Talassemia, intervista ai dottori Maffei e Selvatici

Nei pazienti con un difetto evidenziabile all’analisi delle frazioni emoglobiniche si procede al sequenziamento del DNA con metodiche NGS di nuovissima generazione

Per qualcuno l’esistenza di un rischio riproduttivo associato alla talassemia potrà essere un concetto remoto ma, per numerose coppie delle regioni del Sud-Italia e delle Isole, nonché per gli abitanti della zona del delta padano, lo screening per questa malattia è una procedura di significato concreto nella pianificazione di una gravidanza. Infatti, sapere di essere, o meno, portatori di talassemia può orientare le scelte dei genitori verso una diagnosi prenatale che, specie nel caso della beta-talassemia, risulta particolarmente importante. Il metodo di indagine di primo livello si basa sulla valutazione di parametri ematologici evidenziabili tramite semplici analisi del sangue. A cui fa seguito l’analisi molecolare di conferma.

LA VALUTAZIONE DELLE FRAZIONI EMOGLOBINICHE

Con quarant’anni di attività alle spalle, il nostro laboratorio, nel tempo, ha saputo usufruire di un gran numero di tecniche, dalla caratterizzazione delle proteine fino alle prime metodiche molecolari”, ricorda il dott. Massimo Maffei, del Laboratorio di Genetica Umana dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova. “Ma un ruolo di rilievo spetta sempre allo screening biochimico, attraverso il quale è possibile intercettare e poi inquadrare un problema fin dall’indagine delle frazioni emoglobiniche, evidenziando la presenza di varianti a carico dei geni alfa- o beta-globinici”. Infatti, l’iniziale diagnosi di beta-talassemia si basa essenzialmente sugli aspetti ematologici e comincia con un’esperta lettura dell’emocromo da cui possono balzare all’occhio un basso volume corpuscolare medio (MCV) o una ridotta concentrazione corpuscolare media dell’emoglobina (MCHC), già considerate spie della malattia. I dosaggi di sideremia, transferrina, ferritina possono allargare il quadro ma è l’analisi delle frazioni emoglobiniche a offrire un’indicazione più robusta; questo esame, ottimale per lo screening delle emoglobinopatie, può essere seguito sia in elettroforesi capillare che in cromatografia di tipo HPLC.

Adottiamo la tecnologia della cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC), con cui si riescono a separare due o più composti presenti in una soluzione”, spiega Maffei. “Poche gocce di sangue vengono diluite e fatte passare all’interno di una colonna attraverso una serie di solventi che separano i vari componenti, dividendo le frazioni emoglobiniche e permettendo così di tracciare una tipica curva. Sulla base di ciò si interpretano i risultati e si osserva se ogni componente rispetta, o meno, i limiti di normalità”.

BETA-TALASSEMIA… MA NON SOLO

In particolare, l’attenzione ricade sull’incremento dei tassi di HBA2 e HBF indicativi di una beta-talassemia. Esistono, infatti, vari tipi di emoglobina: l’emoglobina A (HbA) - che rappresenta la componente principale - è formata da due catene polipeptidiche di tipo alfa e altre due di tipo beta. Queste sono codificate da geni localizzati, rispettivamente, sui cromosomi 16 e 11. L’HbA2 rappresenta circa il 2,5% del totale e l’HbF (emoglobina fetale) è una componente ancora inferiore che viene progressivamente sostituita dall’HbA dalle prime settimane dopo la nascita. “Un aumento di HbA2 intorno al 4-6% o di HbF fino al 20% evidenzia uno sbilanciamento”, precisa Maffei. “In modo particolare, l’HbA2 - formata da due catene alfa e due catene delta - fa da ago della bilancia per capire se tutte le catene sono espresse nel sangue del paziente nelle giuste proporzioni. Se il suo valore sale troppo oltre la soglia di normalità osserviamo uno squilibrio dovuto alla mancanza di catene beta che formano l’HbA. Da ciò si intuisce la presenza di un difetto nei geni beta”.

Diverso discorso riguarda i difetti dei geni alfa, evidenziabili per la presenza di picchi aggiuntivi sul tracciato. “Le carenze di un intero cluster alfa [cioè di un gruppo di geni alfa sullo stesso cromosoma, N.d.R.] comportano una riduzione del tasso di HbA2 al di sotto del 2%”, chiarisce l’esperto, facendo così riferimento all’alfa-talassemia, provocata dalla delezione di uno o più dei quattro geni che codificano per le catene alfa. “I quattro geni che codificano per le catene alfa sono interessati prevalentemente da delezioni [cioè mutazioni che comportano la scomparsa di un numero variabile di basi di DNA, da poche unità a diverse migliaia, N.d.R.], mentre le mutazioni puntiformi sono più rare. Alcune microcitosi - vale a dire situazioni in cui i globuli rossi hanno un volume (MCV) inferiore alla norma - sono dovute proprio a delezioni di geni alfa, ma senza cambiare il tasso di HbA2”.

