Un nuovissimo dispositivo è stato sperimentato in un 45enne affetto dalla patologia, che ha potuto riprendere a comunicare con la famiglia
La scorsa primavera a fare il giro delle testate giornalistiche mondiali fu Neuralink, il chip sviluppato dal team di ingegneri di Elon Musk. L’obiettivo dell’operazione Neuralink è di impiantare in una specifica regione del cervello un’interfaccia cervello-computer (Brain-Computer Interface, BCI) attraverso cui dare la possibilità di tornare a rapportarsi col mondo esterno a persone che abbiano subito un trauma - la cosiddetta sindrome locked-in che si presenta dopo un ictus grave - o siano affette da malattie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Naturalmente se c’è di mezzo c’è un personaggio controverso come Musk bisogna essere cauti ma la tecnologia delle BCI precede le dichiarazioni dell’imprenditore e patron di Tesla e Space X: la ricerca in questo campo, infatti, è ricca di altri interessanti esempi.
Uno di questi è stato recentemente descritto sulle pagine del New England Journal of Medicine da un gruppo di neuroscienziati dell’Università della California con sede a Davis. Nel loro articolo essi riportano i risultati dell’impianto di una nuova interfaccia cervello-computer progettata per consentire il ripristino della comunicazione in persone con gravi disabilità motorie e del linguaggio, come nel caso di un paziente di 45 anni affetto da una grave forma di SLA. L’aspetto più eclatante di questa sperimentazione è che la neuroprotesi ha aperto al paziente un vocabolario di 125mila parole e nell’arco di una sola giornata ha raggiunto un livello di accuratezza straordinariamente elevato.
Non si tratta del primo studio di questo genere, che impieghi strumenti per decodificare i segnali neuronali e trasformarli in suoni e fonemi, riuscendo addirittura a comporre delle parole su uno schermo: in uno studio apparso su Nature era stato riportato un sistema che a fronte di un vocabolario di oltre mille parole aveva un tasso di errore del 25,5%, mentre in un’altra ricerca pubblicata sulla stessa rivista il serbatoio di parole era aumentato (circa 125mila) con un tasso di errore confrontabile (23,8%). Per avere un’idea di cosa significhi il tasso di errore è sufficiente sapere che è del 5% la percentuale degli errori dei sistemi di riconoscimento vocale degli smartphone mentre è mediamente del 2% quella di una persona che scrive un messaggio di testo (con ampie variazioni tra gli utenti più rapidi e precisi e quelli che lo sono di meno).
Per un malato di SLA poter disporre di sistemi di comunicazione veloci e affidabili equivale a recuperare la dimensione sociale che la malattia gli ha sottratto. Da anni si sta guardando ai chip celebrali per restituire una voce ai pazienti affetti da sindrome locked-in, la situazione, descritta nel film “Lo scafandro e la farfalla”, che si crea dopo un grave episodio cerebrovascolare, quando il paziente, ancora in possesso delle sue capacità cognitive, si ritrova ad essere paralizzato all’interno di un corpo che non risponde più ai comandi. Nel film di Julian Schnabel il protagonista utilizza delle tavole su cui sono riportate le lettere dell’alfabeto, grazie alle quali, con molta pazienza, si possono costruire le singole parole e poi i discorsi; un po’ come accade per i pazienti con SLA che perdono la voce e si ritrovano a usare le tavole ETRAN per comunicare con i medici o i familiari. Le principali problematiche di questi strumenti sono però legate alla lentezza con cui i malati riescono a comunicare e al fatto che anche i caregiver devono imparare a utilizzarle: in entrambe le situazioni è richiesto tempo. Con gli emulatori di mouse wireless applicabili al capo del paziente e interfacciati al computer la velocità di comunicazione arriva a 6 parole al minuto (la media inglese in conversazione è di 160 parole al minuto). Ciò senza contare il tasso di errore. I numeri aiutano ad avere la dimensione della difficoltà ad avviare una conversazione con cui lottano i pazienti affetti da malattie come la SLA, ancora dotati delle capacità cognitive ma impossibilitati a rapportarsi con gli altri.
In particolare, il paziente coinvolto nel trial statunitense ha 45 anni e una diagnosi di SLA già da cinque: al momento dell’arruolamento le sue capacità di movimento erano fortemente compromesse, come pure quelle di linguaggio. I ricercatori hanno impiantato un sistema di microelettrodi (NeuroPort Array della Blackrock Neurotech) nel giro precentrale, la zona del cervello che controlla il movimento volontario ed è legata al linguaggio. Il segnale ricevuto dalla corteccia cerebrale viene inviato a un software che, utilizzando modelli di apprendimento automatico, lo elabora per poi mostrare sullo schermo parole e frasi. Infatti, gli elettrodi sono in grado di monitorare l’attività di singoli neuroni e l’impianto - tramite craniotomia - non ha avuto effetti collaterali per il paziente. Nei test effettuati i ricercatori hanno chiesto all’uomo di ripetere delle parole mostrate sullo schermo e poi lo hanno invitato a lasciarsi andare a una conversazione libera. I risultati sono andati ben oltre le attese: con un vocabolario iniziale di 50 parole, il sistema ha raggiunto un’accuratezza del 99,6% al primo utilizzo; successivamente all’espansione a 125mila parole il livello di accuratezza si è mantenuto (90,2% al secondo giorno di uso). Dopo otto mesi di utilizzo del NeuroPort Array l’accuratezza media continuava ad essere del 97,5%, con un tasso di errore confrontabile con quello dei migliori utilizzatori della scrittura digitale su smartphone. Inoltre, la velocità di comunicazione è aumentata a 31,6 parole al minuto (ben più alta rispetto alle 6 parole al minuto dei metodi convenzionali).
“Mi auguro che possiamo essere molto vicini al momento in cui tutti coloro che si trovano nella mia stessa condizione avranno le medesime possibilità di disporre di dispositivi come questo”, ha affermato l’uomo che, meno di un mese dopo l’impianto, è stato già in grado di sfruttare il sistema al massimo delle sue potenzialità, riprendendo a dialogare con i suoi cari e con chi lo assiste, partecipando a meeting e riunioni e inviando e-mail.
Naturalmente, essendo uno studio su un singolo individuo occorreranno molti altri passaggi di verifica e ulteriori test per confermare l’efficacia e la sicurezza del dispositivo e non è detto che, col progredire della malattia, le performance tecniche si conservino; tuttavia, si tratta di uno strumento che, rispetto alle versioni precedenti, presenta un’estrema facilità d’uso e un’impressionante rapidità di apprendimento. Inoltre, il vocabolario raggiunto si compone di quasi tutte le parole necessarie per un’ordinaria conversazione e il tasso di errore registrato è davvero basso. Infine, il sistema rileva automaticamente quando il paziente tenta di parlare e traduce di conseguenza i segnali senza necessità di microfoni. Si tratta di una vera e propria ‘lettura del pensiero’, in grado di far sentire di nuovo parte di una comunità i malati di SLA (o di analoghe patologie) rimasti senza una voce.
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