Sentenza storica del tribunale di Cagliari, divise le reazioni politiche
Il Centro di Bioetica della Cattolica denuncia: "è eugenetica"

Il Tribunale di Cagliari ha autorizzato la diagnosi preimpianto degli embrioni, prima di effettuare la fecondazione assistita all'Ospedale Microcitemico di Cagliari. La sentenza consentirà quindi a una coppia, lei malata e lui portatore sano di talassemia, di avere dei figli sani.


E’ la prima volta che la legge 40, che regola la procreazione medicalmente assistita, viene interpretata a favore di genitori con malattie non sessualmente trasmissibili. Fino ad oggi infatti la diagnosi preimpianto è stata consentita solo alle coppie sterili o quelle in cui il partner maschile avesse una malattia come l’Aids.
La coppia aveva deciso di effettuare la fecondazione assistita in quanto non fertile e, rivolgendosi al centro ospedaliero cagliaritano, aveva anche chiesto di eseguire la diagnosi per evitare l’impianto di un embrione destinato alla malattia. Il centro si era però rifiutato di effettuare la diagnosi e la coppia si è rivolta al tribunale, dove il giudice ha dato loro ragione.

La sentenza propone un’interpretazione sulla linea della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che lo scorso giugno ha accolto il ricorso presentato da una coppia italiana contro la legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita. La Corte di Strasburgo, dando ragione alla coppia  portatrice sana di fibrosi cistica, ha bocciato l'impossibilità per la coppia (fertile) di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni, sconfessando così la controversa legge italiana sulla procreazione assistita.

La sentenza di Cagliari, oggetto di una conferenza stampa organizzata ieri a Roma dall'associazione Luca Coscioni, va dunque "a correggere la situazione italiana - ha spiegato Filomena Gallo, segretario dell'associazione - in cui su 357 centri di procreazione medicalmente assistita attivi, nessuno dei 76 pubblici offre la diagnosi preimpianto, nonostante con le linee guida Turco del 2008 sulla legge 40/2004 sia consentita. Non solo: non viene offerta la crioconservazione e si osserva ancora il limite dei 3 embrioni creati, anche se non è più obbligatorio dopo la sentenza della Consulta del 2009".

Forti le reazioni della politica italiana sulla sentenza cagliaritana e, come facilmente ipotizzabile, molto diverse tra loro.

Secondo Eugenia Roccella (Pdl), ex sottosegretario alla Salute e sostenitrice della legge 40, il Tribunale di Cagliari "ha sostanzialmente decretato che una persona affetta da talassemia ha meno diritto a nascere di una persona sana, affermando, così, non solo un chiaro presupposto eugenetico, ma anche un forte elemento di disuguaglianza tra i cittadini". Si tratta, afferma in una nota, di "un criterio ingiusto e pericoloso che tradirebbe anche il principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione".

Sul fronte opposto, il senatore Pd Ignazio Marino insiste sull'inadeguatezza della normativa sulla fecondazione: "La sentenza di Cagliari è un altro passo per riconoscere l'impianto ideologico e incoerente di una legge sbagliata - afferma in una nota -.  Che la legge 40 fosse esclusivamente il frutto di una negoziazione avvenuta nel Parlamento italiano, è stato palese sin dalla sua approvazione. Un provvedimento che non ha tenuto conto nè delle conoscenze scientifiche, nè del calvario delle coppie che desiderano completare il loro progetto di famiglia, con la nascita di un figlio". "Auspico - conclude Marino- che il governo non presenti ricorso rispetto alla sentenza della Corte per i diritti dell'uomo di Strasburgo per difendere una legge ascientifica, peraltro in un momento storico in cui il presidente del Consiglio Mario Monti sta cercando di restituire all'Italia l'immagine di un Paese moderno e affidabile. Sarebbe un grave errore".

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