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Dott.ssa Sabina Zambon (Padova): “Grazie ai farmaci di ultima generazione la qualità di vita dei pazienti è migliorata e le famiglie ci ringraziano ogni giorno. Questo è davvero emozionante”

A certe persone una malattia rara può far sentire il proprio fardello non solo tramite le complicazioni sull’organismo bensì attraverso le soluzioni terapeutiche necessarie per combatterla. Quello che può sembrare a tutti gli effetti un controsenso è stata, fino a non molti anni fa, la quotidianità dei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare omozigoteuna condizione ereditaria che provoca un pericoloso rialzo dei livelli di colesterolo - specie di quello “cattivo”, cioè il colesterolo LDL - nel sangue. A queste persone, che nella gran parte dei casi sono ancora bambini, una dieta a basso contenuto di lipidi non basta, e nemmeno è sufficiente la terapia con le statine; fino a prima dell’avvento dei farmaci che modificano il profilo lipidico e degli anticorpi monoclonali, la terapia d’elezione era l’aferesi lipoproteica (o LDL-aferesi), una pratica estremamente invasiva.

L’aferesi lipoproteica è una sorta di dialisi del sangue”, spiega la Dott.ssa Sabina Zambon, dell’UOC Clinica Medica 1, MG Osservazione Rapida Intensiva, presso l’Azienda Ospedale Università di Padova (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare la video-intervista). “Tale metodica viene raccomandata già in certi bambini al raggiungimento di un dato peso corporeo ed è ripetuta almeno una volta alla settimana (all’inizio anche di più), richiede parecchio tempo ed è dunque una pratica invasiva”. Ha lo scopo di rimuovere in maniera selettiva le particelle di colesterolo LDL, filtrando il sangue attraverso un circuito extra-corporeo, come per ripulirlo del grasso in eccesso che, comunque, si riforma rapidamente, costringendo a ripetere in maniera sistematica la procedura.

L’aferesi lipoproteica è una tecnica che Sandro, paziente affetto da ipercolesterolemia familiare omozigote, conosce bene, dal momento che vi si è sottoposto per lungo tempo. “Mi è stata diagnosticata la malattia quando avevo 5 anni”, ricorda. “Avevo un livello di colesterolo totale di circa 650 mg/dL [di norma la soglia da non superare è di 200 mg/dL, N.d.R.] e, dopo diverse visite con i medici specialisti, ho iniziato ad assumere le statine. Poi quando avevo circa trent’anni è arrivato il momento dell’aferesi lipoproteica, che ha comunque diverse complicazioni. È una procedura pesante da tollerare che obbliga chi vi si sottopone ad impostare la propria vita sui ritmi e i tempi del trattamento. L’esistenza quotidiana deve essere pianificata in base a tale opportunità di cura ma ci sono pesanti risvolti ti tipo sociale ed economico da accettare”. Per anni, infatti, Sandro ha dovuto richiedere permessi ai propri datori di lavoro, venendo a compromessi e rinunciando a molte delle cose che costituiscono la quotidianità delle persone sane. Inoltre, come molti altri pazienti, si è scontrato con il farraginoso meccanismo della burocrazia italiana, a cui la malattia e i suoi oneri sono praticamente sconosciuti.

Da qualche tempo, fortunatamente, è stata introdotta sul mercato una nuova categoria di farmaci. “Prima per i pazienti adulti, e ora anche per i bambini, abbiamo a disposizione terapie per bocca molto efficaci”, riprende Zambon. Una di queste terapie è la lomitapide, già impiegata nei pazienti come Sandro, con più di 18 anni e una diagnosi di ipercolesterolemia familiare omozigote, ma allo studio anche nei bambini; l’altro trattamento di ultima generazione è dato dagli anticorpi monoclonali, come evolocumab o evinacumab, grazie a cui sta diventando possibile rinunciare all’aferesi lipoproteica, con grande sollievo per i piccoli pazienti e le loro famiglie.

“Evinacumab, ad esempio, agisce contro l’angiopoietina-3, una proteina che modula il metabolismo delle lipoproteine plasmatiche, regolando soprattutto il livello del colesterolo LDL e dei trigliceridi”, precisa Zambon. “In tal modo rimuove l’eccesso di colesterolo in circolo, soprattutto quello cattivo. È una terapia somministrata per via endovenosa una volta ogni quattro settimane, in una seduta di circa un’ora, ed è ben diversa dall’aferesi delle lipoproteine, sia per frequenza che per impegno del paziente”. Da circa cinque mesi Sandro ha iniziato la terapia con evinacumab senza alcuna controindicazione e con dei grossi vantaggi, perché ha finalmente potuto interrompere la procedura di aferesi lipoproteica. “Oggi ho un livello di colesterolo intorno a 150 mg/dL”, racconta, affermando di stare bene. “Sono nato prima che molte delle attuali soluzioni fossero approvate e usate in clinica, ma per i bambini che oggi vengono al mondo con questa malattia si prospetta una cammino terapeutico decisamente migliore di quello, costellato di complicanze, che ho avuto io”.

Grazie a questi nuovi farmaci stiamo vivendo un grande cambiamento”, conclude Zambon. “Purtroppo, non tutti i Paesi, neppure molti di quelli più industrializzati, godono delle opportunità ottenute in Italia. Fino ad alcuni anni fa l’ipercolesterolemia familiare era una malattia che poteva portare il paziente alla morte in giovane età, ma oggi, per fortuna, nel nostro Paese abbiamo a disposizione terapie che non solo ci permettono di abbandonare un trattamento invasivo e molto impegnativo come l’aferesi lipoproteica, ma ci consentono anche di accompagnare i pazienti nella crescita, fino all’età adulta, come Sandro può testimoniare, allontanando il più possibile il rischio di complicanze della malattia”.

La video-intervista alla Dott.ssa Sabina Zambon è stata realizzata da OMaR con il contributo non condizionante di Ultragenyx.

 

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