Oggi, per le persone affette da malattia di Fabry esistono, fortunatamente, diverse opzioni terapeutiche. A illustrarle è il Prof. Sandro Feriozzi, del Centro di Riferimento regionale per la Nefrologia e Dialisi, UOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale Belcolle di Viterbo, durante il corso annuale "Time2Fabry, la Fabryca dell'esperienza", svoltosi recentemente a Milano.
“Attualmente, le terapie per la malattia di Fabry appartengono sostanzialmente a due famiglie – spiega l’esperto – la prima si basa sulla sostituzione dell’enzima mancante e prevede due formulazioni, sia alfa sia beta, con caratteristiche diverse ma dall’effetto clinico sovrapponibile, la seconda si basa su una forma chiamata chaperone, ovvero una molecola che è in grado di proteggere l’enzima stesso laddove il paziente ne abbia una minima quantità, preservandone la possibilità di essere attivo e funzionale”.
Il convegno è stata l’occasione per presentare i nuovi risultati degli studi a lungo termine con la terapia enzimatica sostitutiva. “È emersa una cosa importante”, prosegue Feriozzi. “La terapia enzimatica, sia quella alfa che beta, si è dimostrata in grado di modificare il decorso naturale della patologia, riuscendo anche a migliorare la qualità di vita, almeno in parte, di questi pazienti. È inoltre in grado di ridurre, in gran parte di loro, il danno organico, soprattutto a livello renale e cardiaco”.
La terapia enzimatica sostitutiva ha dimostrato il suo limite unicamente a livello del sistema nervoso centrale, perché non è in grado di superare la barriera emato-encefalica. “Tuttavia, dopo 15 anni di terapia – conclude Feriozzi – possiamo dire che abbiamo assistito in prima persona a una tappa importante della ricerca medica e della terapia di una malattia molto debilitante, che incide anche sulla durata della vita di chi ne è affetto”.
Accanto a questi farmaci già disponibili, si stanno affacciando altri tipi di enzimi a più lunga durata, di derivazione anche vegetale, e prodotti che inibiscono e/o non permettono la formazione del substrato, cioè di quel prodotto molecolare terminale su cui l’enzima dovrebbe agire. Questi medicinali, però, sono ancora in sperimentazione.
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