La denuncia dell’associazione ACMT-Rete: “La nostra è una malattia degenerativa e progressiva, questi giudizi sono offensivi e lesivi moralmente”
La malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT) è una rara neuropatia ereditaria, una malattia genetica che colpisce i nervi periferici che collegano il midollo spinale ai muscoli e agli organi di senso, trasmettendo i messaggi dal cervello agli arti e viceversa. Questi segnali permettono di controllare il movimento di gambe e braccia e percepire il senso del tatto o del dolore; la combinazione di questi messaggi aiuta anche a mantenere l’equilibrio.
La CMT evolve lentamente e presenta molti sintomi (più o meno evidenti): deformazione progressiva dei piedi e delle mani (piede cavo, dita ad artiglio, atrofia muscolare nei polpacci, negli avambracci e nelle mani), disturbi dell’equilibrio, disturbi della sensibilità, affaticamento, dolore, crampi, ecc., e la qualità della vita delle persone affette da Charcot-Marie-Tooth è significativamente compromessa. La CMT viene spesso definita una “disabilità invisibile”, perché le difficoltà di solito non sono immediatamente evidenti o sono sottovalutate. Il numero e la gravità dei sintomi variano significativamente da un paziente all’altro.
Pare dunque evidente che una persona affetta da CMT alla quale sia stata riconosciuta l’invalidità civile non dovrebbe incorrere nel rischio di vedersi revocato il riconoscimento, e gli eventuali benefici economici ad esso correlato.
Da diverso tempo però all’Associazione ACMT-Rete, rappresentativa dei pazienti italiani con CMT, giungono da varie regioni segnalazioni da parte degli associati della revoca dell’assegno di Invalidità Ordinaria (art. 1 della legge 12 giugno 1984, n. 222), adducendo la motivazione che “non sono risultate infermità tali da determinare una permanente riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro” a seguito di chiamata a revisione “per motivi reddituali”.
“Tenendo presente che la nostra malattia è progressiva e non possono non sussistere più le condizioni che hanno portato alla concessione di questo beneficio – spiega il direttivo di ACMT-Rete - un giudizio di questo tipo è offensivo oltre che lesivo moralmente per chi è affetto da qualunque patologia invalidante e lo è ancora di più per chi, come nel nostro caso, è affetto da una neuropatia gravemente invalidante, progressiva e senza cura come la Charcot-Marie-Tooth, che limita in maniera inequivocabile la capacità lavorativa!”
L’ASSEGNO ORDINARIO DI INVALIDITÀ
L’assegno ordinario di invalidità è una prestazione economica erogata dall’INPS a favore dei lavoratori la cui capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale. Per ottenere tale assegno, è necessario avere almeno cinque anni di contributi versati, di cui tre nel quinquennio precedente alla domanda. L’assegno ha una durata triennale, un importo di circa 300€ e può essere rinnovato. Se il beneficiario svolge un’attività lavorativa, il reddito annuo non deve superare una certa soglia stabilita annualmente dall’INPS. Superando questa soglia, l’assegno può essere ridotto o sospeso.
CRITERI DIVERSI PER DEFINIRE LA CAPACITÀ LAVORATIVA
“Come evidenziato dalle sentenze 17812/2003 e 7770/2006 della Cassazione – ricorda ancora il direttivo ACMT-Rete nella nota stampa diffusa in questi giorni - non è possibile ricorrere alle tabelle di valutazione dell’invalidità civile per stabilire se il richiedente possa avvalersi o meno dell’assegno ordinario di invalidità: mentre tali percentuali si basano sull’eventuale diminuzione della capacità di lavoro generica, l’assegno ordinario di invalidità misura una diminuzione delle capacità di lavoro confacenti alle attitudini specifiche del richiedente. Per chiarire il concetto, basterà pensare alla stessa lesione a carico degli arti inferiori, che potrebbe compromettere in maniera significativamente diversa la capacità lavorativa di due persone con percorsi professionali in ambiti completamente differenti tra loro (ad esempio, un grafico pubblicitario e un magazziniere). In definitiva la valutazione non viene fatta sulla base delle limitazioni generiche della capacità lavorativa, bensì delle limitazioni rispetto all’attuale mansione, una palese contraddizione della legge che riteniamo profondamente ingiusta qualora l’assegno sia già stato concesso e la mansione non sia cambiata e, certamente, la situazione clinica di una persona con una malattia degenerativa non può essere migliorata.”
