Prof. Giacomo Emmi (Firenze): “Non esistono biomarcatori né elementi strumentali in grado di guidare la diagnosi; per individuare la malattia è cruciale l’esame clinico obiettivo”
Nota anche come “malattia della via della seta” - a causa della sua distribuzione geografica che ripercorre le rotte carovaniere e commerciali che congiungevano l’Asia orientale al Vicino Oriente e al bacino del Mediterraneo - la sindrome di Behçet è una rara condizione infiammatoria, cronica e multisistemica, caratterizzata da un ampio spettro di manifestazioni cliniche che si presentano con fasi alterne e imprevedibili di remissione e recidiva. “Si tratta di una vasculite molto particolare che, pur non potendosi chiaramente definire una malattia autoimmune o antinfiammatoria, condivide con questi disturbi sistemici alcuni aspetti clinici e fisiopatologici: questa somiglianza, se da un lato rende imprescindibile la formulazione di una diagnosi differenziale corretta e tempestiva, dall’altro permette l’utilizzo, con relativo successo, di alcune terapie comuni”, spiega il professor Giacomo Emmi, docente di medicina interna dell’Università di Firenze, dirigente medico presso la SOD di Medicina Interna Interdisciplinare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze.
Il prof. Emmi è prima firma di un articolo, recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, che fornisce una panoramica completa di questa complessa patologia: il lavoro è stato condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica (DMSC) dell’Ateneo fiorentino, elementi d’eccellenza del team coordinato dal professor Domenico Prisco, in collaborazione con la professoressa Gulen Hatemi, della Istanbul University Cerrahpasa Medical School, in Turchia.
EPIDEMIOLOGIA
La sindrome di Behçet è una malattia rara, anche se la sua prevalenza varia da zona a zona. Ci sono aree in cui, a causa della sua distribuzione, può essere considerata ‘endemica’: in Paesi come Giordania e Turchia, ad esempio, si registrano i tassi di prevalenza più alti a livello globale (rispettivamente 660 e 421 casi ogni 100.000 abitanti), seguiti da Iran, Corea del Sud, Giappone e Cina. Negli ultimi anni, a causa della crescente migrazione e di una migliore competenza diagnostica, l’incidenza e la prevalenza della sindrome di Behçet sono aumentate anche in Europa, dove tradizionalmente si stimava la presenza di 1-9 pazienti ogni 100.000 persone. “Questa patologia può manifestarsi a qualunque età e in egual misura nei due sessi, anche se la sua insorgenza raggiunge il picco massimo nella terza decade di vita e, tendenzialmente, ha una prognosi più severa nei maschi”, spiega il professor Emmi.
PATOGENESI
Sebbene oggi ci sia una maggiore consapevolezza dei diversi fattori implicati nello sviluppo della sindrome di Behçet, l’esatta patogenesi della malattia resta ancora un mistero. Tradizionalmente considerata una perivasculite neutrofila (ossia una condizione caratterizzata da un’infiammazione dei tessuti che circondano vasi sanguigni mediata da cellule come i granulociti neutrofili), sembra essere innescata da fattori esogeni (virali, come l’Herpes Simplex, o batterici, come alcuni ceppi di streptococco e stafilococco) e slatentizzata dalla presenza di alterazioni del microbiota. La presenza di una componente genetica, inoltre, porterebbe a ipotizzare uno sviluppo della malattia in pazienti geneticamente predisposti, a seguito di fattori ambientali scatenanti. Ad esempio, la probabilità di manifestare la sindrome di Behçet sembra essere cinque volte superiore in coloro che presentano l’antigene leucocitario umano HLA-B*51, una glicoproteina che è situata sulla membrana cellulare e che è ha un ruolo di primo piano nella regolazione della risposta immunitaria. Oltre ai geni che codificano per gli antigeni HLA, sono state individuate altre mutazioni correlate al sistema immunitario che potrebbero concorrere allo sviluppo della sindrome di Behçet, come quelle nei geni IL23R, IL10, STAT4, CCR1-CCR3, KLRC4, ERAP1, TNFAIP3 e FUT2. “In generale – sottolinea il professor Emmi – possiamo affermare che la patogenesi di questa malattia dipende da una complessa interazione tra diversi fattori, predisponenti e scatenanti: abitudini alimentari e igieniche, infezioni batteriche e virali, composizione del microbiota, mutazioni genetiche, cambiamenti epigenetici e disfunzioni immunitarie”.
