malattia di Fabry, associazione AIAF OnlusSi chiama Lyso-Gb3 e potrà permettere una diagnosi veloce e non invasiva.
L’assegno di ricerca è stato vinto dal dr. Fabio Villanelli, del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche dell’Università di Firenze

La malattia di Fabry è una rara patologia causata da un deficit funzionale dell’enzima alfa-galattosidasi A che determina un progressivo accumulo di glicosfingolipidi non correttamente degradati in vari organi, tra i quali reni, cuore, occhi e sistema nervoso, causando seri danni. Oggi, la malattia viene efficacemente trattata con delle terapie farmacologiche, ma il punto debole rimane la diagnosi, che spesso arriva dopo molti anni, quando i danni si sono già verificati. La comunità scientifica si sta sforzando di elaborare metodi sempre migliori per la diagnosi, tra questi la determinazione dell’accumulo di Lyso-Gb3, esame che attualmente viene eseguito all’estero ma non in Italia. Per questo motivo, l’Associazione Italiana Anderson Fabry (AIAF) Onlus ha deciso di istituire un assegno di ricerca finalizzato allo sviluppo di questa metodica.

Il bando, per un importo di 35.000 euro, è stato vinto dal dr Fabio Villanelli, del Dipartimento di Scienze biomediche, sperimentali e cliniche dell’Università di Firenze, appartenente al gruppo di ricerca diretto dal Prof. Giancarlo la Marca. Il dr. Villanelli ha cominciato a lavorare alla ricerca il primo marzo scorso e il suo studio proseguirà fino al 28 febbraio 2019.  
“Oggi il dosaggio di questo marcatore non viene effettuato in modo sistematico ai pazienti italiani e spesso i campioni di sangue devono essere inviati a laboratori specializzati all’estero, con costi elevati di trasporto a temperatura controllata”, spiega la presidente di AIAF Onlus, Stefania Tobaldini. “Per questo, con la consulenza del nostro Comitato Scientifico e in collaborazione con il Prof. Giancarlo la Marca, è stato elaborato un progetto, interamente finanziato da AIAF Onlus, finalizzato a validare il dosaggio del Lyso-Gb3 su cartoncino, con un notevole risparmio sui costi di trasporto dei campioni. Auspichiamo che i risultati dello studio che abbiamo finanziato confermino la validità di questa metodica, perché vorremmo poter proporre, successivamente, l’inserimento di questo dosaggio tra gli esami garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale. Abbiamo deciso di dedicare l’assegno di ricerca alla memoria del Dott. Gino Di Nella, fondatore e Presidente del Gruppo Italiano Pazienti Fabry, (che, insieme ad AIPAF, nel 2016 è confluito nell’attuale associazione AIAF Onlus). Gino è venuto a mancare nel 2015 e, negli anni della sua presidenza, aveva dedicato molte energie alla raccolta fondi; oggi, con questo progetto, siamo orgogliosi di avere la possibilità di investire parte di questi fondi a servizio della ricerca, con la speranza di poter contribuire a migliorare la qualità di vita dei pazienti”.

“Questo studio, innanzitutto, intende dimostrare anche sulla popolazione Fabry italiana che il marcatore Lyso-Gb3 è effettivamente in grado di diagnosticare la patologia”, ha spiegato il coordinatore del progetto, Giancarlo la Marca, intervenendo lo scorso fine settimana alla riunione del Comitato Scientifico di AIAF Onlus, in occasione del Meeting Nazionale Pazienti Fabry tenutosi a Roma. “Lo studio verrà eseguito su 100 pazienti Fabry con diagnosi certa e su 200 controlli sani di età compresa tra i 4 e i 75 anni. L’esame sarà fatto contemporaneamente su campioni di sangue intero – come viene fatto in altri Paesi – e su gocce di sangue raccolte su cartoncino (DBS), una metodica che evita un vero e proprio prelievo e rende la raccolta e la spedizione molto più economica. Comparando i valori delle due metodiche potremo dimostrare se questo tipo di raccolta è praticabile ed eventualmente stabilire la correlazione tra i valori riscontrati. C’è poi un obiettivo secondario in questa ricerca, ma non meno importante: vedere se la concentrazione del marcatore può darci una misura dell’efficacia delle terapie effettuate dai pazienti, permettendone dunque, nel tempo, un utilizzo ottimale. Tutto questo permetterebbe di migliorare gli esiti terapeutici e anche la qualità della vita dei pazienti, in particolar modo di quelli dal profilo più complesso, che pur mostrando i sintomi della malattia hanno un'attività enzimatica normale. Per loro, la diagnosi certa arriva solo a seguito di una biopsia, un metodo invasivo e doloroso, che l’utilizzo di questo marcatore potrebbe, in futuro, evitare”. Si tratta a tutti gli effetti di uno studio clinico, che è stato approvato dal Comitato Etico Regionale della Toscana nel settembre 2017 ed è ora stato inviato ai comitati etici periferici di (ad oggi) 11 centri clinici italiani.  

“Con l’inizio della determinazione del Lyso-Gb3 anche in Italia si compie un notevole passo in avanti nello studio e nel monitoraggio del paziente con malattia di Fabry”, ha detto il dott. Renzo Mignani, del Dipartimento di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale degli Infermi di Rimini, coordinatore del Comitato Scientifico di AIAF Onlus. “La ricerca scientifica ha ormai confermato il ruolo fondamentale che tale Marker biochimico ha non solo nella diagnosi di malattia ma anche nel discriminare varianti geniche responsabili di fenotipi classici o di varianti atipiche tardive; o ancora di varianti non patogene, cioè non responsabili della malattia, in cui tale sostanza, e quindi la malattia, è del tutto assente. Ma la sua determinazione è altrettanto importante per valutare l’efficacia della terapia enzimatica o chaperonica in grado di ridurre significativamente la concentrazione del Lyso-Gb3 nel plasma. Noi tutti medici del Comitato Scientifico siamo veramente entusiasti di aver proposto e poi realizzato, grazie all’associazione pazienti che ha finanziato l’iniziativa, tale progetto di estrema utilità per il paziente con malattia di Fabry”.

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