È quanto emerge dalla survey nell’ambito del progetto Caring Fabry, condotta da AIAF in collaborazione con Helaglobe
Sono circa 20 le giornate che, in media, una persona con malattia di Fabry perde ogni anno per recarsi in ospedale e sottoporsi a visite e terapie: è quanto emerge da un’indagine realizzata dall’Associazione Italiana Anderson-Fabry (AIAF-APS), un dato già rilevato nel 2018 e riconfermato attraverso una survey più recente, nell’ambito del progetto “Caring Fabry”, realizzato in collaborazione con la Società Helaglobe Srl. Obiettivo: colmare la disparità tra bisogno di assistenza e attuale presa in carico, disegnando il modello ideale di presa in carico del paziente con malattia di Anderson-Fabry. In questo modo potranno essere ottimizzati i tempi e potrà essere migliorato il funzionamento degli attuali centri di cura.
Trattandosi di una patologia multisistemica – con interessamento prevalente di sistema nervoso, reni e cuore – un investimento così importante in “giornate perse” deriva, nella maggior parte dei casi, dalla difficoltà di far combaciare appuntamenti con specialisti diversi.
“Le persone con Malattia di Fabry hanno necessità di sottoporsi a numerose visite di controllo multidisciplinari, spesso organizzate in date diverse, che costringono a molteplici assenze dal lavoro o da scuola. A queste giornate, spesso si aggiungono ulteriori giornate di assenza per la gestione delle terapie, pari a 26 giorni annui per i pazienti in cura con la terapia enzimatica sostitutiva che non possono curarsi a casa. Anche la necessità di ritirare i farmaci in ospedale (spesso lontano da casa) per alcuni pazienti comporta ulteriori assenze dal lavoro. Tutte queste assenze comportano la necessità di fare ricorso a permessi, ferie o giorni di malattia al lavoro”, spiega la presidente AIAF, Stefania Tobaldini. “Non solo – prosegue –, il problema si riversa molto frequentemente anche sulle famiglie, perché spesso si ha bisogno dell’accompagnamento da parte di un familiare”.
L’indagine più recente, quella del 2023, ha coinvolto177 persone. I dati riportati fanno riferimento a 113 questionari completi e sono stati raccolti per analizzare l'accesso ai servizi, la distribuzione geografica e le caratteristiche demografiche dei partecipanti.
La maggior parte dei rispondenti proviene da Emilia-Romagna (22; 19,5%) e Lombardia (18; 15,9%), seguite da Lazio e Veneto con una percentuale del 11,5% ciascuno.
Il 90,3% dei rispondenti è una persona con patologia, mentre il 7,1% è un familiare di una persona minorenne con patologia.
Da quest’ultima survey è emerso che la maggioranza (83,2%) dei partecipanti ha un centro di riferimento nella propria regione di residenza, mentre il 16,8% deve recarsi fuori regione. Solo il 10,6% riferisce che il proprio medico di medicina generale o pediatra è in contatto con il centro di riferimento.
“La survey – illustra Davide Cafiero, Managing Director di Helalgobe – ha raccolto 113 questionari completi, su 177 partecipanti, i quali hanno evidenziato che il 30,1% dei rispondenti ha cambiato centro almeno una volta, principalmente per insoddisfazione verso il medico, il centro o la gestione delle visite (47,1%) e per motivi logistici (38,2%) come la distanza o il cambio di residenza”.
La necessità di dover fare ricorso a permessi o ferie è anche legata al mancato riconoscimento, per le persone con malattia di Fabry, di invalidità civile e benefici ai sensi della Legge 104/92. Secondo i dati raccolti, infatti solo al 9,7% dei rispondenti è stato riconosciuto lo stato di “persona con handicap grave”, Legge 104, l’unico che consente di accedere a un monte orario mensile di assenze, mentre per un ulteriore 15% lo stato riconosciuto è di “persona con handicap senza connotazione di gravità”. Inoltre, il 34,5% dei partecipanti non ha ottenuto il riconoscimento dell'invalidità civile, così come il 66,4% non ha ricevuto l'indennità di accompagnamento.
