Nell’ambito di uno studio di Fase I, il trattamento sperimentale è stato somministrato a un bambino affetto da una rarissima forma di malattia
Una volta un uomo, colto in un momento di sfiducia, ha detto che una malattia neurodegenerativa è “mancanza di fede nel futuro”. È un’affermazione pesante e che potrebbe non essere del tutto corretta se si considerano i passi avanti compiuti dalla ricerca scientifica. A dimostrarlo è un articolo pubblicato sulla rivista Nature Medicine nel quale si riepiloga il percorso tracciato dai biotecnologi e pediatri dell’Hospital for Sick Children di Toronto per sviluppare una terapia genica contro la paraplegia spastica ereditaria di tipo 50, una rarissima malattia del sistema nervoso di cui soffrono appena un centinaio di persone nel mondo.
La paraplegia spastica ereditaria non è una malattia sola ma un insieme di condizioni neurologiche, piuttosto eterogenee nell’aspetto clinico e provocate da difetti genetici differenti: il minimo comune denominatore di questo insieme - di cui fanno parte la paraparesi spastica ereditaria, la paraplegia spasmodica infantile, la paraplegia spastica congenita, la paraplegia spastica spasmodica e la sindrome di Strümpell-Lorrain - è dato da una lenta e progressiva degenerazione delle estremità distali del tratto corticospinale. Di conseguenza, i pazienti tendono a presentare marcata debolezza, con spasticità muscolare e un decorso proiettato verso la paralisi.
Secondo recenti ricerche, sono oltre 13 i geni coinvolti nello sviluppo di queste patologie, la cui trasmissione varia da autosomica recessiva a dominante, con forme legate anche al cromosoma X. È difficile disporre di dati di frequenza aggiornati perché sono poche le famiglie identificate all’interno delle quali i membri di più generazioni sono stati colpiti dalla malattia. Nel caso della paraplegia spastica ereditaria di tipo 50 (SPG50) - la forma di cui è affetto Michael, il bambino a cui è stata somministrata la terapia genica sperimentale - si stima che meno di una persona ogni cinquanta mila nasca con i segni della malattia, la quale si manifesta nella prima infanzia con microcefalia, rigidità, spasticità e debolezza.
La famiglia di Michael ha saputo che il bambino era affetto dalla SPG50 quando questi aveva appena diciotto mesi: prima di ricevere l’infusione della terapia genica Michael poteva gattonare per un massimo di circa un metro e mezzo, riusciva appena a tirarsi su e a rimanere in piedi per un po’, muovendo pochi passi solo con l’assistenza dei genitori. Riusciva ad afferrare gli oggetti - come impugnare una penna per fare qualche scarabocchio - ma non era in grado di parlare e le sue capacità di comunicazione a gesti erano assai limitate. Gli arti inferiori erano colpiti da evidente spasticità ed eccessiva vivacità tendinea (una condizione detta iperreflessia).
I genitori di Michael avevano compreso che non esiste una terapia risolutiva per la condizione del figlio, il quale, nel giro di poco tempo, avrebbe avuto bisogno degli ausili per muoversi. Perciò hanno creato la CureSPG50 Foundation, allo scopo di raccogliere i fondi necessari a sviluppare una terapia genica con cui correggere le mutazioni a carico del gene AP4M1 che causano l’insorgenza della malattia. Infatti, solo grazie alla terapia genica è possibile ipotizzare di introdurre nelle cellule di Michael una copia sana del gene difettoso e sperare di arrestare la progressione della malattia.
L’articolo pubblicato su Nature Medicine descrive le fasi di progettazione del trattamento e sottolinea il valore della collaborazione tra i medici, i ricercatori e i vertici delle aziende per coordinare la ricerca, lo sviluppo e la produzione di una terapia genica che Michael ha ricevuto ad appena tre anni dalla diagnosi di malattia. Il primo successo - che era anche l’obiettivo principale dello studio clinico all’interno del quale è stata erogata la terapia - è stato relativo al fatto che nei dodici mesi successivi alla somministrazione, il bambino non ha avuto effetti collaterali gravi. Inoltre, sembra che la malattia non sia ulteriormente progredita, anzi, Michael per la prima volta è riuscito a stare in piedi con i talloni ben piantati a terra e ha anche registrato miglioramenti in alcuni aspetti dello sviluppo neurologico.
Ovviamente questa seconda valutazione sarà soggetta ad ulteriori e approfonditi controlli e ad uno stretto monitoraggio ma ciò che tutti sperano è che questo modello costituisca una base per altre patologie rare e ultra-rare, nonostante i ricercatori, i produttori e gli investitori siano consci del fatto che sussistono numerosi ostacoli sulla strada per una terapia genica, a partire dai costi di produzione. Tuttavia, il caso di Michael è esemplificativo perché, a partire dalla conoscenza delle basi genetiche della patologia, evidenzia la possibilità di sviluppare in un breve intervallo di tempo una terapia personalizzata sulle esigenze del malato. E questo è un ottimo motivo per avere fiducia nella ricerca scientifica.
Approfondisci la notizia su Osservatorio Terapie Avanzate.
Seguici sui Social