Dal Congresso EHA, nuovi dati clinici offrono motivo di speranza ai pazienti più gravi, costretti a sottoporsi a trasfusioni multiple di sangue

In un incontro di pugilato, quando uno dei due contendenti ha preso il sopravvento sull’altro, sa di dover picchiare duro sino a portarlo al tappeto, specie se quello alle corde è un osso duro. Nel solco di questa metafora, la terapia genica rappresenta il pugile che picchia e la beta talassemia quello che subisce. Infatti, non si sono ancora spenti gli echi dei colpi inferti dall’uso della tecnica CRISPR-Cas9 per trattare l’emoglobina E-beta talassemia (HbE-BT), che un nuovo fendente alla beta talassemia proviene dal 23° Congresso della Società Europea di Ematologia (European Hematology Association, EHA), da poco conclusosi a Stoccolma, nel corso del quale bluebird bio ha presentato i risultati di due studi innovativi.

A voler essere precisi, la biotech americana ha sferrato non uno, ma due diretti alla malattia, presentando i risultati dello studio clinico di Fase I/II Northstar (HGB-204), condotto su pazienti affetti da beta talassemia trasfusione-dipendente (TDT) con qualsiasi genotipo, e dello studio di Fase III Northstar-2 (HGB-207), all’interno di cui si sta testando la terapia genica sperimentale a base di LentiGlobin per il trattamento di soggetti affetti da TDT con genotipo non beta0/beta0.

La beta-talassemia è una nota malattia ereditaria che, nella gran parte dei pazienti, si manifesta in forma grave, determinando una pericolosa anemia. In un articolo apparso qualche tempo fa sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine era apparso subito chiaro che LentiGlobin fosse in grado di ripristinare la normale produzione di catene beta dell’emoglobina, offrendo una speranza ai malati che, ad oggi, possono contare solo sul trapianto di cellule staminali ematopoietiche e sulle trasfusioni di sangue. Le trasfusioni, tuttavia, comportano un progressivo accumulo di ferro, che può essere eliminato ricorrendo a una terapia farmacologica non sempre facile da tollerare. Fortunatamente, le voci a sostegno della terapia genica di bluebird stanno crescendo di intensità. “I dati dei due studi indicano che una monosomministrazione di LentiGlobin potrebbe agire sulla causa genetica scatenante la TDT”, afferma David Davidson, Chief Medical Officer di bluebird bio. “Grazie al perfezionamento del processo di produzione, la maggior parte dei pazienti affetti dalla patologia con genotipo non beta0/beta0 è risultata trasfusione-indipendente e sta producendo un livello totale di emoglobina normale o quasi normale”.

Nel primo studio Northstar (HGB-204), già portato a termine, sono state testate la sicurezza e l’efficacia di LentiGlobin in soggetti con TDT ma, al fine di produrre un miglioramento degli esiti clinici, il processo produttivo di LentiGlobin è stato ulteriormente perfezionato: questa terapia funziona manipolando le cellule staminali prelevate dal midollo osseo del paziente, inserendo al loro interno copie funzionanti del gene HBB per poterle poi reinfondere nel paziente stesso. Così, nello studio Northstar-2 (HGB-207), ancora in corso, sono state sottoposte a valutazione la sicurezza e l’efficacia della terapia LentiGlobin ottenuta da un processo di produzione perfezionato. “Questi perfezionamenti hanno portato a livelli sempre più elevati del numero di copie del vettore virale in vivo e di emoglobina osservati nei pazienti, e hanno determinato un miglioramento delle caratteristiche della terapia genica”, spiega il prof. Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, struttura presso cui si sta sperimentando il trattamento. “Tali miglioramenti hanno condotto alla prolungata indipendenza da trasfusioni nella stragrande maggioranza dei pazienti. I dati raccolti negli oltre tre anni nello studio Northstar indicano come LentiGlobin potrebbe permettere alla maggior parte dei pazienti con genotipo non beta0/beta0 di raggiungere l’indipendenza da trasfusioni a lungo termine. Cambiando la storia naturale per numerosi pazienti.”

I primi passi di questa terapia genica innovativa sono stati mossi con uno studio (HGB204) che ha coinvolto centri in USA, Australia e Tailandia, e che ha rivelato che i pazienti TDT beta+ che mostravano una produzione residua di emoglobina, erano in grado di raggiungere l’indipendenza dalla trasfusioni. “Sulla base di questi primi risultati promettenti, l’approccio di trasduzione delle cellule è stato ulteriormente rifinito e migliorato e sono stati avviati due altri studi: HGB207 per i pazienti beta+ e HGB212 per i soli pazienti beta0/beta0, ossia portatori di un difetto genetico che comporta l’assenza completa delle catene beta-globiniche”, prosegue l’esperto romano. “Ambedue gli studi sono stati estesi anche all’Europa, con la partecipazione di 5 centri in Francia, Germania, Regno Unito e Italia, a Roma, presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù”.

L'aumento dei centri di sperimentazione ha facilitato il cammino che porta alla domanda di approvazione di LentiGlobin nell’Unione Europea, che potrebbe giungere prima della fine dell’anno. “Continuiamo a lavorare in stretta collaborazione con gli sperimentatori clinici e le autorità regolatorie per portare a termine i nostri studi clinici tuttora in corso, in modo tale da offrire il prima possibile questa importante opzione terapeutica ai pazienti”, conclude Davidson, che precisa anche come bluebird stia sviluppando LentiGlobin con l’obiettivo di presentare una richiesta di approvazione, sia alla FDA americana e che all'EMA europea, non soltanto per il trattamento della TDT, ma anche dell’anemia falciforme grave.

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