altrove in Italia non sarebbe stato possibile.

Quando si parla di malattie rare capita spesso di collegare questo discorso ad una nascita prematura, vi sono infatti diverse patologie che sono strettamente legate ad una nascita che avviene quando ancora il corpo del bambino non è perfettamente formato per affrontare una vita autonoma. Solo per fare un esempio possiamo citare le condizioni di distress respiratorio, la retinopatia del prematuro che può portare anche alla cecità o la sepsi ad esordio tardivo che colpisce particolarmente questi bambini. Al di là di queste malattie nascere prima della trentasettesima settimana, il limite naturale di una gravidanza, costituisce un fattore di rischio per la salute del neonato.

Qui sono state scoperte nuove mutazioni e qui lavora il prof Marco Somaschini.
Chiunque cerchi notizie sulla malattia non può che arrivare alle sue pubblicazioni.

“Ho cominciato ad interessarmi ai deficit della proteina del surfattante nel ’99, quando lavoravo al San Raffaele come aiuto neonatologo. C’era un bimbo per il quale sospettavamo la malattia, ma il test, che l’ha poi confermata, dovemmo farlo fare negli Stati Uniti. In Italia non lo eseguiva nessuno e proprio allora cominciammo a pensare di darci da fare”. Così che nacque, circa 10 anni, fa quello che  oggi è un centro di eccellenza per la diagnosi di questo gruppo di malattie. A raccontarlo ad Osservatorio Malattie Rare è il dottor Marco Somaschini, uno dei massimi esperti al mondo; al suo nome arriverà chiunque cerchi informazioni in merito. Somaschini oggi lavora come Neonatologo presso la Clinica S. Anna di Lugano, in Svizzera, ma tutt’ora ha un contratto da ricercatore al San Raffaele. Il gruppo che si occupa di queste malattie e con il quale collabora opera, per l’esattezza, presso l’Unità di Genomica per la Diagnostica delle Patologie Umane, Centro di Genomica Translazionale e Bioinformatica dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, diretta dal prof. Maurizio Ferrari, nello specifico nel laboratorio di Genetica molecolare  diretto dalla dottoressa Paola Carrera. È qui che si raccoglie la più ampia casistica nazionale, qui che vengono anche svolti, se pur solo in un numero molto selezionato di casi, i test di diagnosi prenatale. Ad oggi al San Raffale sono stati fatti circa 170 test diagnostici e anche sei test di diagnosi prenatale attraverso il prelievo dei villi coriali.

“Sono malattie note da poco e certamente sottodiagnosticate, ma le scoperte sono continue”

Deficit della proteina C del surfattante; quando è arrivata questa diagnosi  per il piccolo Raffaele i medici sono rimasti sorpresi, la malattia è infatti rarissima e nota da appena una decina d’anni. Uno dei massimi esperti è un neonatologo italiano, il dottor Marco Somaschini, che Osservatorio Malattie Rare ha intervistato per fare un punto sulla malattia. Somaschini attualmente lavora in Svizzera ma collabora con l’Unità di Genomica per la Diagnostica delle Patologie Umane dell’Istituto San Raffaele, centro di eccellenza per la malattia.
Dottore, di fronte a che cosa ci troviam
o?
Il deficit della proteina C del surfattante fa parte di un gruppo composto da 3 malattie che indichiamo col nome di deficit congeniti delle proteine del surfattante questo perché ci sono tre geni  che codificano per tre diverse proteine del surfattante, la C, la B, la ABCA3 e possono essere interessati da mutazioni. Nella maggior parte dei casi c’è una trasmissione ereditaria, con modalità dominante o recessiva, però, come proprio nel caso di Raffaele, può darsi che i genitori non abbiano le mutazioni ma che queste siano ‘nuove’ cioè nascano nel soggetto stesso.

La Neuromielite ottica (NMO) conosciuta anche come Malattia di Devic, è una grave malattia autoimmune che comporta infiammazione demielinizzante del sistema nervoso centrale. Colpisce in primo luogo i nervi ottici ed esordisce con episodi di cecità acuta, anche grave, paraparesi e quadriparesi, associate a disturbi sensoriali. In genere c’è una ripresa ma, soprattutto nelle donne, spesso si presentano delle recidive e gli effetti della malattia a lungo termine, senza un adeguato trattamento, possono essere invalidanti o anche mortali. Sulle cause non c’è ancora certezza ma si ritiene che possa essere dovuta all’azione di auto-anticorpi rivolti contro l'aquaporina-4.

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