Dottor Lorenzo D’Antiga

Le prime tre pazienti sono state trattate con successo all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e non saranno più costrette a trascorrere la notte sotto le lampade a raggi ultravioletti

Bergamo – È un momento storico per i pazienti affetti dalla sindrome di Crigler-Najjar: finalmente hanno a disposizione una cura alternativa al trapianto di fegato. Questa cura è la terapia genica, eseguita per la prima volta con successo nell’uomo all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: la sperimentazione si è rivelata sicura ed è stato individuato il livello di dosaggio che ne garantisce l’efficacia. A soli dieci giorni dall’inizio della terapia, infatti, le pazienti hanno mostrato una decisa riduzione del livello di bilirubina nel sangue, ed entro un mese questa sostanza si è assestata ad un livello pressoché normale, non più tossico e quindi non più pericoloso per il cervello. I risultati preliminari del trial, riferiti alle prime tre pazienti trattate fino ad oggi, sono stati presentati il 22 ottobre al Congresso della European Society of Gene & Cell Therapy (ESGCT), una società scientifica che ha come obiettivo quello di supportare il lavoro di ricerca degli scienziati nel campo delle terapie geniche e cellulari.

GAIA, LA PRIMA PZIENTE AL MONDO TRATTATA CON SUCCESSO

La prima paziente al mondo con sindrome di Crigler-Najjar a sottoporsi con successo alla terapia genica è stata Gaia Groppi, una ragazza di 29 anni di Varese che già tre anni fa sperava in questa nuova possibilità di cura, e che ha accettato di raccontare la sua storia nel social talk di OMaR “#TheRARESide”. Il 18 novembre 2020, all’Ospedale di Bergamo, i medici della Pediatria del Papa Giovanni XXIII le hanno iniettato un virus innocuo, svuotato del suo corredo genetico e sostituito con il gene da correggere. Il virus, chiamato in gergo tecnico “adeno-associato”, entra nelle cellule epatiche, raggiunge il nucleo e libera il piccolo frammento genetico che va a posizionarsi accanto al DNA della paziente, senza modificarlo. Da questo momento, il ‘gene terapeutico’ inizia a produrre la proteina che i cromosomi originari non erano in grado di sintetizzare, a causa della mutazione che determina la malattia. Così, quattro mesi dopo la terapia, Gaia ha potuto finalmente spegnere le “luci blu” della lampada a raggi ultravioletti, sotto la quale ha dormito per tutta la vita. È iniziata una nuova vita, senza la fototerapia notturna, anche per le altre due pazienti, due ragazze di 22 e 30 anni, trattate rispettivamente a marzo e a giugno 2021, sempre all’Ospedale di Bergamo.

UN ITTERO CHE DURA PER TUTTA LA VITA

La sindrome di Crigler-Najjar è una malattia ultra-rara che secondo le stime colpisce in Italia 50-60 persone. Per un difetto genetico, il fegato è incapace di trasformare la bilirubina, il pigmento responsabile del colore giallastro della pelle, in una forma idrosolubile e quindi eliminabile dal corpo. La conseguenza è che la bilirubina si accumula nel sangue e nei tessuti e, se non si adottano misure specifiche per ridurne i livelli, si deposita nel sistema nervoso centrale causando danni cerebrali irreversibili. È come se l’ittero fisiologico dei neonati persistesse per tutta la vita anziché risolversi rapidamente. L’unica procedura attualmente in grado di correggere definitivamente il difetto rimane solo il trapianto di fegato. Per chi è affetto dalla sindrome di Crigler-Najjar, la sola strategia per tenere sotto controllo i livelli di bilirubina è dormire tutta la notte sotto lampade a raggi ultravioletti (fototerapia), nelle forme più gravi anche fino a 10 o 12 ore ogni notte. Una pratica che impatta pesantemente sulla qualità della vita di chi è affetto da questa malattia.

