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Impatto psicologico miastenia

Una larga parte del burden of disease è data propriamente dall’impatto psicologico della diagnosi e dalla difficoltà di essere compresi

La miastenia gravis è una patologia rara, ma è anche e soprattutto una malattia cronica che, se non tenuta sotto stretto controllo e nelle sue forme più gravi, può essere fortemente invalidante.  Così come per la maggior parte delle malattie rare però, la modalità di gestione del percorso diagnostico, la modalità di comunicazione e la comprensione della diagnosi, possono influenzare significativamente sia la “storia della malattia” che la qualità di vita della persona malata.

Cosa significa sentirsi malato? E cosa significa sentirsi malati di miastenia gravis, una malattia che può insorgere all’improvviso (link) e che viene così spesso confusa con malattie psichiatriche? Stanchezza inspiegabile, diplopia (visione doppia), ptosi palpebrale (palpebre cadenti), difficoltà a controllare voce, masticazione e deglutizione: tutti sintomi che difficilmente vengono capiti al volo, e che possono esitare in una diagnosi di MG. E come ci si può convivere?

 Una risposta corale a questo interrogativo è emersa dalla pubblicazione “Miastenia, una malattia che non si vede , curata dall’Osservatorio Malattie Rare grazie al contributo non condizionato di UCB. Alla stesura del libro hanno partecipato un board scientifico d’eccellenza e le principali associazioni di pazienti italiane dedicate alla patologia che fanno parte dell’Alleanza Miastenia Gravis.

Ciò che accomuna le riflessioni dei rappresentanti dei pazienti è senza dubbio che l’impatto psicologico va di pari passo con la perdita delle forze fisiche. Forze che poi, con la giusta terapia, vengono recuperate nella maggior parte dei casi.

Prima di arrivare alla diagnosi, e dunque alla cura, c’è però un aspetto estremamente pesante: quello dell’incomprensione. La miastenia è una malattia che non si vede, “sei stanco e gli altri non capiscono perché”: sentirsi non capiti, non compresi, può essere devastante. A volte la miastenia viene confusa con la malattia psichiatrica, con ricadute molto pesanti sul vissuto personale.

L’impatto psicologico, soprattutto all’esordio, è enorme perché non capisci cosa succede - spiega Andrea Pagetta, Vicepresidente Associazione Miastenia Odv -  ti coglie una stanchezza stranissima che dura il tempo che te ne accorgi e poi sparisce, non sai a chi chiedere e molti di quelli che ti circondano sminuiscono la cosa. C’è da fare un grande lavoro personale per l’accettazione del cambiamento e per imparare a convivere con la malattia.”

“L’impatto psicologico è molto importante, perché va di pari passo con la perdita delle forze fisiche. Prima di arrivare alla diagnosi e alla cura c’è l’aspetto dell’incomprensione: la miastenia è una malattia che non si vede, sei stanca e gli altri non capiscono perché. – racconta Cristina Vatteroni, Associazione Italiana MIAstenia Onlus - Ci sono persone che hanno avuto esperienze tragiche in questo senso. A volte la miastenia viene confusa con il disagio psichico, che può però anche nascere come conseguenza della malattia stessa, specie per gli uomini che perdono la forza o per i ragazzi che si sentono deboli. È un aspetto che si supera man mano che si migliora, grazie al trattamento adeguato e al tempo necessario che resta molto variabile da caso a caso.”

La miastenia gravis è una malattia cronica. Se è vero che il 10% delle persone che ne soffre va incontro a una completa remissione, è bene ricordare che, secondo il Dr. Renato Mantegazza, direttore dell’Unità Operativa Malattie neuromuscolari e Neuroimmunologia del Centro di Ricerca Clinica dell’Istituto Carlo Besta di Milano, esiste un 30% di pazienti che non incorre in miglioramenti clinici. Nella maggior parte dei casi la malattia va tenuta sotto controllo attraverso una terapia costante, che andrà seguita per tutta la vita. 

Il problema è proprio sapere di essere dipendenti da una terapia – spiega Antonia Occhilupo, Presidente AMG - Associazione Miastenia Gravis APS - che può essere sì variabile nel tempo, ma comunque continua. Questo può portare a delle ricadute psicologiche nel paziente. La malattia è sempre vissuta come un evento traumatico, tutti conoscono il prima e il dopo, hanno una data stampata nella mente. E questa sofferenza invade tutti gli ambiti della vita di relazione del paziente.”

