Intervista a Elisabetta Conti Presidente dell'Associazione Italiana Glicogenosi (AIGlico)
“Le glicogenosi sono un gruppo di oltre dieci malattie metaboliche, dovute alla carenza o al deficit funzionale di uno degli enzimi coinvolti nel metabolismo del glicogeno, il polisaccaride che funge da deposito e da riserva per le molecole di glucosio, che l'organismo utilizza prontamente in caso di bisogno di energia. Sono tutte malattie rare o rarissime - spiega Elisabetta conti, Presidente AIGlico - alcune sono strettamente epatiche, altre strettamente muscolari, altre ancora provocano un mix di sintomi epatici e muscolari. L'Associazione Italiana Glicogenosi (AIGlico) è nata nel 1996 dall'incontro di un gruppo di genitori della zona di Milano che avevano dei bambini affetti da glicogenosi di tipo 1, che è una forma epatica. Uno dei nostri soci fondatori, Fabrizio Seidita, è un medico pediatra, quindi, conoscendo bene tutte le glicogenosi (non solo quella di tipo 1 che ha colpito suo figlio), decise di creare un'associazione per queste patologie, della quale è stato il presidente per più di vent'anni. Oggi AIGlico conta circa duecento soci, ma i pazienti italiani – considerando solo la malattia di Pompe (glicogenosi di tipo 2), una delle tre forme meno rare, che insieme alla 1 e alla 3 rappresentano più del 90% dei casi – potrebbero essere circa trecento. Per raccogliere dati su questi pazienti esiste sia un registro italiano, compilato dai medici, che un registro internazionale, compilato dai pazienti”.
LE FORME DI MALATTIA
“La malattia di Pompe si può presentare in due forme: la prima, la più grave, è quella a esordio infantile, chiamata IOPD (infantile-onset Pompe disease). È facilmente diagnosticabile perché il bambino, già sintomatico alla nascita, presenta ingrossamento cardiaco, difficoltà a respirare e a inghiottire il cibo, e soprattutto la completa mancanza del tono muscolare (quello che viene definito 'floppy baby').
La seconda forma è denominata LOPD (late-onset Pompe disease): può presentarsi sia nei bambini che negli adulti e comporta una minore compromissione a livello cardiaco. È quindi una forma meno grave, ma il rovescio della medaglia è che si fa fatica a diagnosticarla, perché i sintomi possono essere lievi e può essere confusa con numerose altre malattie. Per alcune persone il primo sintomo è il dolore, per altre la fatica respiratoria o un progressivo deficit muscolare (si inizia a sentire la fatica o ad avere difficoltà nel fare certi movimenti)”.
LA DIAGNOSI DI MALATTIA DI POMPE
“Ogni persona ha una sintomatologia diversa, quindi non esiste un percorso diagnostico e terapeutico uguale per tutti. Anche due fratelli che hanno la stessa mutazione possono avere un fenotipo molto differente: magari uno sta benissimo, mentre l'altro non riesce più a camminare, e chiaramente questo ventaglio di sintomi complica la diagnosi.
Una soluzione potrebbe essere lo screening neonatale, che però al momento è attivo solo in 5 regioni su 20: Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Toscana e Puglia. Se fosse esteso a tutto il Paese, il bambino avrebbe la diagnosi fin dalla nascita, e anche se avesse una forma late-onset, alla presentazione del primo sintomo potrebbe già iniziare le terapie. Noi, come associazione, siamo favorevoli all'introduzione dello screening neonatale a livello nazionale, ma occorre considerare anche che questo test ha delle implicazioni di natura etica, e i medici potrebbero avere dubbi sulle scelte da prendere una volta giunti a una diagnosi: ci si pone la questione se iniziare subito la terapia o no, se aspettare i sintomi o no, che cosa fare in caso di una diagnosi dubbia... Le mutazioni, infatti, sono sempre in continuo aggiornamento: alcune sono note, ma ce ne possono essere altre ancora sconosciute. Io spero che si possa arrivare presto a una soluzione e all'introduzione dello screening in tutte le Regioni italiane”.
LE TERAPIE PER LA MALATTIA DI POMPE
“Per quanto riguarda le terapie, possiamo dirci soddisfatti: il primo farmaco per la malattia di Pompe è stato approvato quasi vent'anni fa, nel 2006, e negli ultimi anni sono state sviluppate altre due nuove molecole. Quello che ci piacerebbe è che ci fosse un'idea di personalizzazione della terapia a seconda dei bisogni delle persone, ovvero informazioni più precise su quale trattamento possa essere più indicato per una persona piuttosto che per un'altra. Però siamo fiduciosi e crediamo che anche questo progresso avverrà col tempo. Le terapie di cui oggi disponiamo sono efficaci nel rallentare i sintomi, migliorare la qualità della vita e soprattutto aumentare l'aspettativa di vita. Prima del loro avvento, nelle forme infantili l'aspettativa di vita era di circa due anni: ora, invece, i bimbi non muoiono quasi più, specialmente se iniziano la terapia appena nati. Anche nelle forme tardive l'aspettativa di vita si è allungata: i sintomi continuano a comparire, ma in forma più lieve.
