Si riconoscono più cause di ipereosinofilia, da affrontare con diverse combinazioni terapeutiche, comprendenti gli anticorpi monoclonali contro l’interleuchina 5
Solitamente, di fronte a un modesto aumento all’emocromo dei globuli bianchi, ed in particolare degli eosinofili, e ad una combinazione di sintomi che comprendono rash cutaneo, prurito, febbricola e astenia, il medico di medicina generale, sospettando una patologia ematologica, suggerisce al paziente una visita di approfondimento dall’ematologo il quale, a sua volta, prescrive una serie di esami per escludere certi disturbi e inquadrare la patologia nel dettaglio. In fase iniziale, le possibilità diagnostiche sono tante e fra esse c’è anche la sindrome ipereosinofila (HES), ossia un disturbo caratterizzato dall’aumento degli eosinofili nel sangue che può essere sostenuto da varie cause, infettive o allergiche, oltre che di tipo neoplastico.
“L’ematologo cura prevalentemente i pazienti affetti da forme primitive di ipereosinofilia, la cosiddetta sindrome ipereosinofila idiopatica”, afferma Angelo Vacca, Professore Ordinario di Medicina Interna e Direttore dell’U.O.C. di Medicina Interna ‘Guido Baccelli’ al Policlinico di Bari. “Infatti, le HES di tipo mieloide originano da mutazioni di oncogeni, quali PDGFRA, PDGFRB, FGFR1 e JAK2, che provocano una progressiva espansione della serie mieloide a differenziazione eosinofila. Ai colleghi ematologi giungono soprattutto le persone in cui la malattia è provocata da questo tipo di alterazione genetica a livello dei globuli bianchi. I colleghi ematologi diagnosticano e curano anche le ipereosinofilie dovute a leucemia eosinofila cronica (CEL). Tuttavia, numerose sono le condizioni associate a ipereosinofilia”.
HES E INTERESSAMENTO CARDIO-VASCOLARE
Una delle principali forme di interessamento della sindrome ipereosinofila riguarda il cuore. “Fino al 90% dei pazienti con ipereosinofilia sviluppa patologie ischemiche o infiltrazioni di eosinofili a livello del miocardio”, precisa Vacca. “Alcuni provano sintomi, come l’affanno o il dolore anginoso, che inducono il medico di medicina generale a richiedere l’esecuzione di un ecocardiogramma da cui emerge un chiaro ispessimento del miocardio”. Pertanto, il paziente viene inviato al cardiologo per ulteriori accertamenti - fra cui anche l’esecuzione di un test genetico per la ricerca della mutazione FIP1L1-PDGFRA. Inoltre, l’interessamento cardio-vascolare è pericoloso, poiché l’aumento del numero degli eosinofili in circolo è causa della formazione di trombi a livello delle grandi arterie (femorale, poplitea e tibiale) o dei capillari, come quelli delle mani e dei piedi. “Di recente, una signora di settant’anni è stata ricoverata nel nostro reparto per una sindrome ipereosinofila idiopatica, con febbricola, astenia e una grave micro-trombosi dei capillari delle dita, con necrosi dei polpastrelli”, racconta Vacca. “La malattia in fase necrotizzante renderà necessaria l’amputazione delle estremità di quattro dita, già diventate necrotiche”. Un’esperienza che conferma in maniera evidente il rischio di ictus ischemico ed emorragico che la malattia può comportare.
SINTOMI POLMONARI, CUTANEI, NEUROLOGICI E OCULARI
Un’ulteriore manifestazione di ipereosinofilia avviene a livello polmonare. “Quando gli eosinofili infiltrano i capillari degli alveoli polmonari si genera un ispessimento del tessuto interstiziale interalveolare che riduce gli scambi di ossigeno, provocando nel paziente difficoltà respiratorie”, prosegue l’esperto internista pugliese. “Gli alveoli polmonari, sede di questa vasculite interstiziale eosinofila, vanno incontro a fibrosi progressiva e i pazienti rischiano l’embolia polmonare”. In questo caso, coloro che presentano quei sintomi tendono a rivolgersi a uno pneumologo per far luce sulle cause di tale patologia.
