TORINO - Come per molte altre malattie, anche per il mieloma multiplo, tumore del midollo osseo che colpisce un tipo particolare di cellule del sistema immunitario (plasmacellule), uno degli obiettivi della ricerca è la terapia personalizzata. Al momento, il protocollo clinico viene scelto sulla base di alcuni parametri generali, come l'età del paziente e lo stadio della malattia, ma si sta lavorando per identificare altri fattori che permettano di indirizzare meglio la gestione dei pazienti, sulla base delle loro caratteristiche genetiche o immunitarie. Vanno in questa direzione i risultati di uno studio pubblicato su Hametologica da un gruppo di ricerca italiano coordinato da Paola Omedé, del laboratorio di citofluorimetria della Città della salute e della scienza di Torino: uno studio relativo all'impatto di alcune anomalie cromosomiche e dell'immunofenotipo sulla sopravvivenza di pazienti trattati con regimi terapeutici differenti.
I ricercatori hanno lavorato con circa 500 pazienti con mieloma multiplo (di età superiore ai 65 anni), partecipanti a una sperimentazione clinica relativa al confronto tra due diversi regimi terapeutici: con bortezomib, melfalan e prednisone (VMP) oppure con bortezomib, melfalan, prednisone e talidomide, più un periodo di mantenimento con bortezomib e talidomide (VMPT + VT). Di ciascun paziente sono stati analizzati il profilo citogenetico delle plasmacellule, con particolare attenzione per anomalie del cromosoma 1, e il tipo di molecole presenti sulla superficie di queste cellule (immunofenotipo).
Il primo dato emerso è che le anomalie del cromosoma 1 (in genere una delezione del braccio corto, oppure una duplicazione del braccio lungo) influenzano il periodo di sopravvivenza libero da malattia (Progression-Free Survival, PFS): "Indipendentemente dal regime terapeutico, nei pazienti con queste anomalie il PFS è minore" afferma Paola Omedé.
Per quanto riguarda la sopravvivenza complessiva, però, i ricercatori si sono trovati di fronte a un quadro anomalo: se in un primo periodo (circa 40 mesi di follow up) si registra un effetto negativo, con una sopravvivenza minore per chi presenta l'anomalia, a lungo andare questo effetto si riduce. Addirittura dopo i 40 mesi di follow up la sopravvivenza risulta migliore in presenza dell'anomalia.
Rispetto al regime terapeutico, Omedé e colleghi hanno osservato un quadro peggiore per i pazienti del ramo VMPT + VT in presenza di anomalie del cromosoma 1 o di delezione del cromosoma 17. “In questi casi la sopravvivenza risulta minore - spiega l'esperta - a indicare che la talidomide sembra avere un effetto negativo, in grado di contrastare l'effetto protettivo assicurato dal bortezomib in presenza di alterazioni citogenetiche. Viceversa, la talidomide sembra avere un effetto protettivo per pazienti con immunofenotipo CD19+/CD117- (cioè che possiedono il marcatore CD19, ma sono privi del CD117). In generale, la prognosi per i malati che hanno questo immunofenotipo è peggiore, ma per chi sta nel ramo VMPT+VT la sopravvivenza non è influenzata da questa caratteristica immunofenotipica”.
Nel complesso, lo studio evidenzia un ruolo prognostico importante delle anomalie del cromosoma 1 e del quadro immunofenotipico in pazienti con mieloma multiplo. Pone inoltre l'attenzione sugli effetti della talidomide, che sembrano essere positivi in alcune circostanze e negativi in altre e andranno dunque indagati meglio, con altri studi clinici. È in ogni caso evidente che la caratterizzazione precisa dei pazienti dal punto di vista citogenetico è fondamentale per dare ai pazienti la miglior terapia possibile per il loro specifico caso e garantire il migliore esito possibile delle terapie. In tal senso, in oncologia ma non solo, la medicina personalizzata o Target Therapy costituisce la strada da seguire per il futuro.
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