Prof. Novelli (responsabile Laboratorio di Genetica Medica): “Oggi, grazie alle nuove tecnologie, è possibile analizzare contemporaneamente più geni”
Tra i partner italiani del progetto Screen4Care, come abbiamo già avuto modo di accennare, c’è anche l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, in particolare la UOC Laboratorio di Genetica Medica della struttura, chiamata all’importante compito di progettare ed elaborare un nuovo approccio di pannello genico per lo screening neonatale che permetta di analizzare una serie di malattie trattabili. Il laboratorio inoltre, nell’ambito del progetto, sarà il centro di sequenziamento di riferimento per l’Italia e non solo. In aggiunta, per i neonati con sintomi precoci arruolati e risultati negativi allo screening genetico neonatale (mediante TREAT-panel) nell’ambito del progetto Screen4Care è previsto lo studio del sequenziamento completo del genoma (WGS – Whole Genomic Sequencing).
Al Prof. Antonio Novelli, responsabile della UOC Laboratorio di Genetica Medica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma, abbiamo voluto rivolgere qualche domanda per approfondire meglio il ruolo della struttura d’eccellenza italiana nel progetto Screen4Care (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare la video-intervista).
Professor Novelli, da quali patologie è composto il panel di screening genetico? Lo screening si focalizza sull’individuazione di specifiche patologie o piuttosto su determinati difetti genetici?
In questo progetto l’Ospedale Bambino Gesù è partner per quanto riguarda la parte clinica, nello sviluppo di protocolli ma anche, e prevalentemente, come hub di sequenziamento per lo screening genomico neonatale. Ci occuperemo infatti del sequenziamento di tutti i campioni provenienti dai diversi centri europei aderenti al progetto. Dal punto di vista metodologico, questo progetto pilota si propone di effettuare lo screening neonatale analizzando alcune condizioni genetiche trattabili mediante tecniche di indagine molecolare. È chiaro che oggi, grazie alle nuove tecnologie e soprattutto grazie ai sequenziamenti di nuova generazione, è possibile analizzare contemporaneamente, in un singolo esperimento, più geni. In questo caso, il nostro pannello multi-genico, che abbiamo denominato TREAT-Panel, include circa 250 geni correlati a malattie genetiche rare trattabili. Quando parliamo di patologie “trattabili” intendiamo quelle per cui è disponibile un trattamento che sia approvato da enti come l’EMA e che possa includere un farmaco, una terapia genica, un regime dietetico specifico o qualsiasi altra procedura terapeutica (ad esempio il trapianto di midollo) disponibile in Italia oppure nel resto d'Europa, in particolare nei Paesi che aderiscono al progetto Screen4Care. È importante anche ribadire che questo pannello e questo studio non hanno l'ambizione di sostituire lo screening neonatale esteso fatto tramite test biochimici, di cui l’Italia è uno dei paesi più rappresentativi, ma semplicemente di rappresentare un'opportunità in più per tutti i bimbi che nascono.
Lei stesso citava l'importanza dell'evoluzione tecnologica al servizio della diagnostica e di uno screening come quello genetico come un valore aggiunto. Una delle peculiarità di Screen4Care è proprio quella di utilizzare soluzioni digitali all'avanguardia, con l'obiettivo di migliorare non solo le numeriche della diagnostica ma anche l'accuratezza e i tempi di diagnosi. Ci può spiegare meglio di cosa si tratta?
Ho menzionato l'evoluzione tecnologica che abbiamo potuto osservare in questi anni, se pensiamo ad esempio alle piattaforme che utilizziamo per scansionare il genoma, ma rispetto a Screen4Care è importante sottolineare che, oltre all’impiego di queste nuove tecnologie, parallelamente il progetto affronterà il disegno e lo sviluppo di nuovi algoritmi basati su processi di intelligenza artificiale, cioè su metodi che possono analizzare grandi quantità di dati, che noi chiamiamo dataset. Si tratta di informazioni cliniche che possono essere utili a tutti gli esperti del campo. Saranno sviluppate cartelle cliniche elettroniche e, al tempo stesso, tramite questi algoritmi potranno essere identificati i pazienti affetti da una malattia rara ad uno stadio molto più precoce. Le persone potranno inoltre segnalare nuovi sintomi o segni clinici mediante applicativi integrati così da capirne la causa e l’evoluzione. Quello che è importante sottolineare è che questo tipo di percorso fornirà un supporto alle famiglie anche oltre la durata del progetto stesso, in caso compaiano sintomi o ci sia il sospetto di una malattia rara, in modo da arrivare quanto prima alla diagnosi corretta. Nella mia esperienza professionale abbiamo visto che è importante la presenza di un supporto umano, qualcuno che possa rendere possibile la condivisione della propria esperienza con quella di altre famiglie e altri pazienti con le stesse problematiche. Questo approccio integrato, finalizzato alla connessione e allo scambio di informazioni all'interno di questa comunità, soprattutto nel campo delle malattie rare, rappresenta il valore aggiunto del progetto. Questo è un punto importante soprattutto per non far sentire le famiglie sole, perché parliamo di malattie rare che hanno una frequenza estremamente bassa ma che, se considerate nel loro insieme, così rare non sono. Un’ulteriore difficoltà è quella di gestire la comunicazione della diagnosi ai genitori che si trovano in braccio un bimbo apparentemente sano ma che può avere qualche tipo di problematica al momento invisibile.
