Il basso impatto epidemiologico concorre alla scarsa conoscenza della malattia, spesso ritardando l’impostazione del percorso terapeutico
Nel 1954, in un articolo pubblicato su The New England Journal of Medicine, Benjamin Castleman descrisse il caso di una paziente con una massa a livello del mediastino che, all’esame istopatologico, mostrava una serie di peculiari modificazioni cito-architetturali della popolazione linfoide, in seguito definite come “iperplasia linfatica angio-follicolare”. È questo il primo caso documentato di quella che sarà successivamente denominata come malattia di Castleman, un rarissimo disordine del sistema linfatico contraddistinto dalla formazione di neoplasie benigne del tessuto linfonodale, riscontrabili in modo particolare nel distretto di testa e collo e a livello di addome e torace. Tra i maggiori conoscitori di questa malattia c’è il prof. Marco Paulli, Ordinario di Anatomia Patologica presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia e Direttore della Struttura Complessa di Anatomia Patologica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia: col suo aiuto cercheremo di comprendere nel dettaglio cosa sia questa patologia e quali siano al momento le possibili opzioni terapeutiche.
“La dizione di malattia di Castleman comprende in realtà uno spettro di disordini linfoproliferativi, aventi come denominatore comune alcuni peculiari aspetti istomorfologici ma caratterizzati da una spiccata eterogeneità sia sul versante clinico che su quello eziopatogenetico”, precisa Paulli. “Ad esempio, in un sottogruppo di casi di malattia di Castleman emerge il ruolo patogenetico dell’Herpes Virus 8 (HHV-8), sia in presenza che in assenza di una co-infezione col virus dell’HIV: la distinzione tra questa forma e le altre varianti della malattia è una passo diagnostico iniziale fondamentale, in quanto determina una differente gestione terapeutica dei pazienti”. Oltre alla forma unicentrica inizialmente descritta da Castleman, è stata successivamente riconosciuta l’esistenza di una forma multicentrica della malattia che si associa spesso alla presenza di sintomi sistemici, anche gravi. La variante multicentrica della malattia di Castleman è particolarmente eterogena sia sul versante della presentazione che su quello eziopatogenetico: in particolare, essa comprende - oltre alla già citata forma correlata a HHV-8 - quella associata alla sindrome POEMS (caratterizzata da polineuropatia, organomegalia, endocrinopatia, disordini plasmacellulari monoclonali e presenza di alterazioni cutanee) e la forma idiopatica, a sua volta ulteriormente distinta in una malattia associata a TAFRO (sindrome che comprende trombocitopenia, ascite, fibrosi reticolinica, disfunzione renale e organomegalia) e in una forma idiopatica.
SINTOMI
Orientarsi nel quadro della malattia di Castleman è tutt’altro che semplice. La variante diagnosticabile con maggior facilità è sicuramente quella classica, unicentrica, inizialmente descritta da Castleman, che si presenta in forma di una linfoadenopatia o di una vera e propria massa di tessuto linfoide, con una tipica istologia ialino-vascolare, termine che identifica la presenza di aspetti regressivi dei follicoli B, un significativo incremento della componente vascolare e varie alterazioni a carico delle cellule dendritiche follicolari. “La forma unicentrica della Castleman, si caratterizza, nella gran parte dei casi, per un decorso clinico favorevole, in assenza di un significativo quadro sintomatologico, e non infrequentemente, la diagnosi è incidentale”, spiega Paulli. “Al contrario, la forma multicentrica è una malattia severa che può mettere a rischio la vita del paziente; in tal caso sono frequenti varie alterazioni degli esami ematochimici, in associazione a gravi sintomi sistemici (febbre, dimagramento, alterazioni a carico della funzionalità degli organi maggiori), in buona parte riconducibili ad una iper-produzione di interleuchina 6 (IL-6) e/o a una serie di alterazioni dei meccanismi di regolazione funzionale correlati a questa interleuchina e al suo recettore”. Da ricordare anche che non pochi pazienti colpiti dalla malattia Castleman possono presentare severi disturbi respiratori, fra i quali dispnea, tosse, oppressione toracica ed espettorato striato di sangue.
L’esame istologico nella forma multicentrica della malattia mostra un quadro differente rispetto alla forma unicentrica: infatti, oltre alla frequente presenza di modificazioni ialino-vascolari, si può tipicamente documentare un significativo incremento della componente di plasmacellule con uno spettro istologico comprendente le forme miste (con combinazione di quadri ialino-vascolari e plasmacellulari) e le forme cosiddette plasmacellulari pure (sicuramente più rare) dove è predominante la componente plasmacellulare.
