In Italia si stimano tra i 300 e 400 pazienti pediatrici, ma quelli con diagnosi accertata sono meno di 200

La sindrome da deficit del trasportatore del glucosio di tipo 1 (sindrome da deficit di GLUT1 o GLUT1-DS) è una malattia genetica rara che compromette il normale transito del glucosio dal sangue al cervello, causando l’assenza o una forte riduzione del glucosio stesso a livello encefalico, con conseguenze cerebrali gravissime. Di questa patologia ci parla Pierangelo Veggiotti, Professore ordinario di Neuropsichiatria infantile (Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche L. Sacco – Università di Milano) e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Neurologia pediatrica presso l'Ospedale “Vittore Buzzi” di Milano.

La sindrome da carenza di GLUT1 è un disturbo neurologico geneticamente determinato, causato da un insufficiente trasporto di glucosio nel cervello”, spiega il prof. Veggiotti. “Questo difetto nel trasporto si traduce in una scarsa presenza di glucosio nel cervello e quindi in una minore energia disponibile per le cellule nervose, ed è dovuto a una mutazione nel gene SLC2A1, che è finora l’unica nota per essere associata a questa condizione. La patologia è conosciuta anche come malattia di De Vivo, dal nome del medico che l'ha scoperta negli USA, nel 1991, descrivendo per la prima volta un’encefalopatia epilettica ad esordio precoce in cui aveva riscontrato una diminuzione di glucosio nel liquido cerebrospinale. De Vivo trattò questi bambini con la dieta chetogenica ottenendo dei buoni risultati. Fino ad oggi, però, la malattia è stata descritta in situazioni cliniche molto diverse da quelle di partenza, e con sintomi molto vari. Non solo: mentre un tempo i casi erano molto rari, oggi il numero dei pazienti individuati è in forte aumento, grazie ad una maggiore conoscenza della malattia rispetto al passato e all’uso più diffuso dei test genetici. Tuttavia, si pensa che il numero dei casi sia ancora sottostimato, sia perché non è una malattia conosciuta da tutti, sia perché molto spesso viene confusa con l'epilessia (che è uno dei sintomi). L'epidemiologia è ancora ignota, ma in Italia si stimano tra i 300 e 400 pazienti pediatrici, anche se in realtà i pazienti con diagnosi accertata sono meno di 200”.

“Attualmente – precisa Veggiotti – seguo sessanta bambini affetti da questa patologia e in alcuni casi si è scoperto che la malattia è stata tramandata inconsapevolmente per tre generazioni: ad esempio, abbiamo scovato tre famiglie in cui anche un genitore e un nonno erano affetti da deficit di GLUT1 senza saperlo, ai quali era stata diagnosticata una semplice epilessia resistente ai farmaci o che soffrivano di un disturbo del movimento di cui non si era mai capita la causa”.

“La sindrome – continua l'esperto – presenta un ampio spettro clinico che solitamente conta disabilità cognitiva, epilessia, discinesia parossistica indotta dall’esercizio fisico, microcefalia acquisita, anemia emolitica, disturbi dell’andatura e disprassia in diverse combinazioni. Tuttavia, ci sono altre manifestazioni cliniche che consideriamo ugualmente peculiari ma che finora sono state descritte in modo insufficiente e che non vengono interpretate come riferibili alla sindrome. In realtà, c'è una grande variabilità dei sintomi e della gravità della malattia: ci sono persone che hanno un ritardo cognitivo importante e altre invece che conducono assolutamente una vita normale. Ho conosciuto famiglie con nonni o genitori apparentemente sani o con modesti ritardi cognitivi o motori, nonostante fossero affetti dalla sindrome, e nipoti e figli con sintomi e disturbi molto più complessi”.

In Italia, la sindrome non rientra nell'elenco di malattie individuabili con lo screening neonatale. Inoltre, mentre nel nostro Paese non è ancora utilizzato, in Francia, Germania e Spagna esiste addirittura un test rapido per la diagnosi. “In Italia, quando vi è il sospetto clinico, la diagnosi viene ottenuta attraverso l’analisi liquorale da puntura lombare, per rilevare la quantità di glucosio presente, seguita da un’indagine genetica per individuare la mutazione”, chiarisce Veggiotti. “Il sospetto clinico  può sorgere già nei primi mesi di vita se i pazienti hanno un esordio precoce dei disturbi, ma anche a distanza di molto tempo, come quando ad esempio la malattia si manifesta con un disturbo del movimento favorito dall'esercizio fisico (ad esempio camminare, correre, ecc.)”.

Attualmente non esiste una terapia medica ma solo dietologica, attraverso la dieta chetogenica. I pazienti con GLUT1-DS devono iniziare tale dieta il prima possibile, per prevenire e trattare le manifestazioni patologiche della sindrome e poi continuarla per tutta la vita. “Questa dieta, attraverso la produzione di corpi chetogeni, riesce a fornire l’energia necessaria all’encefalo in difetto di zuccheri”, precisa Veggiotti. “La dieta interviene sul disturbo metabolico e permette un trattamento efficace delle crisi epilettiche e del disturbo del movimento, mentre per il deficit cognitivo i risultati sono variabili. Si tratta di una dieta squilibrata, con un alto contenuto di grassi e molto basso di proteine, carboidrati e glucosio e, anche se è conosciuta da cento anni, è sempre stata usata molto poco in Italia, perché è l’opposto della dieta mediterranea. In pratica, si mangia una grande quantità di cibi grassi per indurre una chetosi cronica (o acetone cronico), che porta ad un’alta produzione di chetoni, i quali forniscono l’energia che manca al cervello. Questo tipo di alimentazione, però, è estremamente complesso, e la dieta, strettamente personalizzata, dev’essere studiata a tavolino da un’équipe di specialisti esperti, composta da un neuropsichiatra, un dietologo, un dietista e un infermiere che aiuti la famiglia a gestire il tutto”, conclude Veggiotti.

Leggi anche: "Deficit di GLUT1, l’ingegno di una mamma che ha inventato un’App per la dieta chetogenica".

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