L'ENTUSIASMO DEL PRINCIPAL INVESTIGATOR

“Tutte e tre le pazienti trattate hanno sospeso la fototerapia ed hanno smesso di dormire sotto le lampade blu. Dopo quattro mesi di osservazione, abbiamo constatato che la terapia ha permesso di raggiungere l’obiettivo principale che ci eravamo preposti”, ha spiegato il dr. Lorenzo D’Antiga, Direttore della Pediatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e principal investigator della sperimentazione. “Devo dire che è stata una vera emozione vedere i segni così evidenti dell’effetto della terapia sulle tre pazienti. Il colore della loro pelle ha perso il caratteristico colore giallastro, tipico della malattia. Ma il dato più importante, al di là dell’aspetto estetico e della possibilità di sospendere la fototerapia intrapresa fin dalla nascita, è che per queste pazienti si prospetta ora una riduzione dei rischi causati dalla bilirubina, tossica per il sistema nervoso centrale e a livello cerebrale. Dimostrata la sicurezza della terapia e individuata la dose che ne garantisce l’efficacia, ora la sperimentazione prosegue con l’obiettivo di definire la durata nel tempo di questi effetti positivi”.

UN SUCCESSO IN GRAN PARTE ITALIANO

I protagonisti di questo risultato internazionale sono in gran parte italiani. La sperimentazione, che vede l’Ospedale di Bergamo come uno dei centri investigativi, è stata realizzata nell’ambito del progetto internazionale di ricerca denominato “CureCN, condotto da Généthon (organizzazione fondata da AFM-Téléthon, associazione di pazienti che organizza l'annuale maratona televisiva in Francia) e finanziato dalla Comunità Europea all’interno del programma “Horizon 2020”. Oltre al Papa Giovanni di Bergamo, centro che ha arruolato il maggior numero di pazienti, fa parte del progetto di ricerca anche il TIGEM di Pozzuoli (Organizzazione non-profit fondata dal Telethon italiano) e, come centri di ricerca, anche gli ospedali universitari di Amsterdam AMC e Parigi Antoine Béclère. Il team di Bergamo, che include oltre a D’Antiga anche la biologa Marina Ferrario e il pediatra Angelo Di Giorgio, ha condotto la fase clinica; la progettazione e la realizzazione del candidato farmaco, inclusi tutti i test preclinici che avevano permesso di testarne l’efficacia e la sicurezza, sono state sviluppate da Généthon.

Fondamentale è stato anche il contributo dell’associazione CIAMI, che da 30 anni sostiene i pazienti italiani affetti dalla sindrome di Crigler-Najjar, ed è impegnata nel favorire la ricerca in questo campo. Proprio pochi giorni fa, la Onlus presieduta da Velio Venturi ha denunciato che da dieci anni, a causa di un intoppo burocratico, i pazienti non possono ottenere il Bonus energia elettrica e gas, e le loro bollette sono particolarmente salate a causa della fototerapia, l'unico trattamento che può mantenerli in vita. L'appello è stato accolto dalla Senatrice Paola Binetti, che ha presentato in merito un'interrogazione al Ministro della Salute.

IL CONTRIBUTO DEL PAPA GIOVANNI XXIII DI BERGAMO

Il gruppo di lavoro del Papa Giovanni di Bergamo continuerà la sperimentazione della terapia genica su altri candidati, per completare il progetto che prevede in totale il trattamento di 17 pazienti. L’interesse nel mondo scientifico su questa sperimentazione è dimostrato dal fatto che la precedente esposizione del 26 giugno all’International Liver Congress della Società Europea di Epatologia (EASL), sempre da parte del dr. Lorenzo D’Antiga, è stata annoverata tra le migliori del congresso e inclusa nella selezione 'Best of ILC'. “Stiamo già lavorando su altre malattie rare del fegato, e speriamo di poter offrire i vantaggi della terapia genica anche a pazienti affetti da altre patologie”, ha concluso D’Antiga.

Parole di apprezzamento per questa sperimentazione sono arrivate anche da Fabio Pezzoli, direttore sanitario dell’ASST Papa Giovanni XXIII: “Il nostro Ospedale è da sempre convinto che un'attività clinica sempre aggiornata non possa che accompagnarsi ad una continua attività di ricerca. Il Papa Giovanni XXIII, anche grazie ad una intensa attività clinica e di ricerca nel settore dei trapianti, è tra i centri di riferimento in Europa per la cura delle malattie epatiche nei bambini, comprese quelle rare, che hanno impatti devastanti sulla vita dei bambini e delle loro famiglie”.

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