Prof. Novelli, sulla base della sua esperienza al Bambino Gesù, come viene gestita la comunicazione della diagnosi e, nello step successivo, la presa in carico dei pazienti? Citava la possibilità di utilizzare una piattaforma in cui inserire i sintomi e che, immagino, possa rappresentare anche una fonte per gli altri clinici. Possiamo approfondire questa parte?
Questa è la parte più importante. I genitori dovranno sottoscrivere un'informativa, e quindi un consenso informato, nell’ambito di una campagna d’informazione. Per questo coinvolgeremo i centri di nascita a cui accedono le famiglie che, magari già durante il percorso di monitoraggio, potranno incontrare esperti in grado di spiegare loro quali siano le finalità, le potenzialità e i limiti del progetto. Non ci sarà, in ogni caso, alcun obbligo di adesione. Per quanto riguarda la comunicazione, trattandosi di dati genetici particolarmente sensibili, abbiamo previsto sia un’informativa preliminare sia una comunicazione scritta degli esiti. Quando sequenziamo il DNA per finalità diagnostiche possiamo avere tre possibili risultati, a seconda dei quali cambiano l'approccio della consulenza e la comunicazione dell’esito. Possiamo avere un risultato negativo, ovvero l’assenza di variazioni di sequenza da segnalare; in questo caso la famiglia riceverà l'informazione scritta, sotto forma di lettera. L'altro risultato che potremmo avere è quello in cui emergono variazioni di sequenza che, secondo la nomenclatura dell'American College of Medical Genetics, le cui linee guida sono condivise dai genetisti di tutto il mondo, hanno un significato incerto, e quindi più difficili da gestire. Queste varianti chiamate VUS (Variant of Uncertain Significance), non possono essere classificabili con certezza, sulla base delle conoscenze attuali, né come potenzialmente causative né come benigne. Questo tipo di esito lo gestiremo, sempre in accordo con la famiglia, considerando l'evoluzione nel tempo, monitorando attentamente eventuali segni clinici che possono comparire nel corso dei primi mesi o anni di vita. In quest’ottica di monitoraggio, la famiglia può inserire nella piattaforma digitale, che prima vi ho citato, eventuali segni o sintomi, e quindi trovare delle risposte rapide da parte dei clinici. Il terzo tipo di risultato, comunque complesso in termini di comunicazione, è quello in cui troviamo effettivamente una variante genica che definiamo come probabilmente o certamente patogenetica, in base a determinate caratteristiche. In questo caso, quando è già disponibile un eventuale trattamento o terapia, la famiglia sarà contattata e presa in carico da un team multidisciplinare per il post-test, per la comunicazione della diagnosi, per spiegare quali sono le eventuali implicazioni cliniche e infine per allargare l'indagine anche ai genitori. Quest’ultimo aspetto è necessario per capire anche se ci sono dei rischi riproduttivi non solo all'interno della coppia ma anche all'interno del nucleo familiare, spiegando che il fine di questo progetto è proprio l'accesso a eventuali terapie disponibili, con il conseguente follow-up clinico e strumentale. Sarà il centro nascita che ha arruolato la famiglia che avrà il compito di contattare i genitori dei neonati che sono risultati positivi, che saranno poi eventualmente indirizzati ai centri di riferimento per le malattie rare, in modo che il bambino sia preso rapidamente in carico. Come anticipato, se c'è una familiarità viene offerto il counseling anche ai familiari diretti dei genitori, fondamentale soprattutto per le malattie autosomiche recessive, che si trasmettono ai figli se i genitori sono entrambi portatori, come la fibrosi cistica, i cui portatori sani in Italia hanno una frequenza di circa 1 su 30, la beta talassemia o l'atrofia muscolare spinale (SMA), di cui sappiamo che i portatori in Italia sono circa 1 su 50. L'importanza di questo progetto sta proprio nell’intercettare queste condizioni in maniera precoce. La SMA, ad esempio, in alcune regioni italiane è recentemente entrata nel protocollo di screening contestualmente allo screening neonatale esteso. Purtroppo però, nel nostro Paese non tutte le regioni si comportano in maniera omogenea, per cui emerge ancora di più l’importanza di questo progetto. L'altra questione, un po' più complessa da valutare, è quella relativa ai neonati il cui esito dello screening con questo pannello multigenico è risultato normale ma che, nei due anni successivi, abbiano sviluppato dei segni o delle manifestazioni cliniche che possono far pensare a una malattia genetica sottostante. In questo caso si potrà procedere, previo consenso dei genitori, all’analisi dell’intero genoma (WGS), ovvero un’analisi dell’intero patrimonio genomico, che consente di ricercare variazioni di sequenza in geni che non fanno parte del TREAT panel.
A questo punto mi viene da sottolineare che probabilmente sono molto importanti le infrastrutture tecnologiche a supporto della sicurezza di tutti questi dati, che possono essere conservati per un lungo periodo.
Assolutamente sì. Per questo sono coinvolti dei centri di eccellenza in Europa che, in ottemperanza alle normative sulla privacy (GDPR), conservino in maniera assolutamente blindata questi dati. Inoltre, lavoreremo in maniera pseudo-anonimizzata. Il laboratorio di genetica medica dell’Ospedale Bambino Gesù riceverà soltanto il campione prelevato associato a un codice univoco, senza alcun dato sensibile del neonato. L’esito del sequenziamento viene poi trasferito attraverso tecnologie ‘in Cloud’ al centro di prelevamento. I dati di sequenziamento, pseudo-anonimizzati verranno analizzati dai due partner del progetto che sono leader nell’analisi bioinformatica. Tutto il percorso è assolutamente in sicurezza (GDPR Compliance) e in ogni sua fase è sempre garantita la protezione dei dati.
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