Studio dell’Istituto San Raffaele-Telethon riporta i dati di 43 pazienti trattati con una delle prime terapie avanzate approvate al mondo
Milano – La terapia genica per la rara immunodeficienza ADA-SCID conferma anche sul lungo periodo un rapporto favorevole tra rischi e benefici: è quanto emerge da uno studio pubblicato su Nature Medicine dai medici e ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano, che riporta i dati di 43 pazienti trattati a partire dal 2000, 19 dei quali dopo la registrazione della terapia nell’Unione Europea nel 2016. Quella per l’ADA-SCID è infatti una delle terapie avanzate più “longeve”, tra le prime al mondo a essere approvate come farmaci a tutti gli effetti. Terapia per la quale, dal 2023, la Fondazione Telethon è diventata responsabile della produzione e distribuzione, scongiurandone così il ritiro dal mercato dopo il disinvestimento da parte dell’azienda produttrice visto lo scarso ritorno economico.
L’ADA-SCID è una malattia genetica molto rara: l’incidenza annuale è stimata tra 1/375.000 e 1/660.000 nati vivi e, in base ai dati sui nuovi nati nell’Unione Europea (circa 4 milioni l’anno), si stima che ogni anno nascano tra i 6 e i 11 bambini con questa patologia nei 27 paesi UE. È dovuta al difetto nel gene dell’adenosina deaminasi, un enzima essenziale per la produzione e la maturazione dei linfociti, un particolare tipo di globuli bianchi. Senza questa proteina, il sistema immunitario non si sviluppa correttamente e non riesce a combattere le infezioni più comuni, che possono risultare anche fatali. Questi bambini sono quindi costretti a vivere in un ambiente sterile e isolato, tanto che per loro è stata coniata l’espressione di “bambini bolla”.
Attualmente la terapia di prima scelta per l’ADA-SCID è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche da donatore familiare compatibile, che può curare la malattia ma è disponibile in meno del 20% dei casi. Quando questo non è fattibile, la terapia genica rappresenta una valida opzione terapeutica: si somministra una sola volta nell’arco della vita e consiste in un vettore di origine virale contenente una versione corretta del gene difettoso nei pazienti. Messo a contatto con le cellule staminali ematopoietiche prelevate dal paziente stesso, il vettore permette di ripristinare la produzione della proteina mancante. Reinfuse nel sangue, le cellule così corrette sono in grado di dar vita a linfociti funzionanti e di difendere così l’organismo dalle infezioni.
“In questo lavoro descriviamo come, anche dopo la commercializzazione, la terapia genica per l’ADA-SCID continui a essere sicura ed efficace, come già dimostrato nella fase sperimentale iniziata nel 2000”, commenta Maddalena Migliavacca, immunologa pediatra e ricercatrice nell'Unità Operativa di Immunoematologia Pediatrica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. “I pazienti sono tutti vivi e nella maggior parte dei casi non hanno avuto bisogno di ulteriori terapie curative dopo la terapia genica. La loro qualità di vita è migliorata sensibilmente, hanno potuto sottoporsi regolarmente alle vaccinazioni, andare a scuola e condurre finalmente una vita in comunità. Nei pochi casi - circa il 15% - in cui il trattamento non ha funzionato, siamo potuti intervenire con successo con il trapianto da donatore. Continueremo a seguire i nostri pazienti per almeno 15 anni dalla somministrazione della terapia per monitorare la sicurezza a lungo termine: questo ci permetterà di studiare anche aspetti ancora poco noti di questa malattia non legati all’immunità, come quelli neurologici e metabolici”.
L’osservazione sul lungo periodo di questi pazienti ha messo in luce ancora una volta l’importanza della diagnosi precoce. Come spiega Maria Pia Cicalese, immunologa pediatra e ricercatrice dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, “la risposta al trattamento è migliore quanto prima riusciamo a intervenire, perché si riduce l’arco di tempo in cui la malattia può danneggiare l’organismo. Grazie all’esperienza maturata in questi anni abbiamo migliorato il nostro approccio, i pazienti arrivano a sottoporsi alla terapia genica in condizioni migliori e questo ha un impatto anche sull’efficacia a lungo termine. Ecco perché è fondamentale che si diffonda quanto più possibile lo screening neonatale, un test che consente di identificare la malattia alla nascita e di intervenire prima che abbia determinato danni irreparabili. Purtroppo, però, siamo ancora lontani da un’applicazione di questo tipo di esame sull’intera popolazione”.
Attualmente, in Italia né l’ADA-SCID né le altre immunodeficienze combinate gravi fanno parte del pannello nazionale di screening neonatale. Alcune regioni, però, hanno attivato dei progetti pilota: la prima è stata la Toscana, già nel 2011. Negli ultimi anni, la Campania e la Liguria hanno condotto dei programmi di screening a scopo di ricerca, così come l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova e il centro screening di Palermo. Le ultime regioni ad aver introdotto lo screening sono state l’Abruzzo, la Puglia e la Lombardia. Nel mondo, invece, tra i Paesi che hanno introdotto lo screening per questa patologia ci sono Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia, Irlanda, Israele, Brasile, India, Stati Uniti.
Lo studio ha messo in luce anche le disparità di accesso alla terapia: il farmaco viene somministrato soltanto in Italia, presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, unico centro autorizzato. Per i pazienti italiani il rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale è automatico, mentre per quelli di altri Paesi dell’Unione Europea avviene soltanto previa autorizzazione da parte del sistema sanitario del Paese di provenienza. “Purtroppo, questo passaggio non è sempre facile”, commenta Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’SR-Tiget e professore ordinario di Pediatria all’Università Vita-Salute San Raffaele. “Tra i pazienti elegibili alla terapia genica che ci sono stati riferiti, alcuni non hanno ricevuto il trattamento per difficoltà di accesso alla terapia rimborsata. La Fondazione Telethon ha fatto in questi anni un grande sforzo per facilitare l’accesso grazie al programma di accoglienza “Come a casa”, che offre supporto a 360 gradi alle famiglie che vengono in Italia per il trattamento, ma non basta. È indubbio che il costo della terapia sia elevato se confrontato con i farmaci tradizionali; tuttavia, l’impatto economico si ridimensiona se si considera che la terapia viene somministrata una sola volta, soprattutto se si fa il confronto con terapie croniche somministrate per tutta la vita. Di fronte a terapie che possono cambiare la storia naturale di malattie gravi come questa è fondamentale garantire l’accesso a tutti i pazienti che ne abbiano bisogno, per quanto rari siano”.
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