Normalmente la diagnosi prenatale si esegue solo nei casi di beta-talassemia, ma per le popolazioni del Sud-Est asiatico e rare altre situazioni, anche le delezioni dei geni alfa assumono rilevanza. “In quelle aree tali delezioni sono molto più frequenti che in Europa e spesso interessano entrambi i geni sullo stesso cromosoma, perciò la combinazione di due individui portatori può risultare in un completo annullamento dell’espressione dei geni alfa”, precisa ancora Maffei. “Questa situazione, incompatibile con lo sviluppo normale del feto, è detta idrope fetale ed è meno diffusa in Europa rispetto all’Asia meridionale”. Tuttavia, l’attuale situazione geopolitica, dominata da flussi migratori consistenti impone di tener presente anche di questi casi.

SEQUENZIAMENTO DEL GENE: L’AGGIORNAMENTO DEI KIT

Alla coppia che desideri una gravidanza, le raccomandazioni aggiornate della Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie (SITE) suggeriscono un approfondimento dei geni beta - per la diagnosi di beta-talassemia - e la ricerca di un’eventuale triplicazione-quadruplicazione dei geni alfa globinici: quest’ultima situazione, associata a un portatore di un gene beta-difettoso, aggrava il fenotipo clinico, sfociando in una talassemia intermedia che determina in chi ne sia affetto un possibile bisogno di ricorrere alla terapia trasfusionale. Gli accertamenti a tale livello si eseguono ricorrendo ad analisi molecolari.

“Nell’ambito della diagnostica delle talassemie la nostra offerta consiste nell’analisi dei geni alfa e beta tramite le più moderne tecniche NGS”, aggiunge la dott.sa Rita Selvatici, dell’Unità Operativa di Genetica Medica presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara. “Ci siamo dotati di kit aggiornati che consentono di rilevare sia le singole mutazioni che le cosiddette Copy Number Variations (CNV) per cui alcune persone presentano sequenze definite del genoma che si ripetono. In questo modo possiamo dare un referto completo al paziente”. Nel recente periodo, infatti, sono stati compiuti enormi balzi avanti nella composizione dei kit diagnostici per la conferma molecolare delle mutazioni, passando da metodiche manuali, che prevedevano l’esecuzione in successione di diversi passaggi operativi, a metodi che con un unico passaggio consentono una valutazione complessiva delle sequenze. Con grande risparmio di tempo e risorse. “Nuovi e aggiornati kit per il sequenziamento dei cluster alfa e beta integrano l’analisi dei CNV e permettono di svolgere analisi più accurate anche su popolazioni dalle caratteristiche assai variegate”, aggiunge Selvatici. “Grazie a questi strumenti è possibile sequenziare in maniera completa i geni alfa e beta e, in certi casi, individuare varianti nuove da sottoporre all’attenzione dei colleghi nei database di riferimento, in modo tale che altri gruppi di lavoro in Italia e nel mondo al momento del bisogno possano consultare le schede cliniche dove è descritto il comportamento della variante dal punto di vista biochimico nonché sotto il profilo della patogenicità e della rilevanza clinica”.

Tutto ciò a vantaggio delle persone in cui gli esami di primo livello non abbiano prodotto un risultato certo nel definire lo stato di portatore. Ma non solo, perché l’analisi di molecolare va a beneficio di pazienti che riferiscono familiarità per microcitemia o che riportano varianti genetiche familiari note e, soprattutto, delle coppie che, in prospettiva di una gravidanza, si affidano al consulto del genetista per chiarire la loro situazione. “Alcune varianti emoglobiniche non producono una sintomatologia visibile”, conclude Selvatici. “Ma se entrambi i genitori sono portatori di mutazioni specifiche nei geni globinici, in un quarto dei casi il nascituro potrebbe essere affetto da talassemia”. Che in molti casi potrebbe tradursi in una forma di malattia dipendente dalle trasfusioni.

La rilevazione di eventuali delezioni e duplicazioni esoniche dei geni alfa e delle mutazioni nei geni alfa e beta permette di definire il quadro e pilotare le scelte successive per venire a conoscenza dell’assetto molecolare dei geni globinici del feto.

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