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Farmaci: approvazione europea

C’è ancora bisogno di tanta ricerca: solo l’1,6% delle patologie rare ha oggi una terapia specifica

Se nel corso della VI Edizione dell’Orphan Drug Day – organizzato da Osservatorio Malattie Rare con il contributo non condizionato di Chiesi Global Rare Diseases Italia, Janssen, Kyowa Kirin, PTC Therapeutics, Recordati Rare Diseases, Sanofi Genzyme, Takeda e Vertex – per quanto riguarda l’applicazione del Testo Unico Malattie Rare sono state soprattutto rilevate delle opportunità da cogliere, le modifiche date ormai per imminenti al Regolamento Europeo sui Farmaci Orfani destano qualche motivo di preoccupazione o almeno di cautela. Se da una parte è innegabile che il Regolamento CE 141/2000, una norma nata ormai 20 anni fa, vada aggiornata alla luce dei progressi scientifici e dell’esperienza accumulata, è d’altra parte vero che così facendo si va a toccare una norma che, in ogni caso, funziona bene e ha prodotto ottimi risultati. Questo Regolamento è infatti nato allo scopo di incentivare la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione di farmaci per malattie rare, che proprio per il fatto di avere un numero basso di destinatari non sarebbero stati altrimenti attrattivi per il mercato. È stato grazie anche agli incentivi fiscali e alle procedure semplificate previsti da questo Regolamento, nonché alla esclusività di mercato per 10 anni, se in 20 anni – dal 2000 al 2020 – sono stati autorizzati oltre 190 differenti farmaci orfani per un totale di 133 diverse malattie rare. Si tratta di un numero certamente alto ma che, comunque, ad oggi copre solo l’1,6% delle quasi 8.000 patologie rare note.

“Quindi – ha sottolineato Francesco Macchia, dell’Osservatorio Malattie Rare – i risultati sono stati tangibili e continuano a esserlo: la spinta di questo Regolamento è tutt’altro che esaurita poiché ci sono centinaia di farmaci ancora da portare sul mercato per soddisfare i bisogni dei pazienti”.

A presentare i termini della discussione in corso a livello europeo è stato il Prof. Armando Magrelli, Vice-Chair of Committee Orphan Medicinal Products, che ha chiarito: “Da quando questo Regolamento è entrato in vigore le designazioni di status orfano riconosciute dall’EMA sono cresciute del 15% ogni anno e, intanto, tanti Paesi europei si sono dotati di specifiche legislazioni; questo Regolamento è stato un punto di svolta e ha prodotto risultati positivi per i pazienti e le loro famiglie, ha incentivato la ricerca e anche attratto investimenti sulle malattie rare. Ora si sta però parlando di una revisione, in modo particolare per far sì che questi farmaci vengano sviluppati anche per le aree terapeutiche che essendo meno redditizie sono state fino ad oggi meno battute dalla ricerca, e per introdurre dei meccanismi che favoriscono una maggiore equità di accesso tra i cittadini di tutti i Paesi europei”.

Al momento è previsto che la Commissione europea presenti la proposta del nuovo regolamento nei primi mesi del 2022. “È senza dubbio vero che le leggi vanno adeguate – ha aggiunto Macchia – ma è altrettanto vero che quando una norma ha prodotto e continua a produrre effetti benefici non la si può fermare e l’impressione è che dietro alle attuali proposte di revisione vi siano in buona parte considerazioni di sola natura economica, che possono sembrare una soluzione nel breve periodo ma che rischierebbero di affossare a medio e lungo termine la ricerca in questo ambito, con ricadute sui pazienti e alla fine con maggiori spese per gli stati stessi. E ho anche qualche dubbio sul fatto che le paure legate alla spesa per farmaci orfani siano davvero fondate, non è un caso che proprio pochi giorni fa un rapporto della Società Italiana di Health Technology Assessment (SIHTA) abbia evidenziato come la spesa per i farmaci orfani sottoposti a registro (tipicamente quelli a più alto costo) sia stata inferiore a quella che si era stimata durante la contrattazione: a volte le paure sono alimentate da casi specifici che colpiscono, ma che non possono essere considerati la regola. Quindi ben venga un miglioramento dove possibile, ma con molta attenzione a non fare passi indietro. Ed è davvero un peccato, concludo, che l’Italia abbia dato poco contributo al dibattito europeo quando ci sono state le audizioni per la revisione della norma, perché avremmo potuto dire molto dato che proprio il nostro Paese ha una politica sulle malattie rare particolarmente avanzata. Purtroppo queste consultazioni sono avvenute nel 2018, in un momento di confusione politica e si è persa un’occasione, ma se si è mancata l’occasione per costruire, ora, a maggior ragione, dovremo stare attenti a non essere artefici di una demolizione”.

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