UN PARADOSSO DA SANARE PER MALATTIE DEGENERATIVE
“ACMT-Rete è al fianco dei pazienti – prosegue la nota stampa - nel contestare fermamente questo atteggiamento da parte dei medici legali che si arrogano il diritto di revocare, con un giudizio approssimativo e superficiale un beneficio di legge a un Malato Raro, nonostante la patologia non sia rivedibile, e nonostante la produzione di ampia e completa documentazione medica da parte dei pazienti.
In altre parole, si revocano i modesti riconoscimenti già sanciti, accanendosi sulla pelle di chi ha limitate capacità lavorative, ma che lavora nonostante la malattia e i problemi correlati, il tutto in evidente violazione di principi e diritti costituzionalmente e legislativamente garantiti.
Tutto ciò è diventato intollerabile ed è nostro dovere denunciare queste ingiustizie oltre che sostenere i nostri associati in tutto e per tutto nella battaglia legale contro questi soprusi.”
LA TESTIMONIANZA DI UNA PAZIENTE
La nota stampa si conclude con la testimonianza di una paziente affetta da CMT, che riportiamo integralmente di seguito.
“Vorrei denunciare un “sopruso” da parte delle istituzioni. Ho 53 anni e sono affetta da una neuropatia invalidante e progressiva che al momento non ha nessuna cura. Si chiama sindrome di Charcot-Marie-Tooth ed è una atrofia muscolare progressiva che, lentamente ma inesorabilmente, ti toglie forza, equilibrio, provocando piede cavo e cadente, accorciamento dei tendini, perdita di muscolatura e deformazione di piedi e mani.
Non esiste nessuna cura che blocchi o rallenti la sua progressione e dall’età di 7 anni ho visto la mia vita cambiare continuamente, perdendo un pezzo di autonomia alla volta. Da circa 10 anni sono subentrati anche dolori neuropatici e convivere con tutto questo è davvero difficile.
Nonostante tutto, lavoro in una multinazionale cercando di farmi forza nei giorni più difficili pur di non mancare. Nel 2010 mi è stata riconosciuta l’invalidità al 75%, concedendomi permessi lavorativi della legge 104 e una piccola pensione (l’assegno ordinario, ndr) che mi aiutava ad affrontare le spese per fisioterapia, osteopata, ozonoterapia e altro. Purtroppo, nonostante gli ultimi 14 anni la mia malattia abbia comportato gli inesorabili peggioramenti della mia autonomia, l’Inps di Vicenza ha ritenuto che non ne avessi più il diritto. Questo perché nonostante la mia malattia, riesco ancora a lavorare. Peccato che non la pensi così anche la commissione patenti, che mi ha obbligato ad adattare la macchina con ausili, alla patente speciale con revisione ogni 2 anni tra stress e spese aggiuntive. In pratica, dato che ho lavorato nonostante le mille difficoltà e dolori, facendo sacrifici per non mancare, mi tolgono la pensione integrativa.
Mi sono sentita beffeggiata e umiliata dalle motivazioni addotte dall’Inps, tanto da rivolgermi ad un CAF per fare ricorso. Ma anche in questo caso non ho trovato alcuna professionalità e umanità. Vorrei solo che ci fosse data voce perché non siamo parassiti, ma persone che con forza e dignità cercano di lottare, di rialzarsi nonostante le continue cadute, ma che si sentono spesso abbandonate da questo sistema.”
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