Bertoglio: “Mio figlio ha avuto la diagnosi per caso dopo tante visite da luminari dell’ortopedia”
ROMA - Se anche non esiste ancora una cura definitiva per la sindrome di Hunter c’è almeno una terapia in grado di rallentare in maniera significativa la progressione del danno allungando la vita e migliorandone la qualità. Sarebbe bene cominciarla il prima possibile, perché in attesa della terapia il danno aumenta, la diagnosi però ancora oggi è molto difficoltosa. Una testimonianza di questo problema è stata portata lo scorso 18 dicembre, in occasione della presentazione del servizio ‘Hunter@Home’ di Shire, da Flavio Bertoglio, presidente dell’Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi e Malattie Affini - Onlus (AIMPS) e padre di un ragazzo di 14 anni affetto da questa malattia.
“I problemi che la Sindrome di Hunter crea nel bambino sono tanti e gigantesche le difficoltà quotidiane per la sua famiglia. Quando un genitore diventa un genitore MPS, la vita si ribalta completamente – racconta Bertoglio - se prima la priorità era far bene il proprio lavoro e ottenere il massimo, un minuto dopo la diagnosi la priorità è salvare la vita al proprio figlio e quindi ci si abitua a tutto e, primariamente, a vivere alla giornata. Dopo i primi due anni di vita apparentemente normali, il bambino comincia a star male, con violenti raffreddori che persistono anche per mesi e che lo costringono a dormire seduto sul divano in braccio alla mamma o al papà, perché disteso, non riuscirebbe a respirare. Sono bambini che nascono, come tutti noi, con l’1% delle cellule occupate da questa sorta di stazione di stoccaggio dei residui tossici del metabolismo che si chiama lisosoma. Purtroppo, tutto poi va a ritroso: cominciano a non sentire, a non parlare, a non camminare e quando li perdiamo il lisosoma ha occupato il 70% di spazio in ogni loro cellula. Mio figlio ci riconosce al tatto e riesce a suo modo a comunicarci le sue emozioni, ma nulla più: ha 14 anni ed è in terapia da 6, e se non avesse avuto questa possibilità ora, con buona probabilità, non ci sarebbe più”.
Suo figlio dunque ha potuto beneficiare della terapia non appena si è resa disponibile, nel 2006, ma le difficoltà per arrivare alla diagnosi sono state tantissimi e la sensazione – confermata dalle esperienze degli altri membri dell’associazione – è che la situazione sia migliorata solo di poco e che molto ci sia ancora da fare.
“La prima enorme difficoltà è stata arrivare a una certezza diagnostica – racconta - Mio figlio è stato diagnosticato per caso, dopo aver consultato tanti luminari dell’ortopedia, perché la malattia ha dato segni di sé con un gibbo di grosse dimensioni comparso sulla schiena. Inoltre, il suo stato influenzale grave e persistente impediva di eseguire la risonanza magnetica che ci veniva richiesta, fino a che un ortopedico che conosceva le MPS è entrato per caso nella stanza dove si trovava mio figlio e ne ha riconosciuto i segni, consigliandoci, con un tatto e una gentilezza purtroppo inusuali, un esame non invasivo delle urine, che poi ha confermato il sospetto: era almeno finito l’incubo dell’incertezza diagnostica”.
Dal 2006 finalmente è cominciata la terapie e dunque i viaggi settimanali all’ospedale. “Ricordo – racconta ancora Bertoglio -che non appena siamo venuti a conoscenza della disponibilità dell’home care per i pazienti con Malattia di Fabry, in qualità di legale rappresentante dell’AIMPS mi sono rivolto a Shire per chiedere l’estensione di questa opportunità terapeutica domiciliare anche ai pazienti con MPS II. Quella domanda oggi si traduce in realtà e non posso che essere contento e grato, perché l’infusione a domicilio costituisce un grande balzo in avanti nel miglioramento della qualità della vita dei pazienti e dei loro genitori. Mi auguro vivamente che la terapia domiciliare possa estendersi il più possibile e che vengano vinte le resistenze immotivate espresse da alcune regioni italiane, che finiscono per colpire i bambini e le loro famiglie. Purtroppo le vessazioni da parte della burocrazia penalizza proprio chi avrebbe maggior necessità di vedere rispettati i diritti a una pari dignità".
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