Secondo un recente studio, questo raro disturbo dello sviluppo neuroevolutivo risulta essere clinicamente e molecolarmente distinto dalle sindromi di Kleefstra e Kabuki
La malattia oggi definita sul database OMIM (Online Mendelian Inheritance in Man) come sindrome di Kleefstra di tipo 2 potrebbe cambiare nome: secondo una recente scoperta, infatti, il disturbo dello sviluppo neuroevolutivo correlato al gene KMT2C è clinicamente ed epigeneticamente distinto sia dalla sindrome di Kleefstra che da quella di Kabuki.
Le malattie monogeniche sono definite anche mendeliane perché, essendo determinate dalla presenza di un singolo gene mutato, la loro trasmissione ereditaria segue le leggi di Mendel. Fra queste, le patologie del meccanismo epigenetico sono tra le forme più comuni di disturbi dello sviluppo neurologico.
Le proteine KMT2D e KMT2C sono componenti importanti del processo epigenetico e sono coinvolte nella regolazione dell'espressione di vari geni. Nel 2010 le varianti eterozigoti, con perdita di funzione, del gene KMT2D sono state identificate come causa della sindrome di Kabuki di tipo 1. Invece, l'aploinsufficienza di KMT2C è stata riconosciuta solo di recente come causa di un disturbo neuroevolutivo, ora designato come sindrome di Kleefstra di tipo 2, il cui spettro clinico e molecolare è ancora in gran parte sconosciuto, poiché sono stati segnalati pochissimi pazienti con questa mutazione.
Un ampio team internazionale di ricercatori (tra i quali alcuni italiani dell'Università di Bologna e dell'ospedale pediatrico Meyer di Firenze), ha identificato 98 persone con mutazioni con perdita di funzione del gene KMT2C. Come spiegano gli studiosi sull'American Journal of Human Genetics, questi pazienti avevano caratteristiche cliniche sovrapponibili alla sindrome di Kleefstra, ovvero disabilità intellettiva, disturbo dello spettro autistico, dismorfismi facciali e altre caratteristiche cliniche variabili.
Oltre all'analisi genetica, è stato utilizzato lo strumento PhenoScore, un sistema basato sull'intelligenza artificiale che combina la tecnologia di riconoscimento facciale con altre caratteristiche cliniche per quantificare la similarità fenotipica. Applicato alle fotografie di 34 persone affette da mutazioni nel gene KMT2C, il PhenoScore ha rivelato che la facies dei pazienti è significativamente diversa dalla popolazione generale degli individui affetti da disturbi neuroevolutivi.
Ciò ha permesso ai ricercatori di dimostrare che il disturbo neuroevolutivo correlato al gene KMT2C – caratterizzato da ritardo dello sviluppo, disabilità intellettiva, problemi comportamentali e psichiatrici, ipotonia, convulsioni, bassa statura e altre comorbilità – è un'entità unica, clinicamente e molecolarmente diversa dalle sindromi di Kleefstra e Kabuki.
Anche in Italia ricercatori e clinici si stanno impegnando a conoscere meglio queste malattie genetiche rare: per la sindrome di Kleefstra, lo scorso anno, è stato presentato “Drop by drop”, il primo progetto di ricerca avviato nel nostro Paese, che ha l'obiettivo di costruire un registro dei pazienti e trovare delle soluzioni terapeutiche. Per la sindrome di Kabuki, sempre nel 2023, è stato inaugurato presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma un nuovo percorso che faciliterà la diagnosi e la presa in carico dei bambini affetti dalla patologia e delle loro famiglie.
Per la prima patologia è attiva l’Associazione Italiana Sindrome di Kleefstra, mentre per la seconda sono disponibili le associazioni Filo Raro APS (qui l'intervista di OMaR al presidente Matteo Redenti) e l’Associazione Italiana Sindrome Kabuki.
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