EPIDEMIOLOGIA
È difficile stabilire con precisione l’impatto epidemiologico di questa patologia a causa della sua rarità e dell’eterogeneità clinica. Secondo dati di una ricerca statunitense, la forma unicentrica della Castleman ha una frequenza di circa 16-19 casi per milione di persone/anno, mentre la forma multicentrica idiopatica è decisamente meno frequente, con un’incidenza di circa 3,4 casi per milione/anno. Al contrario, i dati di una stima giapponese attribuiscono una frequenza più elevata alla forma multicentrica idiopatica (2,4 casi per milione/anno) rispetto al valore di 0,6 casi per milione/anno della malattia unicentrica.
DIAGNOSI
“Le problematiche diagnostiche della malattia di Castleman riflettono l’eterogeneità clinica e di presentazione della malattia”, puntualizza Paulli. “Pertanto, un ruolo chiave nella corretta identificazione della malattia spetta all’anatomo-patologo. Infatti, l’identificazione di alcuni peculiari quadri istopatologici compatibili con questa malattia costituiscono il punto di partenza per ulteriori approfondimenti clinico-laboratoristici e strumentali che, valutati nel loro insieme, potranno portare a una diagnosi certa di malattia e a una caratterizzazione eziopatogenetica. È comunque importante ribadire che quella di malattia di Castleman è una diagnosi di elevata complessità, frutto non solo di una particolare competenza ed esperienza del patologo, ma anche della pratica realizzazione di un percorso diagnostico e terapeutico multidisciplinare con il coinvolgimento di vari specialistici clinici quali il medico internista, il reumatologo, l’ematologo, il radiologo e il laboratorista”.
Mentre la forma unicentrica della Castleman un mostra caratteristiche cliniche e istologiche più definite, quella multicentrica – in particolare la forma idiopatica – si presenta come una diagnosi molto complessa, dovendo esser distinta da vari altri disordini linfoproliferativi neoplastici e/o disreattivi: tra questi, oltre ad alcune forme di linfoma maligno, vi sono l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, l’artrite giovanile idiopatica, la malattia di Still dell’adulto e la linfoadenopatia IgG4-correlata. “Una tale complessità diagnostica ha spinto David Fajgenbaum - ricercatore e nel contempo paziente affetto dalla malattia di Castleman - a proporre, in un articolo del 2017 pubblicato sulla rivista Blood, l’introduzione di una serie di criteri diagnostici condivisi utili a facilitare e, per quanto possibile, standardizzare un ambito diagnostico così complesso”, precisa Paulli. “Lo schema di Fajgenbaum prevede la distinzione dei criteri diagnostici in maggiori (tra questi l’istologia) e minori, che combinati e analizzati criticamente, contribuiscono a delineare un profilo identificativo della malattia e delle sue varianti cliniche”.
TERAPIA
“L’opzione chirurgica è il trattamento d’elezione della forma unicentrica della malattia di Castleman, con scomparsa delle manifestazioni sintomatologiche ad essa correlate”, continua l’esperto pavese. “Invece, la forma idiopatica della malattia, tipicamente multicentrica e spesso associata a sintomi anche gravi, richiede il ricorso a una terapia sistemica, allo scopo di bloccare il ‘pathway’ dell’interleuchina 6 (IL-6) ed eliminare le cellule responsabili dell’iperproduzione di questa citochina. Tale terapia sistemica prevede l’impiego di siltuximab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’IL-6 umana che ha fornito ottimi risultati, soprattutto nei pazienti con marcate alterazioni dei diversi parametri dell’infiammazione”.
Nelle forme più gravi è possibile un’associazione con farmaci steroidei e, nei casi che non rispondono al siltuximab, è stato proposto l’impiego del tocilizumab. “Vari studi hanno recentemente dimostrato nella malattia di Castleman una serie di alterazioni genetico-funzionali, tra cui l’attivazione della vie di segnalazione di m-TOR e di JAK/STAT, che potrebbero rappresentare dei possibili bersagli terapeutici, specie nei casi refrattari al siltuximab”, conclude Paulli. “Dati preliminari sembrano indicare risultati promettenti relativamente all’impiego rispettivamente del sirolimus (inibitore di m-TOR) e del ruxolitinib (inibitore di JAK). Si tratta comunque di indicazioni che dovranno essere oggetto di ulteriori approfondimenti e verifiche cliniche”.
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