Prof. Giacomo Emmi (Firenze): “Ormai sappiamo che la patologia ha caratteristiche differenti rispetto alle altre vasculiti ANCA-associate e va trattata in maniera specifica”
“All’interno di un quadro eterogeneo e complesso come quello delle vasculiti ANCA-associate (AAV), la realizzazione di linee guida specifiche per la granulomatosi eosinofilica con poliangioite (EGPA) rappresenta uno degli strumenti più validi che abbiamo a disposizione per contribuire a ridurre le forme inappropriate di assistenza, migliorare le prestazioni sanitarie, favorire l’aggiornamento di medici e specialisti e fornire spunti per nuove ricerche nel settore”, afferma Giacomo Emmi, professore associato di medicina interna dell’Università di Firenze e dirigente medico presso la SOD di Medicina Interna Interdisciplinare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze, diretta dal professor Domenico Prisco. Il prof. Emmi, infatti, è uno degli esperti che hanno collaborato alla stesura delle prime raccomandazioni europee per la diagnosi e il trattamento della EGPA, recentemente pubblicate su Nature Reviews Rheumatology.
LA PATOLOGIA
La granulomatosi eosinofilica con poliangioite (EGPA), nota anche come sindrome di Churg-Strauss, è una rara vasculite sistemica associata, in circa il 30% circa dei casi, alla presenza di anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (ANCA), e caratterizzata clinicamente da asma, eosinofilia periferica o tissutale e coinvolgimento vasculitico di diversi organi. Come in altre forme di vasculite, infatti, la EGPA può essere accompagnata da un processo infiammatorio che interessa la parete dei vasi sanguigni diffusi in tutto l’organismo, in modo particolare quelli delle vie respiratorie (distretto otorinolaringoiatrico e polmoni), dell’apparato gastrointestinale, della cute, del sistema nervoso centrale e periferico, dei reni e del cuore.
“Storicamente, la EGPA è sempre stata accomunata alle altre due forme di vasculiti ANCA-associate: la granulomatosi con poliangioite (GPA) e la poliangioite microscopica (MPA)”, racconta il professor Emmi. “Tuttavia, ormai da qualche anno sappiamo che, mentre la GPA e la MPA presentano numerose caratteristiche comuni, la EGPA, sia per il suo meccanismo di insorgenza che per i suoi fenotipi clinici, va considerata come una patologia differente e quindi trattata in maniera diversa: da qui l’esigenza di avere linee guida specifiche per questa malattia”.
UN GRUPPO EUROPEO DI ESPERTI
“Insieme ad Augusto Vaglio, professore associato di nefrologia e dirigente medico dell’Unità di Nefrologia dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, e a Benjamin Terrier, professore ordinario di medicina interna presso l’Ospedale Cochin di Parigi, nel 2018 abbiamo istituito un Gruppo di Studio Europeo sulla EGPA (EESG)”, spiega il professor Emmi. “L'intenzione era quella di creare una rete di clinici e ricercatori provenienti dai principali centri di riferimento europei per la diagnosi e la cura della EGPA, al fine di promuovere studi clinici e traslazionali, migliorare la conoscenza della malattia e sviluppare nuove raccomandazioni sulla diagnosi e sul trattamento”.
Attualmente, il Gruppo EESG comprende esperti di EGPA provenienti da più di 30 centri sparsi in tutta Europa e oltre (Italia, Francia, Spagna, Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Turchia, Grecia, Svezia e Russia) e collabora attivamente con altri team di ricerca e con le associazioni dei pazienti.
LE LINEE GUIDA
Le prime linee guida europee sulla diagnosi e il trattamento della EGPA, pubblicate su Nature Reviews Rheumatology, rappresentano uno degli importanti risultati raggiunti dal Gruppo di Studio EESG. “Esistono già delle linee guida, ad esempio quelle realizzate dall’American College of Rheumatology e dalla Vasculitis Foundation o quelle della European Alliance of Associations for Rheumatology, ma coprono tutte le forme di vasculiti ANCA-associate”, ricorda il professor Emmi. “Visti i progressi compiuti nella comprensione della EGPA e la disponibilità di nuove e sempre più efficaci opzioni terapeutiche, la nostra esigenza era quella di sviluppare delle linee guida specifiche per questa patologia”.
