Professoressa Lucia Manni

Lo studio di un piccolo invertebrato marino potrebbe migliorare la comprensione dei meccanismi che sono alla base delle malattie neurodegenerative

Ad oggi non conosciamo ancora quali siano le cause di malattie come Alzheimer o Parkinson; di conseguenza, le terapie a disposizione non sono purtroppo in grado di arrestare o rallentare queste patologie. Ciò vale per tutte le cosiddette malattie neurodegenerative, che comprendono anche nomi noti, quali la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), e meno noti come la demenza frontotemporale (FTD). Ma un inatteso aiuto potrebbe arrivare da un piccolo animale marino, l’invertebrato di nome botrillo, un animaletto che cresce e si riproduce a basse profondità in mari quali il Mediterraneo e, in particolare in zone ricche in nutrienti e calde dell’Adriatico, come la Laguna di Venezia.

Si tratta di un essere vivente molto semplice che presenta al suo interno anche un cervello rudimentale, costituito da poco meno di un migliaio di neuroni. Tuttavia, tale organismo appartiene al gruppo di animali considerati i parenti più prossimi dei vertebrati, il gruppo a cui appartiene anche l’uomo, e anche per tale motivo i ricercatori lo stanno studiando da tempo.

Un team internazionale di ricercatori dell’Università di Stanford, in California (dr.ssa Chiara Anselmi), e dell’Università Statale di Milano (proff. Alberto Priori e Tommaso Bocci), coordinato dalla prof.ssa Lucia Manni, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, ha pubblicato sulla rivista scientifica Cells uno studio che evidenzia come questo invertebrato contenga tutti i geni coinvolti nelle malattie neurodegenerative umane e, durante il suo ciclo vitale, le sue cellule nervose invecchino esattamente come nell’uomo.

“Il botrillo, che abbiamo studiato attraverso microscopia elettronica e analisi dell’espressione genica, va incontro naturalmente a neurodegenerazione secondo modalità che potrebbero aiutare la ricerca nell’uomo a trovare strategie, o farmaci, per fermare gravi malattie neurodegenerative”, spiega la prof.ssa Lucia Manni, autore referente dello studio. “In particolare, i neuroni del botrillo mostrano diversi tipi di morte cellulare, così come avviene nelle malattie neurodegenerative umane. Inoltre, geni criticamente coinvolti in queste malattie sono espressi nelle diverse fasi del ciclo vitale del botrillo secondo tempistiche che ricordano molto il progredire delle malattie nell’uomo. Per esempio, geni tipici dei disordini conformazionali, come l’Alzheimer e il Parkinson, sono espressi nel botrillo in tempi che richiamano nell’uomo il passaggio della malattia da una fase di degenerazione pre-clinica alla comparsa di sindromi specifiche nell’uomo”.

Questi risultati potrebbero aprire inediti scenari sia nell’identificazione di un minimo comune denominatore fra patologie umane molto dissimili fra di loro, sia nell’impiego di nuove metodiche di stimolazione elettrica cerebrale non invasiva per la prevenzione e la cura della neurodegenerazione”, dice il prof. Alberto Priori, del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università Statale di Milano e co-autore della ricerca.

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