In circa la metà dei pazienti sono comuni i sintomi cutanei della sindrome ipereosinofila, con la comparsa di eczemi e orticarie ricorrenti. “Si osservano infiltrati nodulari sottocutanei o vasculiti a danno dei microvasi della pelle [in gergo medico sono denominate "vasculiti leucocitoclastiche", N.d.R.]”, precisa Vacca. “Per approfondire la natura di queste manifestazioni di malattia si esegue una biopsia delle lesioni, in modo da avere riscontro della presenza di infiltrati di eosinofili intorno ai vasi capillari e alle arteriole”.
Molto frequente - coinvolge una percentuale fra il 60 e l’80% dei malati - è l’interessamento neurologico, dal momento che la HES può sollevare complicanze legate a tromboembolie cerebrali, specie quando gli eosinofili si accumulano a livello dei vasi del cervello. “Quando, invece, infiltrano i vasi lungo i nervi (i cosiddetti vasa nervorum) provocano un blocco della capacità di conduzione del nervo che determina una paralisi dei distretti neurologici”, spiega ancora Vacca. “Infine, le lesioni possono interessare anche il nervo ottico, con offuscamenti o bruschi cali della vista”.
ALTRE SINDROMI IPEREOSINOFILE
Può capitare che la sindrome ipereosinofila colpisca un organo in particolare: si parla allora della cosiddetta "HES overlap" che rappresenta circa il 40% di tutte le ipereosinofilie. “A questo gruppo appartiene la granulomatosi eosinofilica con poliangioite (EGPA), precedentemente nota come sindrome di Chürg-Strauss, una forma di vasculite dei piccoli e medi vasi caratterizzata dalla presenza di granulomi e da infiltrazione dei tessuti da parte degli eosinofili”, puntualizza Vacca. “Poi ci sono le polmoniti eosinofile, le fasciti e le esofagiti eosinofile o la dermatite atopica”. In queste ultime situazioni, il paziente si rivolge allo specialista pneumologo, al reumatologo o al gastroenterologo prima di arrivare al medico internista/immunologo. Fatta la diagnosi, tutti gli specialisti avviano il trattamento con farmaci corticosteroidei e anticorpi monoclonali.
“Nel caso delle sindromi ipereosinofile secondarie, dovute a connettiviti, vasculiti, linfomi o tumori solidi che comportano una ipersecrezione di interleuchina-5 (IL-5), il protocollo di cura dell’ipereosinofila dipende da quello della malattia principale”, aggiunge Vacca. “Per la maggior parte delle malattie sopracitate, invece, la combinazione di corticosteroidi [soprattutto prednisone a basso dosaggio, N.d.R.] e anticorpi monoclonali, quali mepolizumab o dupilumab, è ormai entrata nella pratica clinica”. Esistono anche le ipereosinofilie linfocitiche che, nel corso del tempo, possono evolvere in linfomi a cellule T, essendo caratterizzate dalla presenza di cellule T aberranti. “Il fenotipo di queste malattie esprime una doppia positività - CD4 e CD8 - evidenziabile con l’analisi citofluorimetrica”, spiega l’esperto. “Il trattamento consiste prevalentemente nella somministrazione di farmaci a base di cortisone”.
UN PDTA PER STABILIRE PERCORSI DI DIAGNOSI E CURA
Una condizione così diffusa e capace di interessare tante branche della medicina necessita di uno strumento che faccia “ordine” e stabilisca percorsi chiari per i pazienti (e per i medici stessi). “È prioritario creare una PDTA per le sindromi ipereosinofile”, suggerisce Vacca. “Esso deve comprendere necessariamente specialisti di medicina interna e immunologia, gastroenterologi, reumatologi, ematologi, pneumologi, neurologi, otorinolaringoiatri, cardiologi, dermatologi, nefrologi, allergologi e oculisti, oltre ai vari coordinamenti regionali delle malattie rare e alle associazioni di pazienti. Ognuno di essi ha un ruolo nella definizione di un percorso per la corretta diagnosi e terapia della sindrome ipereosinofila”. Tuttavia, il primo passo su tale cammino è sempre effettuato dal medico di medicina generale che, basandosi sul riscontro di una leucocitosi con ipereosinofilia deve richiedere gli esami preliminari (test allergici e parassitologici) per escludere le cause più comuni del fenomeno e, se questo persiste, inviare il paziente agli specialisti per il dovuto approfondimento.
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