A tale scopo, due diversi comitati di esperti, uno centrale (composto da cinque membri, tra cui il professor Emmi) e uno di voto (costituito da venticinque clinici con competenze in immunologia, reumatologia, nefrologia, medicina interna, pneumologia, cardiologia, chirurgia e otorinolaringoiatria) hanno lavorato in sinergia per mesi con lo scopo di fornire indicazioni per la diagnosi, il trattamento e la gestione clinica della EGPA: il risultato di questo impegnativo processo è stato la formulazione di sedici raccomandazioni, tanto precise quanto facilmente comprensibili.
“Non è stato un lavoro semplice – racconta il prof. Emmi – perché la EGPA è una malattia estremamente complessa ed eterogenea. Innanzitutto, i sintomi sono sovrapponibili a quelli di altre forme di vasculite o malattie con eosinofilia e la diagnosi può risultare difficile”. I pazienti affetti da questa patologia presentano tipicamente una storia di asma bronchiale e rinosinusite cronica con polipi nasali. “Quando questi sintomi si presentano in associazione a eosinofilia e coinvolgimento d’organo (in particolare neuropatia periferica, pneumopatia infiltrativa, cardiomiopatia, ecc.) è necessario prendere in considerazione la possibilità che possa trattarsi di EGPA”. Non esistono criteri specifici né biomarcatori affidabili per la diagnosi della malattia: per questo motivo, l’individuazione della EGPA si deve basare sull’esame clinico obiettivo, sull’evidenza di vasculite e sulla presenza degli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili. “Tuttavia, gli ANCA sono presenti solo nel 30-40% dei pazienti affetti da EGPA: una percentuale decisamente modesta se paragonata al 70-90% di ANCA-positività che si riscontra nella GPA e nella MPA”, sottolinea il prof. Emmi. “La presenza o meno di questi anticorpi negli individui affetti da EGPA è associata a differenti manifestazioni cliniche: i pazienti ANCA-positivi mostrano più frequentemente caratteristiche di vasculite (come glomerulonefrite, neuropatia e porpora), mentre quelli ANCA-negativi sono più soggetti a sviluppare cardiomiopatia e pneumopatia”.
A causa della complessità della EGPA, è essenziale che la presa in carico del paziente avvenga ad opera di un team multidisciplinare, capace di prendere in considerazione tutti i diversi segni e sintomi attribuibili all’attivazione della patologia. Obiettivo del trattamento è proprio quello di indurre la EGPA in stato di remissione, ‘spegnendo’ l’attività di malattia con una terapia personalizzata sulla base delle manifestazioni cliniche. “Oggi sono disponibili nuovi approcci terapeutici in grado di modificare la storia naturale di questa patologia rara”, spiega il prof. Emmi. “Rispetto al passato, in molti casi riusciamo a tenere sotto controllo la EGPA senza costringere i pazienti ad assumere cortisone per tutta la vita. Da anni, infatti, oltre ai glucocorticoidi, possiamo utilizzare gli immunosoppressori tradizionali (DMARD, Disease-Modifying AntiRheumatic Drug), che sono in grado di ridurre l’infiammazione pur senza agire direttamente sulle sue cause scatenanti. Ma la vera svolta è stata la possibilità di trattare i nostri pazienti con farmaci biologici, più precisi ed efficaci: in particolare gli anticorpi monoclonali come mepolizumab, che è in grado di bloccare l’attività dell’interleuchina 5, una proteina chiave nei meccanismi di sopravvivenza e proliferazione degli eosinofili, e rituximab, il cui bersaglio è la proteina CD20, che si trova sulla superficie dei linfociti B”.
“Speriamo che il lavoro che abbiamo svolto finora e che continuiamo a svolgere con passione all’interno del Gruppo EESG possa aiutare la ricerca futura sulla EGPA”, conclude il professor Giacomo Emmi. “I nostri obiettivi a lungo termine sono ambiziosi: vogliamo acquisire una maggior padronanza dei meccanismi eziopatogenetici che caratterizzano questa forma di vasculite per agevolare la definizione di criteri diagnostici sempre più accurati, per favorire l’esplorazione di biomarcatori utili nella diagnosi differenziale e nella valutazione dell’attività della malattia e per facilitare la gestione delle comorbilità e delle complicanze correlate”.
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