Lo studio è stato promosso dall’associazione AIEPN per rispondere a un’esigenza di maggior chiarezza sul tema da parte dei pazienti
L’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) è una malattia rara contraddistinta da una serie di gravi manifestazioni, principalmente anemia emolitica, trombosi e insufficienza del midollo osseo, che mettono a repentaglio la sopravvivenza di chi ne è affetto. Fortunatamente, per questa patologia esiste una valida opzione terapeutica, rappresentata dai cosiddetti inibitori del sistema del complemento, farmaci che hanno notevolmente migliorato l’aspettativa e la qualità di vita dei pazienti ma che, agendo sulle difese immunitarie dell’organismo, comportano una maggior probabilità di contrarre infezioni.
“La recente pandemia di COVID-19 ha ulteriormente amplificato le preoccupazioni e le perplessità dei pazienti italiani con EPN su temi caldi come il rischio infettivo e le vaccinazioni”, spiega il dottor Antonio De Vivo, Dirigente Medico dell’Unità Operativa di Ematologia presso l’IRCCS S. Orsola Malpighi a Bologna.
“Con l'obiettivo di rispondere a questa esigenza di maggior chiarezza - prosegue l’esperto - l'Associazione Italiana Emoglobinuria Parossistica Notturna (AIEPN), ha sollecitato i professionisti medici del settore, chiedendo lo sviluppo di un documento di consenso sulla gestione del rischio infettivo nei pazienti affetti da questa rara malattia del sangue, trattati o candidati al trattamento con farmaci inibitori del complemento”. Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista Blood Reviews, vede tra gli autori anche lo stesso dottor De Vivo.
LA PATOLOGIA E IL TRATTAMENTO
L’emoglobinuria parossistica notturna (EPN) è una malattia delle cellule staminali ematopoietiche, ed è caratterizzata da episodi di emolisi (distruzione prematura dei globuli rossi), a cui può associarsi emoglobinuria (presenza di emoglobina nelle urine), e da manifestazioni trombotiche, citopenia e insufficienza midollare. Le crisi emolitiche possono insorgere spontaneamente o essere scatenate da alcuni fattori, detti “trigger”: infezioni, vaccinazioni, interventi chirurgici, somministrazione di alcuni farmaci, stato di gravidanza o stress. “Il fatto che le vaccinazioni, che pure sono un’arma di difesa straordinaria, siano annoverabili tra i fattori trigger può spaventare i pazienti”, spiega il dottor De Vivo. “La pubblicazione di questo studio, realizzato con il metodo Delphi, serve anche per far luce sui reali rischi associati alla profilassi vaccinale e sulle strategie per minimizzarli”.
“Fino a poco tempo fa le terapie per la EPN erano pressoché inesistenti: si procedeva con le trasfusioni o con gli anticoagulanti, ma i pazienti morivano rapidamente”, prosegue l’esperto. “Per questa ragione, veniva calcolata solo l’incidenza della malattia. La rarità e la letalità della condizione rendevano impossibile la misurazione della prevalenza”. Fortunatamente, l’avvento dei farmaci inibitori del sistema del complemento ha cambiato la storia naturale di questa malattia. “Oggi l’EPN può vantare una prevalenza – conferma De Vivo – e i pazienti hanno un'aspettativa di vita sovrapponibile a quella della popolazione generale”. In Italia sono attualmente approvati tre farmaci appartenenti a questa categoria: eculizumab, ravulizumab e pegcetacoplan. Tuttavia, l’inibizione del sistema del complemento, che rappresenta la nostra barriera naturale di difesa dai patogeni, comporta un aumento del rischio di incorrere in infezioni invasive, soprattutto ad opera dei batteri cosiddetti “capsulati”: Neisseria meningitidis (meningococco) di tipo A, C, W, Y e B, Streptococcus pneumoniae (pneumococco) ed Haemophilus influenzae di tipo B. Secondo uno studio statunitense pubblicato nel 2017, l’uso di eculizumab è associato a un’incidenza di infezioni da 1000 a 2000 volte superiore rispetto a quella della popolazione generale. “Il problema delle vaccinazioni, nei pazienti affetti da EPN, è quindi duplice”, sottolinea il dottor De Vivo. “Se da una parte c’è la necessità di vaccinare queste persone per proteggerle dal pericolo di incorrere in infezioni potenzialmente letali, dall’altra parte si pone il problema delle possibili crisi emolitiche causate dall’attivazione del complemento mediata dalla vaccinazione”.
Nonostante i considerevoli risultati ottenuti con l’utilizzo dei farmaci inibitori del complemento – drastica riduzione dell’emolisi, dell’insorgenza di trombosi, del rischio di insufficienza renale e di altre complicanze – nella EPN permangono ancora alcuni bisogni clinici insoddisfatti. “Le preoccupazioni su vaccinazioni e rischio infettivo espresse dalla comunità dei pazienti italiani rappresentavano uno di questi bisogni, a cui era necessario rispondere in modo chiaro ed esaustivo”, spiega De Vivo. “Una corretta informazione, infatti, rappresenta forse lo strumento più potente di cui disponiamo per tutelare i pazienti”.
