Vincenzo Boni - Paralimpiadi Parigi 2024

Il pluricampione di nuoto paralimpico convive con la Charcot-Marie-Tooth: “Le medaglie mi hanno permesso di credere in me stesso come mai era avvenuto prima”

Trentasei anni, napoletano doc, appassionato della sua città e della sua squadra di calcio, Vincenzo Boni ha trascorso gli ultimi mesi diviso tra la piscina e la scrivania, in un’impegnativa routine che lo vede alternarsi tra il ruolo di consulente informatico in una nota multinazionale e quello di nuotatore paralimpico in partenza per Parigi 2024. Boni in Francia affronterà la sua terza Paralimpiade dopo Tokyo 2020 e Rio de Janeiro 2016, dove si è messo al collo il bronzo per i 50 metri dorso nella categoria S3, quella dei nuotatori che, pur avendo una ragionevole bracciata, mancano di una buona presa e non utilizzano le gambe.

Pluricampione italiano con alle spalle 1 record europeo (50 dorso) e 4 record del mondo in vasca corta (50 dorso, 50 stile, 100 stile 100 dorso), Vincenzo convive con la Charcot-Marie-Tooth (CMT), una patologia neurologica ereditaria del sistema nervoso periferico, con un’incidenza di 1 caso ogni 2.500 persone, che comporta ridotta sensibilità al calore, al tatto o al dolore, debolezza e atrofia dei muscoli delle mani, dei piedi o dell’estremità inferiore delle gambe, difficoltà di deambulazione e, in alcuni casi, anche deformità ai piedi, alle ginocchia, alle mani e alla schiena. “Nel mio caso, però, l’esame genetico condotto fino alla terza generazione non ha segnalato altri componenti della famiglia con aspetti da CMT. Quindi ho avuto la fortuna di essere il capostipite nel mio albero genealogico”, scherza.

I genitori di Vincenzo si accorsero che c’era qualcosa che non andava quando lui aveva solo 6 anni, insospettiti dai frequenti inciampi e cadute, quando camminava. “Dopo la diagnosi fui operato a Bologna per via dei piedi torti e questo è stato l’unico intervento effettuato, perché per la CMT non ci sono né operazioni né cure che possano migliorare la tua condizione, ma solo la fisioterapia, che io ho abbandonato 10 anni fa quando ho scoperto che il nuoto riusciva a darmi benefici molto maggiori”, racconta. “Così sono passato da tre sedute a settimana di fisioterapia di 45 minuti ciascuna a quasi due ore di allenamento quotidiano dal lunedì al sabato. In poco tempo mi sono accorto che nuotando la forza che aumentava e i muscoli crescevano. Questo è il bello del mondo paralimpico: grazie alla tua disabilità puoi prenderti un sacco di soddisfazioni”.

Per Vincenzo l’incontro con il nuoto, 10 anni fa, non è stato una cosa nuova. Come tanti suoi coetanei, a 6 anni i genitori lo portarono in piscina perché i medici dicevano che nuotare faceva bene al corpo e alla schiena. L’acqua gli piaceva, in vasca si divertiva, ma il confronto con i compagni di corso era frustrante. Partendo da una condizione di svantaggio, non riusciva neppure a fare le gare. “Dopo qualche anno mi passò la voglia”, ricorda, “ma la passione per l’acqua restava”. Era la fine degli anni Novanta e nella piscina che frequentava non sapevano neppure dell’esistenza dello sport per disabili. “Lo scoprii nel 2012 quando vidi le Paralimpiadi di Londra in televisione”, prosegue. “Rimasi colpito e decisi di provarci. Poi scoprii che esisteva un centro affiliato alla Federazione del nuoto paralimpico, proprio a pochi metri da casa mia”. Questa volta, però, scende in acqua con un obiettivo: vuole partecipare ai Giochi di Rio 2016. Si allena come un matto e per riuscirci mette da parte ogni altra cosa, compresi gli studi universitari. “Ma ne è valsa la pena”, commenta, “perché lo sport mi ha insegnato che con tanto impegno, dedizione e sacrificio potevo davvero raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato”.

Insieme alla fatica, infatti, arrivano le soddisfazioni sportive e non solo: i campionati italiani, la convocazione in Nazionale, l’indimenticabile bronzo ai Giochi di Rio, ma anche, qualche tempo dopo, la laurea in Culture digitali e della comunicazione e, dallo scorso marzo, l’appartamento al Centro direzionale di Napoli, dove ha deciso di vivere da solo, lasciando la casa dei genitori. “Grazie al nuoto ho fatto pace con la mia disabilità”, sintetizza. “Per me la Charcot-Marie-Tooth è la compagna di vita che mi ha impedito di fare tante cose, ma mi ha permesso di farne tante altre. Grazie a essa ho viaggiato in tanti luoghi, ho nuotato in tante piscine diverse e ho conosciuto tanta gente. Le medaglie mi hanno permesso di credere in me stesso come mai era avvenuto prima. Mi hanno confermato quanto sia bello vincere dopo aver perseguito i propri sogni con tanta fatica e sacrifici”.

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