Per questo, per gestire le assenze dovute alla malattia, il 24,8% dei rispondenti utilizza permessi non retribuiti, un altro 24,8% usufruisce di permessi retribuiti e il 23% utilizza le ferie. Il 12,4% dei partecipanti si organizza fuori dall'orario di lavoro, mentre l'1,8% si avvale della Legge 104 per permessi specifici.
La survey del 2023, inoltre, conferma dati già emersi dalla precedente del 2018: il 43% dei rispondenti ha dovuto ridurre le ore di lavoro, mentre il 28% ha sviluppato nuove abilità per adattarsi alla situazione. Un ulteriore 28% ha abbandonato l'attività lavorativa, e un 17% ha dovuto cambiare lavoro.
Un’ottimizzazione della presa in carico e un maggior coordinamento dei diversi clinici coinvolti, dunque, potrebbe essere significativamente utile anche in termini di compensazione della mancanza di questo tipo di tutele.
“I dati mostrano – spiega ancora Tobaldini – che il 27,3% dei pazienti, senza grosse differenze tra le regioni, deve contattare personalmente il centro di riferimento per prenotare le visite, ma che a variare sono soprattutto le modalità di prenotazione e prescrizione, con evidenti differenziazioni tra Nord e Sud. Al Nord, il 74,2% dei partecipanti riceve prescrizioni dal medico del centro di riferimento durante la visita, mentre al Sud questa percentuale scende al 31%. Il 48,3% dei pazienti del Sud riceve le prescrizioni dal medico di medicina generale o dal pediatra, rispetto al 16,1% al Nord e al 22,9% al Centro. Queste differenze regionali evidenziano una disparità nell'accesso alle prescrizioni mediche, con un maggiore coinvolgimento dei medici di base nelle regioni meridionali (probabilmente a compensare la minore organizzazione dei centri di riferimento)”.
“La presa in carico da parte di un team multidisciplinare – spiega il prof. Federico Pieruzzi, direttore della S.C. di Nefrologia presso la Fondazione IRCCS Ospedale San Gerardo dei Tintori a Monza e coordinatore del Comitato Scientifico di AIAF – è uno degli aspetti più importanti nella gestione della malattia di Fabry. L’ideale è rappresentato dal paziente messo al centro di un gruppo di specialisti, possibilmente esperti della patologia, che sono in grado di monitorare i vari aspetti delle manifestazioni multisistemiche”.
Non a caso, i risultati della survey mostrano chiaramente che la disponibilità dei pazienti a sottoporsi a più accertamenti in un'unica giornata è alta. Il 63,7% si dichiara disposto a dedicare l'intera giornata (mattino e pomeriggio) e il 22,1% disponibile per l'intera mattinata. L'analisi statistica mostra che la disponibilità a più accertamenti in giornata non è correlata a variabili sociodemografiche o al numero di visite annue, ma è leggermente correlata al tempo di percorrenza per raggiungere il centro. In generale, i pazienti che impiegano meno tempo per raggiungere il centro sono più propensi a preferire accertamenti nella stessa giornata.
“L’indagine ha evidenziato che i servizi considerati prioritari da almeno 3 rispondenti su 10 sono: l’avere il team multidisciplinare in un unico luogo, avere la prenotazione automatica delle visite, lo svolgere visite ed esami in un’unica giornata, poter interloquire con medici e infermieri, avere un facilitatore burocratico, avere la documentazione dettagliata per le richieste di invalidità”, aggiunge Stefania Tobaldini. “Abbiamo intenzione – conclude – di proseguire ulteriormente con il progetto per coinvolgere e sensibilizzare un numero significativo di centri italiani di riferimento per la patologia, al fine di arrivare a una standardizzazione della presa in carico che permetta di conciliare fattivamente la dimensione lavorativa, personale e sanitaria delle famiglie che convivono con la malattia di Fabry”.
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