SINTOMATOLOGIA E DIAGNOSI
La sindrome di Behçet può avere un esordio piuttosto subdolo, con manifestazioni generiche come malessere, astenia, febbricola e dolore cronico, oppure acuto, con coinvolgimento vascolare, neurologico o gastrointestinale. “Le manifestazioni più tipiche sono quelle mucocutanee”, chiarisce il professor Emmi. “La comparsa di afte orali e genitali ricorrenti, talvolta molto dolorose, unita a un’infiammazione a carico dell'uvea [la tonaca vascolare dell’occhio, situata tra la sclera e la retina, N.d.R.], deve far subito pensare alla sindrome di Behçet”. A questa triade tipica si aggiunge un quarto elemento, anch’esso identificativo: la presenza di lesioni cutanee (come pseudo-follicoliti, eritema nodoso, eruzioni papulo-pustulose o simili) che, più tipicamente nel sesso femminile, si possono accompagnare a problematiche articolari.
“Tra le manifestazioni d’organo maggiori – continua il professor Emmi – sono da ricordare sicuramente quelle legate all’apparato gastrointestinale, a volte del tutto simili a quelle di alcune patologie intestinali croniche come la malattia di Crohn o la colite ulcerosa, e quelle neurologiche, confondibili con alcuni sintomi tipici della sclerosi multipla”.
“Dal punto di vista dell’interessamento vascolare, presente in oltre il 40-50% dei pazienti, la sindrome di Behçet è molto particolare”, precisa Giacomo Emmi. “Si tratta, infatti, di una delle poche vasculiti in grado di coinvolgere vasi di qualunque diametro, dai più piccoli a quelli di grande calibro, con una predilezione per le vene rispetto alle arterie”. Infine, tra i sintomi meno comuni, si annoverano quelli audio-vestibolari, renali, genito-urinari e del sistema nervoso periferico.
Negli ultimi due decenni, alcuni studi hanno identificato gruppi di manifestazioni patologiche solitamente coesistenti. “In altre parole, ci sono fenotipi della sindrome di Behçet che tendono a ricorrere insieme: è questo il caso del fenotipo mucocutaneo-articolare, di quello neurologico-oculare, di quello vascolare periferico ed extra-parenchimale neurologico, di quello vascolare-cardiaco, ecc.”, spiega il professor Emmi.
“Nonostante si tratti di una malattia complessa ed eterogenea, la diagnosi è esclusivamente clinica”, afferma l’esperto. “Non esistono biomarcatori affidabili né elementi strumentali in grado di guidare con certezza la diagnosi: per questo motivo, l’individuazione della sindrome di Behçet si deve basare sull’esame clinico obiettivo, sull’evidenza dei sintomi tipici e sul cosiddetto ‘pathergy test’, che va a rilevare un’iperreattività aspecifica a seguito di iniezione intradermica eseguita con ago sterile”. Se, dopo uno o due giorni dall’iniezione si formano una papula eritematosa o una pustola del diametro di 2mm, il test è da considerarsi positivo e corrobora l’ipotesi di sindrome di Behçet.
TRATTAMENTO
Vista l’eterogeneità fenotipica della sindrome di Behçet, la scelta del trattamento dev’essere ponderata sulla base della tipologia e della gravità dei sintomi, nonché della risposta individuale all’eventuale terapia. Purtroppo, ad oggi, non esiste una cura risolutiva per la patologia, ma un intervento terapeutico tempestivo è fondamentale per attenuare le manifestazioni ed evitare le complicanze. “In genere, soprattutto per le forme più severe, utilizziamo i corticosteroidi, che permettono di sedare l’infiammazione in tempi abbastanza rapidi, e gli immunomodulanti o gli immunosoppressori (ad esempio colchicina, azatioprina, metotrexato, ciclosporina, ciclofosfamide), che regolano la risposta immunitaria prevenendo ulteriori ricadute”, spiega il professor Emmi. “Oggi abbiamo a disposizione molte più armi terapeutiche rispetto al passato: negli ultimi vent’anni, ai farmaci tradizionali si sono affiancati gli agenti biologici come gli anti-TNF-alfa, gli anti-interleuchina-1 o gli antagonisti del recettore per l’interleuchina-6”.
IN ATTESA DI NUOVE LINEE GUIDA SULLA MALATTIA
“L’obiettivo del nostro studio – spiega il professor Emmi – era quello di creare un documento di sintesi sulla sindrome di Behçet in attesa del nuovo aggiornamento delle linee guida EULAR sulla gestione e il trattamento della patologia, la cui pubblicazione è prevista non prima del 2025”. Il lavoro compiuto da ricercatori dell’Università di Firenze ha sicuramente raggiunto il suo scopo, rappresentando una panoramica completa ed esaustiva sulla sindrome di Behçet, utilizzabile dai clinici di tutto il mondo come strumento di supporto per la diagnosi e la gestione di questa malattia rara e complessa.
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