Urge maggiore attenzione agli adolescenti. Il punto con Franca Fagioli, direttrice del dipartimento patologia e cura del bambino dell’ospedale "Regina Margherita" di Torino
La Professoressa Franca Fagioli, una delle massime esperte di tumori pediatrici in Italia, direttrice del dipartimento patologia e cura del bambino dell’ospedale "Regina Margherita" di Torino, ci offre una panoramica approfondita su questa importante e delicata tematica. Ogni anno nel nostro Paese si registrano circa 1500 nuovi casi di tumore nella fascia d'età 0-14 anni e 800-900 casi tra gli adolescenti di 14-18 anni. Si tratta di numeri significativi che richiedono grande attenzione da parte del sistema sanitario e della società nel suo complesso.
I TUMORI PEDIATRICI IN ITALIA
Le tipologie di tumore più frequenti variano in base all'età del paziente. Nei bambini fino a 14 anni prevalgono le leucemie, in particolare la leucemia linfoblastica acuta che conta circa 400 diagnosi annue. Negli adolescenti, invece, il tumore più comune è il linfoma di Hodgkin, con circa 150 casi all'anno, seguito sempre dalla leucemia linfoblastica acuta. Queste due categorie, leucemie e linfomi, rappresentano quindi le sfide principali nell'ambito dei tumori pediatrici.
Ma non sono le uniche. “Oltre a leucemie e linfomi – spiega la professoressa Fagioli, membro del comitato scientifico di Osservatorio Malattie Rare - altri tumori che colpiscono bambini e adolescenti sono quelli cerebrali, che rappresentano la categoria più frequente tra i tumori solidi pediatrici. Poi ci sono neoplasie tipiche dell'età pediatrica come il neuroblastoma, che origina dalle cellule del sistema nervoso simpatico, e l'epatoblastoma, un tumore del fegato che colpisce soprattutto nei primi anni di vita. Negli adolescenti sono caratteristici anche i tumori ossei, in particolare l'osteosarcoma”.
I TUMORI PEDIATRICI NON SI CURANO COME QUELLI DEGLI ADULTI
È importante sottolineare che anche quando questi tumori condividono il nome con quelli che colpiscono gli adulti, come nel caso dei sarcomi, in realtà presentano caratteristiche biologiche e di trattamento completamente diverse. Questo significa che non possono essere affrontati allo stesso modo e richiedono competenze e protocolli specifici per l'età pediatrica. “Un aspetto cruciale nell'affrontare i tumori pediatrici è la tempestività della diagnosi – rimarca l’esperta - nella fascia 0-14 anni il tempo medio che intercorre tra la comparsa dei sintomi e la diagnosi è di circa 40 giorni. Un intervallo che, seppur breve, può essere ulteriormente migliorato con una maggiore consapevolezza di genitori e pediatri sui segni di allarme”. La situazione è più critica per gli adolescenti, in cui si registrano spesso ritardi diagnostici più lunghi, superiori ai 100 giorni. “Le ragioni sono molteplici: gli adolescenti spesso non hanno un medico di riferimento, tendono a sottostimare i sintomi o si vergognano a farsi visitare. Questo ritardo può avere conseguenze significative sulla prognosi”. Per ovviare al problema, la professoressa Fagioli suggerisce l'importanza di campagne di sensibilizzazione mirate specificamente agli adolescenti sui sintomi a cui prestare attenzione, come linfonodi anomali, febbre o dolore persistente, dimagrimento inspiegabile.
IL TRATTAMENTO DEI TUMORI PEDIATRICI
Nonostante le difficoltà, negli ultimi decenni sono stati fatti enormi progressi nelle cure dei tumori pediatrici. Oggi guarisce oltre l'80% dei piccoli pazienti, con punte del 90% per alcune forme come leucemie linfoblastiche acute, linfomi e tumori di Wilms (un tumore del rene tipico dei bambini piccoli). Risultati straordinari sono stati ottenuti anche per i tumori ossei grazie all'introduzione della chemioterapia pre e post-operatoria: oggi meno del 5% dei pazienti subisce amputazioni, contro quasi il 100% di 30-40 anni fa.
Rimangono purtroppo ancora alcune forme molto aggressive e resistenti alle cure convenzionali, come certi sottotipi di neuroblastoma, su cui la ricerca è molto attiva per individuare nuove opzioni terapeutiche. Ma nel complesso, il bilancio degli ultimi decenni è estremamente positivo e incoraggiante.
“Il merito di questi successi - spiega la professoressa Fagioli - è da attribuire principalmente a due fattori. Da un lato la ricerca scientifica, che ha permesso di comprendere sempre meglio la biologia di questi tumori e di sviluppare terapie più mirate ed efficaci. Dall'altro, il modello organizzativo in rete che si è sviluppato in Italia fin dagli anni '70. I piccoli pazienti vengono trattati nei 49 centri AIEOP (Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica) con protocolli condivisi e diagnosi confermate da laboratori di riferimento per garantire omogeneità e qualità delle cure su tutto il territorio nazionale”.
Un altro elemento fondamentale è la presa in carico globale del bambino e della sua famiglia, con attenzione non solo agli aspetti strettamente clinici, ma anche a quelli psicologici, sociali, riabilitativi. Un approccio multidisciplinare che richiede il coinvolgimento di diverse figure professionali, dal pediatra oncologo allo psicologo, dall'assistente sociale al fisioterapista. Senza dimenticare il prezioso contributo del volontariato e delle associazioni di genitori, che affiancano le famiglie nel percorso di cura e sostengono le attività cliniche e di ricerca.
COSA SERVE PER MIGLIORARE LA PRESA IN CARICO DI QUESTI PICCOLI PAZIENTI
Nonostante i grandi traguardi raggiunti, le sfide in questo campo non mancano. Come sottolinea la professoressa Fagioli, gli sforzi devono concentrarsi soprattutto sui tumori più rari e aggressivi, per i quali servono nuove terapie mirate. In questo senso, la ricerca di base e traslazionale riveste un ruolo cruciale per identificare i meccanismi biologici alla base di queste forme tumorali e individuare possibili bersagli farmacologici.
“Altrettanto importante è garantire ai pazienti adolescenti l'accesso a protocolli clinici e centri di riferimento dedicati, superando le barriere socio-culturali che spesso li tengono ai margini. Troppo spesso, infatti, gli adolescenti finiscono in una "terra di nessuno", troppo grandi per i reparti pediatrici ma non ancora adulti. Servono quindi percorsi specifici che tengano conto delle loro esigenze peculiari, sia in termini di trattamento sia di supporto psicologico e sociale. Infine, con il progresso delle cure e l'aumento dei tassi di sopravvivenza, diventa sempre più importante sviluppare percorsi multidisciplinari per assicurare qualità di vita e integrazione sociale ai pazienti lungo-sopravviventi. Molti di loro, infatti, devono fare i conti con effetti collaterali a lungo termine delle terapie, sia fisici sia psicologici. Seguirli nel tempo, offrir loro supporto e opportunità di reinserimento scolastico e lavorativo è un imperativo etico e sociale”.
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