Tuttavia, si tratta di una terapia e non di una cura: questi farmaci hanno l'effetto di rallentare la malattia, ma non di bloccarla. Molti pazienti, soprattutto quelli che hanno avuto la diagnosi da poco tempo, sperano di poter eliminare i sintomi, ma non è così: una volta che compare il sintomo, vuol dire che il muscolo è stato danneggiato e il danno è irreparabile, quindi il trattamento serve solo a evitare un danno ulteriore. È una terapia che va fatta a vita: nella forma adulta si va in ospedale ogni due settimane, mentre nelle forme pediatriche il pediatra può decidere di aumentare le dosi o la frequenza delle somministrazioni. L'infusione dura fra le 4 e le 5 ore, ma se si hanno episodi di intolleranza o di allergie può durare anche tutta la giornata, perché bisogna fare un pre-trattamento con cortisonici o antistaminici”.
I CENTRI DI RIFERIMENTO E I PDTA
“Un altro problema sono i centri di riferimento: sono pochi e molto spesso bisogna uscire dalla propria Regione per fare le visite di routine. A volte, inoltre, non sono presenti tutte le figure necessarie per gestire una malattia multisistemica come la nostra: neurologo, pneumologo, gastroenterologo, fisiatra, fino al fisioterapista e allo psicologo. Questi ultimi, in particolare, se sono presenti, in molti casi non conoscono la patologia. Per alcuni di noi è problematico anche andare dal dentista o dal ginecologo, perché si fa fatica a stare distesi, si ha difficoltà a respirare e i lettini non sono adatti alle persone disabili. Ma questo è un problema che riguarda non solo la malattia di Pompe ma tutta la sfera della disabilità.
Anche il trasporto con mezzi adattati verso un centro di riferimento in un'altra Regione spesso non è offerto dal servizio pubblico. Le nuove terapie sono adatte ad essere somministrate a domicilio e le case farmaceutiche offrono un servizio gratuito di infermieri a domicilio, formati appositamente per la somministrazione del farmaco: lo Stato non dovrebbe pagare nulla, ciò nonostante ci sono Regioni come l'Emilia Romagna e il Piemonte che non hanno accettato questa proposta e solo in queste Regioni, anche se i medici approvassero, il paziente non può scegliere di avvalersi della home therapy.
Infine, ogni Regione ha il suo percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale (PDTA) e quindi il suo modo di trattare la patologia. Un fatto abbastanza assurdo: siamo così pochi che una disparità di trattamento non ha molto senso; bisognerebbe avere un solo PDTA a livello nazionale.
LE ATTIVITÀ DELL'ASSOCIAZIONE AIGlico
“Una delle principali attività dell'associazione è quella di raccogliere fondi per finanziare dei progetti di ricerca o delle borse di studio per medici e ricercatori. Al momento, per la malattia di Pompe, stiamo finanziando un progetto di fisioterapia respiratoria che coinvolge tre centri pneumologici per adulti (Milano – Fondazione Don Carlo Gnocchi, Trieste – Ospedale di Cattinara e Palermo – Policlinico Giaccone). I fisioterapisti hanno seguito i pazienti per un anno, a casa loro, e abbiamo già presentato i dati relativi ai primi sei mesi di lavoro. Ora stiamo cercando di capire se sia fattibile anche per i bambini e gli adolescenti, perché la fisioterapia respiratoria è un'attività abbastanza noiosa da fare e bisognerebbe abbinarla a un gioco o a qualcosa di divertente.
Abbiamo anche altri progetti di fisioterapia adattata: uno presso l'ospedale di Udine che prevede la fisioterapia attraverso l'uso di un videogioco; per un altro abbiamo collaborato con un'associazione per la creazione di diversi video di fisioterapia adattata che abbiamo messo online; infine, stiamo portando avanti un progetto di health coaching e mindfulness insieme all'Associazione Italiana Health Coaching – AIHC e organizziamo degli incontri con i nostri pazienti e i loro familiari. Ci confrontiamo su vari ambiti, ad esempio la genitorialità quando i bambini hanno una patologia, il rapporto di coppia quando uno dei due partner è malato, il rapporto con i fratelli, la gestione della rabbia e l'autodeterminazione come paziente. A volte, nel rapporto con il medico, si ha una reazione di chiusura o di completa sottomissione: il nostro scopo, invece, è che il paziente sappia quali sono le sue esigenze, i suoi diritti e i suoi doveri, e abbia con il medico un dialogo più equilibrato.
Far parte di un'associazione è importantissimo per chi ha una malattia rara, perché a volte il confronto con gli altri pazienti è molto più illuminante rispetto al solo confronto con i medici. Faccio un esempio: chi nasce miope e non ha mai portato gli occhiali crede che il mondo sia effettivamente sfocato; non gli viene il dubbio che gli altri vedano meglio di lui, perché per lui è sempre stato così. È la stessa cosa per la malattia di Pompe: a volte ci sono persone che fanno fatica a fare un movimento, ma non pensano di avere una malattia. Chi ha appena avuto la diagnosi è confuso e arrabbiato, ma il fatto di poter parlare con altre persone che magari hanno la stessa malattia da decenni e quindi l'hanno in un certo senso accettata, può essere utile a capire come sarà il futuro, a non avere paura e a sentirsi meno soli”.
L'associazione AIGlico fa parte dell'Alleanza Malattie Rare.
Seguici sui Social