LO STUDIO
“Non esistendo vere e proprie linee guida condivise su vaccinazioni e rischio di infezioni nella EPN, né a livello nazionale né internazionale, abbiamo iniziato il lavoro analizzando retrospettivamente tutti i dati della letteratura scientifica e tutte le nostre casistiche, per poi decidere consensualmente, formulando una serie di raccomandazioni utili nella pratica clinica”, spiega il dottor De Vivo. Come previsto dalla tecnica Delphi, un gruppo di esperti, formato da dieci membri (la maggior parte dei quali appartenente al comitato scientifico di AIEPN), si è espresso su diverse tematiche, valutate come le più urgenti e rilevanti nell’ambito del rischio infettivo a cui sono esposti i pazienti con EPN: indicazioni vaccinali; riconoscimento delle complicanze; misure di prevenzione del rischio; educazione dei pazienti al riconoscimento dei primi sintomi infettivi.
“Purtroppo le persone con EPN sono poche e gli studi vanno a rilento”, afferma il dottor De Vivo. La maggior parte delle informazioni provenienti dalla letteratura scientifica sulle complicanze infettive correlate agli inibitori del complemento riguarda eculizumab; sono disponibili pochi dati su ravulizumab e ancor meno sugli altri farmaci della categoria. Fino a quando non emergeranno ulteriori evidenze, quindi, il gruppo di esperti ha deciso che le raccomandazioni formulate dovrebbero essere prese in considerazione per tutti i pazienti, indipendentemente dal tipo di farmaco con cui sono trattati o a cui sono candidati.
LE RACCOMANDAZIONI
“Nel nostro studio, abbiamo convenuto sulla necessità di vaccinare tutti i pazienti con EPN contro i batteri capsulati, estendendo il consiglio anche al virus SARS-CoV-2”, spiega il dottor De Vivo. “Le indicazioni prevedono che i pazienti sottoposti a terapia con eculizumab debbano ricevere il vaccino contro il meningococco C (Men-ACWY), ma noi, in Emilia-Romagna, già in passato avevamo esteso la vaccinazione al meningococco B, allo pneumococco e all’haemophilus. Chiaramente tali decisioni dipendono anche dalla disponibilità vaccinale delle singole regioni”, sottolinea l’esperto. “Chi, invece, è candidato alla terapia con pegcetacoplan andrebbe vaccinato d’ufficio per tutti i capsulati”. La prima dose dei vaccini anti-meningococco (il quadrivalente Men-ACWY e il monovalente Men-B) dovrebbe essere somministrata almeno due settimane prima dell’inizio del trattamento con gli inibitori del complemento. Per evitare il rischio di reazioni più intense – potenzialmente responsabili di eventi emolitici – è preferibile che i pazienti ricevano una sola dose vaccinale per volta.
In generale, nel caso in cui è in atto la somministrazione di eculizumab (o di altri inibitori del complemento) come misura di emergenza, o quando può esserci un rischio elevato di crisi emolitica innescata dal vaccino, la prima dose vaccinale può essere differita, a patto che nel frattempo il paziente sia sottoposto a profilassi antibiotica (con penicillina, amoxicillina, eritromicina o ciprofloxacina). In alcuni Paesi, questa profilassi antibiotica - che in Italia è prevista solo in caso di necessità (vaccinazione posticipata, febbre che perdura nonostante la terapia antipiretica, ecc.) - viene raccomandata per tutta la durata del trattamento con i farmaci inibitori del complemento. “La terapia in cronico con antibiotici, tuttavia, presenta delle criticità”, evidenzia De Vivo. “Prima di tutto bisogna tener conto della tossicità provocata da una chemioprofilassi di questo tipo. Inoltre, alcuni studi hanno confrontato i tassi di infezione da meningococco in pazienti affetti da EPN in terapia con eculizumab con o senza antibiotico-profilassi, non rilevando differenze statisticamente significative tra le due modalità di trattamento. Infine, l’abuso di antibiotici può far emergere ceppi di batteri farmaco-resistenti”.
Dopo un’attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio, il gruppo di esperti ha concordato sulla necessità di vaccinare i pazienti con EPN anche per il COVID-19. “Nonostante queste persone non presentino una particolare fragilità infettiva nei confronti del virus SARS-CoV-2, consigliamo comunque la vaccinazione”, chiarisce De Vivo. “Inoltre, al fine di minimizzare il rischio di crisi emolitiche maggiori, raccomandiamo la somministrazione del vaccino a poca distanza (uno o due giorni) dall’infusione dell’inibitore del complemento”.
Ultima, ma non certo per importanza, l’educazione del paziente - e di chi lo assiste - al tempestivo riconoscimento dei primi sintomi di infezione. “Questa semplice accortezza – conclude l’esperto – unita a una corretta informazione sulla malattia e sulle terapie anticomplementari, può fare la differenza”.
Seguici sui Social