Il termine pemfigo si riferisce ad un raro insieme di malattie croniche autoimmuni, contraddistinte dalla formazione di bolle e vesciche sulla cute, dovute sostanzialmente all’attività di linfociti B e T autoreattivi e autoanticorpi rivolti contro antigeni desmosomiali dell’epidermide e delle mucose. Le più diffuse forme di pemfigo sono il Pemfigo Foliaceo (PF) e, soprattutto, il Pemfigo Volgare (PV), che ha una bassissima incidenza e si manifesta soprattutto tra i 40 e i 60 anni con la produzione di bolle intorno alla bocca, ma anche a livello della cavità nasale, della laringe, della faringe e delle zone genitali e rettali.

Grazie alla terapia steroidea sono stati compiuti enormi passi avanti nella prognosi e nella cura della malattia ma, se non adeguatamente trattato, il pemfigo può portare a decesso, soprattutto per il sopraggiungere di infezioni delle mucose colpite.

I risultati di uno studio retrospettivo realizzato su 130 pazienti con pemfigo (108 con PV e 22 con PF) sono stati pubblicati su Orphanet Journal of Rare Diseases e mettono in evidenza alcuni dei principali fattori di rischio in termini di mortalità globale associati a queste malattie. Tra tutti i pazienti con PV, 17 sono deceduti nel primo anno (la sopravvivenza media è stata di 8 mesi vs. 58 mesi dei pazienti sopravvissuti) mentre tra quelli con PF, 5 sono morti nel corso del primo anno (sopravvivenza media: 17 mesi vs. 68 mesi dei pazienti sopravvissuti). Un’analisi più approfondita ha messo in luce che sia nei pazienti con PV che in quelli con PF, l’età di insorgenza della patologia superiore a 65 anni è associata ad un più alto rischio di mortalità. Inoltre, nei pazienti con PV, il riscontro di patologie cardiache a carico delle coronarie e di aritmia, e anche un valore superiore a 100 U/mL nel livello degli autoanticorpi circolanti anti-desmogleine di tipo 1 (anti-Dsg1) risultano statisticamente associati ad un aumento della mortalità.

La definizione dei fattori di rischio legati a queste patologie risulta di grande interesse, con particolare riguardo alla stratificazione dei pazienti: infatti, l’incremento dei livelli di anti-Dsg1 nei pazienti con PV si associa ad un aumentato grado di severità della malattia con conseguente aumento della resistenza alla terapia e diminuzione della sopravvivenza. Per tale ragione, gli studi che indaghino più approfonditamente questi elementi diventano preziosi nell’ottica dell’individuazione di una coorte di pazienti suscettibili all’impiego di terapie che portino ad un aumento della sopravvivenza.

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