Dott. Gianluigi Forloni (Milano): “Questo studio, che era unico nel suo genere nel 2010 e lo è tuttora, ci consentirà di raccogliere informazioni per comprendere la storia e l’evoluzione della malattia”
L’insonnia familiare fatale (IFF) è una malattia genetica neurodegenerativa letale causata da una mutazione nel gene PRNP che codifica per la cosiddetta “proteina prionica”, proteina che, nella sua forma fisiologica, ha una funzione vitale per il cervello. La IFF ha caratteristiche completamente diverse dalle altre tipologie di insonnia, causate, ad esempio, da problemi di natura psichiatrica o psicologica. “In questo caso, che il sintomo più evidente e precoce sia l’insonnia, è dovuto al fatto che i centri che vengono coinvolti per primi nella degenerazione sono quelli che regolano il ritmo sonno-veglia”, spiega il dott. Gianluigi Forloni, Capo del Dipartimento di Neuroscienze e Responsabile del Laboratorio di Biologia delle Malattie Neurodegenerative presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" di Milano.
“I soggetti, una volta che la malattia avanza, sono letargici e non insonni, perché quello che viene alterato e frammentato è il sonno profondo”, continua il dott. Forloni. “Nonostante dormano, in realtà non dormono mai e restano sempre in uno stato di sonnolenza e letargia continua. È uno stato molto particolare e i farmaci narcotici non hanno alcun effetto. La IFF ha un'evoluzione molto veloce e i tempi in cui si passa dai problemi di sonno, rilevabili tramite polisonnografia, ai problemi neurovegetativi e ai danni cognitivi, sono molto brevi come in tutte le malattie da prioni”. Dal momento in cui si manifestano i primi sintomi, la malattia conduce a morte nel giro di poco tempo (da pochi mesi a due anni).
Il trial per il trattamento preventivo, mediante doxiciclina, di soggetti a rischio di IFF può considerarsi un approccio innovativo nei confronti delle malattie rare: una terapia preventiva, infatti, sembra essere uno dei possibili approcci che permetterà di intervenire efficacemente contro queste patologie. Il farmaco protagonista dello studio, la doxiciclina, appartiene alla classe delle tetracicline, che sono antibiotici ad ampio spettro con un profilo tossicologico più rassicurante rispetto ad altri farmaci della stessa categoria. A livello sperimentale, la doxiciclina e la tetraciclina si sono dimostrate in grado di interferire con le forme patologiche delle proteine prioniche, sia in modelli animali che in colture cellulari. Durante precedenti studi, la doxiciclina era stata proposta come farmaco ad uso compassionevole per i pazienti affetti dalla malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD), un’altra malattia da prioni, e ha dimostrato i suoi effetti prolungando la sopravvivenza dei pazienti. Il problema, però, è che le malattie da prioni, una volta manifestati i primi sintomi, sono incurabili e lasciano poche speranze a terapie di supporto e, tantomeno, a terapie risolutive. Proprio da ciò deriva l’idea di testare gli effetti preventivi di questo farmaco nei soggetti a rischio di sviluppare la IFF.
“Lo studio si avvale della collaborazione con l’Associazione Familiari Insonnia Familiare Fatale (AFIFF) e con il dott. Ignazio Roiter, il primo ad aver identificato questa malattia alla fine degli anni '80, con cui abbiamo iniziato una collaborazione nei primi anni 2000 e con il quale abbiamo messo a punto un protocollo per questa patologia in collaborazione con l'Istituto Besta di Milano”, prosegue il dott. Forloni. “Il protocollo prevede il trattamento per 10 anni di soggetti portatori di mutazione nel gene PRNP nati tra il 1958 e il 1969, che hanno, quindi, l’età maggiormente a rischio di sviluppare la malattia. La collaborazione con il dott. Roiter e l'AFIFF ci ha permesso di avere a disposizione un numero non indifferente di soggetti, con 25 persone che partecipano allo studio, di cui 10 portatori della mutazione. I portatori assumono quotidianamente doxiciclina, mentre i non portatori assumono un placebo. Telethon ha approvato il finanziamento di questo studio clinico, che è iniziato nel 2010 e si prevede proseguirà fino al 2023. La sperimentazione ha come principale misura di valutazione dell’efficacia lo sviluppo o meno della patologia, ma nel corso dello studio è possibile raccogliere dati neurofisiologici utili a comprendere meglio possibili indicatori precoci di malattia che attualmente non sono a disposizione”.
“La IFF – continua l'esperto – ha un'elevata probabilità di manifestarsi tra i portatori della mutazione (concetto tecnicamente definito come “penetranza”), valutata grazie alle indagini genealogiche, quindi il rischio di trattare persone che poi non svilupperanno la malattia è estremamente ridotto. Questo dato sulla penetranza ci aiuta a capire se il farmaco somministrato sta avendo i risultati sperati perché è raro che i soggetti portatori superino i 60 anni. Un altro fattore utile è la previsione del numero di soggetti affetti su base statistica: se nell’arco dei 10 anni di studio si ammaleranno non più di 3 soggetti su 10, allora l’antibiotico doxiciclina potrà considerarsi attivo nei confronti dell’insonnia familiare fatale”.
Lo sperimentazione coinvolge l’Istituto Neurologico "Carlo Besta" (Milano), l’Ospedale di Treviso e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" (Milano). Presso l’Istituto Besta vengono fatte le analisi neurologiche: ogni 2 anni i partecipanti al trial si sottopongono a verifiche neurologiche e cliniche approfondite; ogni anno uno psicologo si occupa di analizzarli dal punto di vista cognitivo grazie a test neuropsicologici; ogni 6 mesi vengono fatte delle analisi di routine attraverso prelievi di sangue. Per quanto riguarda l’aspetto clinico, è coinvolto l’Ospedale di Treviso, dove lavora il dott. Roiter. L’Istituto Mario Negri, invece, si occupa del coordinamento dello studio, della valutazione statistica e della raccolta dei dati in un database dedicato alla IFF.
“Questo studio, che era unico nel suo genere nel 2010 e lo è tuttora, ci consente di raccogliere informazioni per comprendere la storia e l’evoluzione della malattia”, spiega il dott. Forloni. “Nel caso delle malattie rare, le informazioni sulla malattia sono spesso difficili da ottenere perché i pazienti sono pochi e sparsi nel mondo. In questo caso, la differenza fondamentale sta nel fatto che pur essendo la IFF una malattia rara, abbiamo a disposizione un numero di soggetti non indifferente collocati per lo più in Veneto e nel Nord Italia, cosa che ci permette di interagire di frequente. Proprio per questo, il trial è nato in stretta collaborazione con i partecipanti: è un esempio particolare di "public engagement" in cui, ad esempio, abbiamo discusso insieme di alcune variazioni del protocollo. I soggetti ci hanno chiesto di non sapere il loro genotipo, quindi se sono portatori o meno, e questo ci consente di lavorare in cieco, dato che neanche gli operatori che interagiscono e valutano i soggetti coinvolti nello studio sanno chi prende la doxiciclina e chi il placebo. La sperimentazione prevede anche un supporto psicologico continuo nel tempo, per supportare i soggetti coinvolti e le loro famiglie nella difficile gestione del carico psicologico legato a questa patologia e a uno studio clinico così delicato”, conclude così il dott. Forloni. “Quello che più ci ha coinvolto nell’avere una relazione stabile con i pazienti è il beneficio diretto che hanno avuto, come confermato anche da loro stessi, nel disporre di qualcuno che si prende cura di loro e della loro condizione. Un tema molto importante e un aspetto significativo, soprattutto nell’ambito delle malattie rare”.
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