On. Paola Binetti e Sandro BivianiPazienti, ricercatori e Istituzioni insieme per sconfiggere la malattia

“Siete dei piloti, state trasportando dei passeggeri che quasi non respirano più e dovete raggiungere il più presto possibile la meta”. Con queste parole, Sandro, su una sedia a rotelle, si è rivolto ai giovani ricercatori durante la conferenza stampa organizzata per la terza Giornata mondiale dedicata alla distrofia facio-scapolo-omerale (FSO), la malattia rara di cui soffre. Sandro ha 39 anni ed è uno dei fratelli Biviano: due anni fa ha vissuto per 99 settimane nella tenda di piazza Montecitorio. Perché per lui, come per 4.500 malati in Italia e almeno 500.000 in tutto il mondo, non esiste, ad oggi, una cura risolutiva.

Ma Sandro è una quercia, come dice la sua fidanzata Sara, e non si arrende mai. E lui, il pilota l’ha fatto sul serio, è riuscito a volare, ha guidato un elicottero con l’aiuto di un altro pilota, il campione mondiale di motociclismo Lucio Cecchinelli, amico che lo sostiene da anni. La testimonianza del volo è stata persino raccolta in un video. Il messaggio di Sandro sottolinea con urgenza come la passione per la ricerca sia una strada cruciale per non dimenticare i malati di distrofia. “I giovani ricercatori impegnati nel campo delle distrofie sono i protagonisti della giornata – ha sottolineato l’On. Paola Binetti nel corso della conferenza stampa sulla FSO - e in questo incontro abbiamo voluto dare loro voce per evidenziare che nonostante le difficoltà, il silenzio delle istituzioni e la scarsità di risorse, è la passione a mantenere viva la speranza”.

“Non esiste una terapia risolutiva e non ci sono farmaci specifici per la distrofia FSO, si può tuttavia intervenire sui sintomi”, ha dichiarato Marco Ceccanti, ricercatore all'Università di Roma "Sapienza" - Policlinico "Umberto I". “Il ‘tempo è muscolo’, bisogna agire rapidamente. La presa in carico globale del paziente è l’approccio più valido, l’esercizio fisico è necessario. Fino ad oggi, sono state molto utilizzate le metodiche di elettrostimolazione, anche se ci si è accorti che la stimolazione elettrica è solo superficiale, non arriva in profondità nel muscolo. Quindi, si sta optando per l’impiego della stimolazione magnetica, che è indolore e in grado di penetrare meglio le fibre muscolari”.

La distrofia facio-scapolo-omerale è la forma di malattia ereditaria muscolare più frequente dopo la distrofia di Duchenne e la distrofia miotonica di Steinert (DM1). E’ una condizione che si trasmette con modalità autosomica dominante: questo significa che un individuo affetto ha una probabilità del 50% di trasmetterla ai propri figli, indipendentemente dal sesso. La prevalenza della patologia è di circa un caso su 20.000 nati vivi, anche se è probabile che si tratti di una sottostima, dato che spesso la FSO non viene diagnosticata. La distrofia muscolare facio-scapolo-omerale è caratterizzata da debolezza progressiva che interessa, in particolare, i muscoli della faccia, delle spalle, delle braccia e, in alcuni casi, degli arti inferiori.

Rispetto a pochi anni fa, la ricerca scientifica ha fatto notevoli progressi, al punto che si può parlare, oggi, di un momento positivo nella lotta alle distrofie. “Siamo in una situazione di evoluzione rispetto a qualche anno fa. Alcuni trial clinici sono ancora in corso, e la speranza è di arrivare a una terapia della malattia”, ha dichiarato Mauro Monforte, giovane neurologo all’Ospedale Gemelli di Roma. “La mia testimonianza è quella del clinico e l’obiettivo della ricerca è capire la storia naturale della FSO, di investire nello sviluppo di biomarcatori, attraverso il prelievo di sangue, del muscolo e anche in maniera non invasiva, per registrare l’attività di malattia. Uno strumento diagnostico indispensabile, che oggi utilizziamo quotidianamente, è la risonanza magnetica muscolare”.

Emanuela Moretti, biologa al CNR, ha spiegato che “la medicina di genere è parte essenziale del lavoro del Centro nella lotta alle distrofie. Nelle forme meno gravi di FSO, le donne manifestano dei sintomi meno severi o sono portatrici sane della malattia. Siamo partiti da qua per capire se da questo marcatore biologico si possono trovare modificatori in grado di intervenire sul braccio lungo del cromosoma 4 (4q35), in cui è localizzata l'anomalia genetica che provoca la malattia”.

Emiliano Giardina, Responsabile del Laboratorio di Genetica Forense dell'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, ha sottolineato l’importanza della collaborazione reciproca tra i ricercatori come chiave per l’avanzamento delle indagini scientifiche. Infine, Lucia Florio, neurologa del Campus Biomedico, ha posto l’accento sulla necessità di creare, sul territorio, una rete di assistenza e di sostegno continuativo per i pazienti e le loro famiglie.

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