Il disagio psicologico è un aspetto che si supera man mano che si migliora, grazie al trattamento adeguato e al tempo necessario, che resta molto variabile da caso a caso. Resta il fatto che una diagnosi di malattia rara come la MG non può non impattare sulla sfera relazionale e intima della persona che di fatto deve adattarsi a una condizione cronica, che probabilmente lo accompagnerà per tutta la vita. La difficoltà che maggiormente descrivono le persone che con la MG convivono è quella di accettare, di sentirsi accettati, compresi, amati, nonostante i limiti imposti dalla malattia. Le narrazioni raccolte nella pubblicazione realizzata con l’Alleanza Miastenia Gravis permettono una migliore comprensione della complessità del vissuto delle persone con MG.

 “Una volta che la malattia è sotto controllo (“so che cos’ho, so come si chiama, so che la sto curando, vedo che tutto sommato riesco a fare quello che voglio”), la vita di relazione torna quella di prima con limitazioni molto relative. Problemi di relazione più seri ce l’hanno, invece, quelli che presentano sintomi che non rispondono alla terapia e sono evidenti all’esterno, perché questo ti fa stare male dentro e ti fa stare male con il prossimo. Il più serio di questi sintomi — spiega Andrea Pagetta, Vicepresidente Associazione Miastenia - che le persone avvertono maggiormente come un peso, si ha quando la muscolatura facciale è interessata dalla miastenia e si perde la capacità di esprimere le emozioni con il volto. Uno dei nostri simboli è, appunto, il koala, un animale che non ha mimica facciale. Frasi come “perché non ridi mai?” oppure “perché parli così male?” vengono percepite come una pugnalata. Poi magari, con calma, si riparte e si trova il coraggio di farsi vedere per come si è. Il problema è soprattutto all’inizio, perché quando la gente impara a conoscerti non ti fa più queste domande. Anche il momento della foto di gruppo è sempre un dramma per chi la miastenia, per via del fatto di non riuscire a sorridere o di essere immortalato con gli occhi mezzi chiusi. Questi sono i casi in cui le relazioni sono piuttosto difficili da affrontare, ma in assenza di sintomi così manifesti non sono un grande problema. In generale, insomma, siccome all’inizio hai dei limiti difficili da spiegare agli altri, tendi ad attuare strategie di tutti i tipi. Poi, grazie al confronto con altre persone che condividono il tuo problema (e in questo senso l’associazione è importantissima) e alle terapie che permettono di affrontare la vita in maniera più serena, trovi il coraggio di tornare in pista, accettando la malattia con la consapevolezza delle difficoltà che essa comporta.”

“Per la maggior parte dei pazienti c’è una coartazione delle amicizie e dei legami affettivi – racconta Antonia Occhilupo, Presidente AMG e psichiatra - il paziente ha bisogno di una lenta fase di adattamento alla nuova condizione di vita, dall’aderenza ai piani terapeutici all’accettazione della malattia stessa. Il paziente condiziona la famiglia, all’interno della quale inizia a crearsi la figura del caregiver: un marito, una moglie, un figlio ad un certo punto intercettano gli inevitabili condizionamenti della malattia. Ho esperienza di nostri soci la cui malattia non viene compresa e accettata all’interno della famiglia: il coniuge comincia a vedere il proprio marito o la propria moglie come “limitato”. E alcuni non comprendono la natura stessa della malattia, pensano che si tratti di un po’ di stanchezza e che passerà con un po’ di riposo. Insomma, c’è la difficoltà di accettare la nuova condizione di vita, sia nel paziente che nei familiari. Cambia anche l’immagine che il paziente ha di sé stesso e della vita: si sente più vulnerabile e più fragile.”

Vulnerabilità e fragilità che però non escludono atteggiamenti positivi e la possibilità di ritrovare, con la corretta terapia, una vita piena

“L’aspetto psicologico, così come la malattia, è soggettivo – specifica Redenta Cavallini, Vicepresidente Associazione Italiana Miastenia e Malattie Immunodegenerative - Amici del Besta - ODV Milano – Responsabile Sezione di Bergamo - Per quello che mi riguarda, la malattia non ha mai avuto nessun tipo di impatto psicologico particolare. Si parte, ci si cura e si lotta. Non ci si può lasciare sopraffare dalla malattia. Anche per quanto riguarda i farmaci, io, se devo prenderli, li prendo: l’impatto degli effetti collaterali lo vedrò dopo. Nelle malattie autoimmuni l’aspetto psicologico è fondamentale: il troppo dolore, come la troppa gioia, possono compromettere la malattia. Quindi siamo positivi, curiamoci e cerchiamo di vivere la vita al meglio. Se poi ci saranno degli imprevisti li affronteremo, ma senza disperarci prima del tempo.

 

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MIASTENIA, UNA MALATTIA CHE NON SI VEDE

 

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Lo Speciale Miastenia Gravis è una Campagna informativa realizzata da Osservatorio Malattie Rare grazie al contributo non condizionato di UCB che sostiene le attività dell’Alleanza Miastenia Gravis.

 

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