Editing genomico per la PKU

Due sistemi di editing genomico sono stati testati con successo in laboratorio su cellule epatiche dei pazienti e su modelli animali 

In futuro l’editing genomico potrebbe essere tra le opzioni di trattamento per la fenilchetonuria (PKU): due recenti studi condotti dalla Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania e dal Children’s Hospital di Philadelphia (CHOP) hanno testato due versioni di CRISPR per trattare la malattia metabolica rara. I lavori sono stati pubblicati su The American Journal of Human Genetics e su Human Genetics and Genomics Advances e presentati al meeting annuale dell'American Society of Human Genetics (ASHG) a Washington. Si tratta di ricerche su modelli cellulari e animali, ma i risultati ottenuti supportano il proseguimento delle sperimentazioni.

QUANDO L’ORGANISMO NON METABOLIZZA LA FENILALANINA

La fenilchetonuria (PKU) è una malattia genetica rara che si manifesta con un accumulo dell’aminoacido fenilalanina (Phe) nel sangue. Questo accade a causa di mutazioni nel gene che codifica per l’enzima epatico fenilalanina idrossilasi (PAH) e ha effetti tossici per il cervello. I sintomi più comuni sono deficit motori, ritardo nello sviluppo, disabilità intellettiva, problemi psichiatrici, epilessia e altri problemi che coinvolgono il sistema nervoso. La PKU ha una prevalenza variabile: nel Vecchio Continente è di circa un caso ogni 10mila nati e nel mondo sono circa 50mila le persone affette.

Un regime alimentare molto rigoroso, da seguire per tutta la vita, è oggi il trattamento d’elezione: un basso contenuto proteico (e di Phe) e una integrazione di miscele aminoacidiche permette ai pazienti di avere una migliore aspettativa e qualità di vita. Inoltre, alcuni rispondono alla terapia coadiuvante e alla terapia di sostituzione enzimatica. L’obiettivo è quello di mantenere i livelli di Phe entro un range di concentrazione limitato (120-360 micromoli/L), dato che livelli più elevati si tradurrebbero in danni neurologici. Infatti, nei casi di PKU si possono rilevare concentrazioni anche superiori ai 1200 micromoli/L. La tecnica CRISPR permetterebbe di correggere in modo permanente l’errore genetico che sta alla base della malattia e di stabilizzare a livelli normali la concentrazione di Phe, migliorando la qualità di vita dei pazienti che ora soffrono in primis per la malattia ma anche per il peso delle terapie nella loro quotidianità.

IL PRIME EDITING PER LA PKU

Riscrivere una sequenza precisa di DNA senza modifiche indotte chimicamente e senza tagliare la doppia elica: questa è la caratteristica principale del prime editing, tecnica che permette di ridurre gli errori rispetto alle versioni precedenti del famoso sistema di editing genomico. Dopo aver identificato la variante di mutazione più comune – grazie ai dati clinici di 129 pazienti – nel gene della fenilalanina idrossilasi, i ricercatori hanno creato una linea di cellule del fegato e modelli murini modificati per esprimerla. La somministrazione della terapia sperimentale è stata effettuata grazie a vettori virali adeno-associati e ha permesso di raggiungere l’obiettivo prefissato: correggere il gene nelle cellule del fegato (fino al 52%) e stabilizzare a livelli clinicamente accettabili le concentrazioni di Phe nel sangue dei topi.

MA ANCHE IL BASE EDITING

Il secondo studio ha visto come protagonista la stessa mutazione, ma al posto del prime editing è stata utilizzata la tecnica del base editing, che è in grado di identificare l’errore sul DNA e indurre chimicamente la correzione. Anche in questo caso i ricercatori hanno testato questo metodo prima in cellule epatiche cresciute in laboratorio e poi in modelli murini. I ricercatori hanno scoperto che quando l'editor e l'RNA guida – i componenti del sistema di editing – sono somministrati ai topi tramite nanoparticelle lipidiche, i livelli di Phe si normalizzano entro 48 ore.

Come spiegato nel comunicato stampa della Penn Medicine, in studi correlati i ricercatori hanno osservato che le riduzioni dei livelli di Phe si sono mantenute per un anno. Si tratta di una svolta significativa nel trattamento della PKU, che in genere richiede la gestione accurata dei livelli di Phe per tutta la vita. Gli studi futuri si concentreranno sull’ottimizzazione della tecnica di modifica delle basi e sulla valutazione degli effetti dell’editing, anche paragonato a metodi più classici di correzione del genoma.

"Questa ricerca porta speranza a chi soffre di PKU, una malattia che dura tutta la vita e che non ha trattamenti duraturi, perché dimostra la fattibilità dell'uso dell'editing genetico per correggere in modo permanente la variante genetica più comune associata a questa condizione", ha detto Kiran Musunuru, autore di entrambi gli studi. "Anche se ci sono ancora sfide da superare, questi risultati aprono la porta a potenziali nuovi trattamenti che potrebbero migliorare significativamente la vita dei pazienti PKU".

Leggi anche: "Editing genomico: due approcci per la fenilchetonuria"

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