Nuovo studio sulla SLA

Lo studio americano pubblicato su Nature Communication

Si celebra oggi la Giornata Mondiale dedicata alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e non si può affermare che, rispetto a un anno fa, non siano accadute molte cose: dai giudizi negativi degli entri regolatori a farmaci come AMX-0035 o l’acido tauroursodesossicolico a quelli positivi per tofersen - riservato una ristretta casistica di malati - e alla nuova formulazione orale del riluzolo, il primo farmaco approvato per questa malattia neurodegenerativa. Sul versante associazionistico si è discusso anche di una possibile coalizione italiana formata da medici e rappresentanti delle associazioni dei pazienti, per individuare le necessità insoddisfatte della comunità della SLA e porvi rimedio, nel tentativo di preservare il più possibile la qualità di vita di chi affronta la malattia.

A prescindere da tutto ciò, in occasione di un evento che catalizza l’attenzione mediatica su una rara malattia neurodegenerativa per la quale non è stata ancora individuata una cura specifica, è motivo di profondo incoraggiamento discutere di ricerca scientifica. Specialmente perché da poco tempo sono stati pubblicati - su una rivista scientifica di pregio come Nature Communications - i risultati di uno studio che porta alla luce un possibile meccanismo patogenetico della malattia. Infatti, un gruppo internazionale di ricerca ha compiuto una serie di esperimenti con cui è stata dimostrata l’esistenza di un collegamento tra le proteine ASRGL1 e TDP-43, quest’ultima codificata dal gene TARDBP e alla quale i ricercatori hanno già attributo un rilevante valore diagnostico. Secondo le recenti ricerche eseguite, l’espressione dell’enzima ASRGL1 (asparaginasi-simile di tipo 1) è risultata diminuita in alcuni campioni di tessuto cerebrale di pazienti con SLA e tale diminuzione appariva collegata alla formazione di depositi di TDP-43 che sono tra le cause di morte dei neuroni.

Attraverso una complicata sequenza di analisi molecolari, i ricercatori hanno prima visto che l’espressione del gene ASRGL1 nei pazienti con SLA è significativamente ridotta e che quella del gene TARDBP è aumentata rispetto ai controlli sani (una situazione confermata anche nei modelli di motoneurone ricavati da cellule staminali pluripotenti indotte). A quel punto sono stati indagati i rapporti tra la carenza della proteina ASRGL1 e la presenza di depositi di TDP-43 nel citoplasma delle cellule ed è stato notato come il silenziamento del gene ASRGL1 nelle colture cellulari si associasse all’accumulo della proteina TDP-43 che, nella quasi totalità dei pazienti con SLA, si ritrova aggregata nel citoplasma in condizioni di chiara alterazione (è ripiegata in maniera aberrante e chimicamente modificata nella sua struttura - in gergo tecnico si dice ubiquitinata e fosforilata).

E qui è entrato in gioco un altro protagonista, cioè un retrovirus endogeno HERV-K la cui presenza è stata più volte legata alla patogenesi della SLA; in modo particolare, il sottogruppo HML-2 è uno dei più attivi di questa famiglia virale ed è stato rinvenuto in associazione ad alcuni tipi di tumore e malattie neurodegenerative, fra cui proprio la SLA. “Abbiamo ipotizzato che l’attivazione di HML-2 possa incidere sull’espressione di ASRGL1 e contribuire così ad abbassare produzione della proteina corrispondente”, riportano gli autori.

Con la consapevolezza che proprio nelle alterazioni della struttura delle proteine - le quali ne causano l’anomala aggregazione - possa risiedere la spiegazione per l’innesco dei meccanismi di neurodegenerazione tipici di malattie come la SLA o altre forme di demenza, il gruppo di ricerca guidato dagli studiosi del National Institute of Health di Bethesda (ma di cui hanno fatto parte anche due ricercatori italiani dell’Università di Sassari) si è concentrato sul rapporto tra ASRGL1 e TDP-43, che fa da substrato alla proteina. Tale relazione assume dunque un ruolo cruciale nello sviluppo della SLA. “La nostra ipotesi è che l’RNA di HML-2 possa legarsi al pre-mRNA di ASRGL1 nel nucleo, interferendo con i meccanismi di splicing e maturazione del DNA”, concludono i ricercatori che hanno osservato come, invece, l’aumento di espressione di ASRGL1 torni a conferire ai neuroni nuova vitalità.

Si tratta di una ricerca in fase iniziale che necessita di ulteriori conferme: lo studio è stato in parte condotto su campioni autoptici perciò sarebbe necessario capire - grazie all’utilizzo di modelli di malattia più accurati - in quale momento dello sviluppo della malattia si inneschi tale meccanismo. Inoltre, c’è da appurarne la rilevanza nelle forme familiari di SLA. Rimangono ancora svariati elementi da caratterizzare ma ogni contributo della ricerca potrebbe in futuro condurre a nuove forme di trattamento.

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