Ricercatori tailandesi hanno sfruttato l'editing genomico per mettere a punto un potenziale trattamento che sfrutta le cellule staminali estratte dal paziente
La tecnica CRISPR-Cas9 continua a farsi sentire nel campo delle malattie genetiche. Dopo i primi test sull’anemia falciforme e sulla leucemia mieloide cronica, e mentre sono in corso studi sulla malattia di Duchenne e altre patologie, un gruppo di ricercatori tailandesi ha messo a punto un protocollo di editing del genoma che, sfruttando la celebre tecnologia CRISPR-Cas9, sembra offrire una possibilità di trattamento per una particolare forma di beta-talassemia. I risultati della ricerca sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Stem Cell Research & Therapy.
Le talassemie rappresentano il più vasto gruppo di patologie monogeniche, cioè originate da mutazioni in un singolo gene, e sono condizioni essenzialmente caratterizzate da una forte anemia. Possono spaziare da forme gravi, strettamente legate a un programma terapeutico trasfusionale e con agenti ferro-chelanti, a forme intermedie e lievi. L’unico trattamento con effetto realmente curativo è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, una procedura che, però, può comportare non pochi rischi per il paziente.
È proprio a partire da questo presupposto che si sono mossi i ricercatori tailandesi, che hanno cercato di allestire un potenziale protocollo terapeutico per un tipo di talassemia notevolmente diffuso nel bacino del Sud-Est Asiatico: l’emoglobina E-beta-talassemia (HbE-BT), una forma di beta-talassemia nella quale i pazienti sono eterozigoti e posseggono una copia del gene HBB che non è in grado di produrre le catene di beta-globina, e l’altra, invece, che esprime la forma emoglobinica alterata nota come HbE (emoglobina E). I soggetti affetti da questa condizione manifestano un fenotipo variabile che dipende probabilmente dalla presenza di geni modificatori: perciò, sul piano clinico, la malattia a volte appare simile alla beta-talassemia major, con sintomi che possono includere debolezza, problemi alimentari, diarrea, febbre ricorrente, progressiva distensione dell'addome e ingrossamento del fegato e della milza, altre volte risulta paragonabile a una forma lieve di beta-talassemia intermedia.
Nel tentativo di sviluppare una terapia per l'HbE-BT, sono stati sperimentati diversi approcci di correzione del gene HBB ma non è mai stato raggiunto il livello di precisione necessario allo scopo. È a questo punto che sono entrate in gioco le 'forbici molecolari' CRISPR-Cas9, divenute via via più simili all’iconico samurai dei fumetti della serie Lupin III, il quale, con la sua spada affilata, esegue facilmente e con grande successo tagli precisi in tutte le situazioni. Il paragone, seppure un po’ ironico, serve a sottolineare un risultato importante ottenuto nello studio condotto dai ricercatori tailandesi, in cui è stato descritto un limitatissimo verificarsi di effetti "off-target", ovvero di situazioni in cui la tecnica CRISPR-Cas9 abbia tagliato la sequenza di DNA nel sito sbagliato. La ricerca svolta nei laboratori asiatici, infatti, non ha riportato significativi effetti collaterali di questo tipo.
I ricercatori hanno lavorato a partire dai fibroblasti ottenuti da un paziente con emoglobina E-beta-talassemia: grazie all’uso di un oligodesossinucleotide, una breve molecola a singolo filamento di DNA, e del noto costrutto CRISPR-Cas9, è stato possibile correggere la variante emoglobinica HbE nelle cellule staminali pluripotenti indotte: questo passaggio è stato di per sé sufficiente a favorire il ripristino della produzione di emoglobina. Le cellule staminali trattate sono cresciute su appositi terreni di coltura e si sono differenziate in cellule ematopoietiche mature, utilizzabili in un trapianto autologo. In tal maniera, si azzera il rischio di incorrere nella malattia di rigetto contro l’ospite (GVHD, Graft Versus Host Disease) e le potenzialità terapeutiche crescono enormemente.
Non è la prima volta che si tenta un approccio del genere: sono già stati eseguiti studi di transfezione [il processo di introduzione di materiale genetico all’interno di una cellula, N.d.R.] del gene HBB con vettori retrovirali ma il livello di espressione del gene è apparso piuttosto modesto, con un effetto non troppo duraturo. Sono stati raggiunti risultati più significativi ricorrendo ai vettori lentivirali, ma il metodo tailandese è destinato ad aprire la strada ad ulteriori test su modelli murini, dove le potenzialità delle cellule staminali ematopoietiche prodotte dai ricercatori asiatici saranno più propriamente saggiate.
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