Luca, persona con osteogenesi imperfetta

"È frustrante vedere come spesso le barriere più grandi non siano quelle architettoniche, ma culturali"

La caratteristica principale di Luca non è l’osteogenesi imperfetta, e nemmeno quella carrozzina ipertecnologica che gli hanno costruito su misura e di cui lui è molto fiero. Quello che colpisce di Luca è il sorriso. Una costante della sua vita, che non è stata facile e non lo sarà, ma che è affiancata da persone che lo sostengono, lo amano e lo accolgono. Luca vive in provincia di Caserta e ha 28 anni, convive con una forma rara di osteogenesi imperfetta, scoperta quando aveva dieci mesi. L'osteogenesi imperfetta (OI) è una malattia genetica rara caratterizzata da un'anomala fragilità ossea, che porta a fratture frequenti anche in assenza di traumi significativi. Questa condizione si verifica a causa di mutazioni nei geni COL1A1 e COL1A2, che sono responsabili della produzione del collagene di tipo I, una proteina fondamentale per la resistenza e la struttura delle ossa.

I sintomi vanno dalle fratture ricorrenti alla bassa densità ossea, fino alle anomalie dentali. Ogni persona con osteogenesi imperfetta può avere sintomi diversi. Ad esempio, Luca non ha anomalie dentali. In effetti, ci sono diversi livelli di OI: da lievi a più grave. La forma di Luca non è solo rara, ma anche grave. Nel suo caso il problema è la mutazione della proteina SERPINF1 dovuto al fatto che manca un pezzo di DNA tra il cromosoma 17.15.1 e il cromosoma 17.15.3.

La sua infanzia è stata costellata da numerose fratture e oggi deve fare i conti con un dolore cronico costante, che comunque non spegne il suo sorriso e la sua voglia di vivere la vita al massimo: non ha mai smesso di perseguire ciò che ama e mantiene uno sguardo positivo verso il futuro. Un punto di svolta significativo è stata la sua carrozzina speciale, frutto dell'ingegno e della dedizione di sua madre e suo nonno che l'hanno adattata alle sue specifiche esigenze. Questo ausilio rappresenta per lui molto più di un semplice mezzo di trasporto: è uno strumento di libertà che gli permette di muoversi in sicurezza, riducendo il rischio di fratture, e di esplorare il mondo naturale che tanto ama. Lo abbiamo intervistato per approfondire la sua storia.

Quando hai ricevuto la diagnosi di osteogenesi imperfetta?

Potrei quasi dire che sono nato con l'osteogenesi. Le prime fratture le ho avute a 11 mesi di vita. Per i primi 10 mesi i miei genitori non immaginavano nulla, anzi mi lanciavano in aria come si fa con tutti i bambini. Poi a 1a mesi mi sono rotto un'anca e un femore, e nell'arco di una settimana sono arrivate altre due fratture. Lì hanno iniziato ad allarmarsi.

Come è stata comunicata la diagnosi alla tua famiglia?

Negli ospedali in quel periodo erano tutti poco informati, se non totalmente all'oscuro di questa malattia. Quando hanno comunicato ai miei genitori che avevo l'osteogenesi imperfetta, è stata più una sentenza che una diagnosi: per i medici non sarei vissuto a lungo. Era il 1997, io sono del '96, ed era difficilissimo informarsi vista la scarsa diffusione di internet. L’ ASITOI (Associazione Italiana Osteogenesi Imperfetta) non era ancora così conosciuta e facilmente raggiungibile come oggi. I miei genitori l'hanno scoperta tramite un amico di famiglia che era appena diventato dottore (neurologo) e che, consultando gli elenchi delle malattie rare, ha trovato il contatto dell'associazione. Sono stati fondamentali per permettermi di attivare il percorso di cura.

Che tipo di osteogenesi ti è stata diagnosticata?

In Italia inizialmente non davano molta importanza a identificare il grado specifico, trattavano tutti allo stesso modo. È stato grazie a mio padre, che si è formato in maniera autodidatta e ha inviato il mio DNA in America a degli specialisti, che abbiamo scoperto che ho il tipo 6, uno dei più rari e fragili, dovuto a un difetto della serpina, una proteina. Questo significa che la mia mobilità è molto ridotta rispetto ad altre persone con osteogenesi, a causa dell'estrema fragilità delle ossa.

Come ti muovi nella vita quotidiana?

Vivo in carrozzina, ci dormo, passo tutta la giornata nella carrozzina. Spesso quando lo racconto le persone la vivono male, come se fosse un handicap dormire in carrozzina, ma per me è stato un traguardo incredibile perché mi consente di evitare spostamenti che potrebbero causare fratture e di vivere la giornata senza spendere tante ore in movimenti delicati.

Questa carrozzina ha delle caratteristiche particolari?

È stata creata su misura dalla mia famiglia, con l'aiuto di un tecnico specializzato nel settore carrozzine. Non è una carrozzina che si trova sul mercato, è unica nel suo genere. Ha delle modifiche specifiche per me, tra cui un sistema che mi permette di andare in bagno senza dovermi spostare. Siamo riuscita ad ultimarla nel 2017, ma il “progetto” è nato nel 2010 ed il percorso per crearla è stato difficilissimo e dolorosissimo.

Come è stato il tuo percorso scolastico?

Ho dei bei ricordi del periodo infantile. Grazie ai miei genitori, che mi hanno insegnato a non fermarmi mai nelle cose che mi piacciono, andavo a scuola anche con un braccio fratturato, perché provavo piacere nello stare con gli altri bambini. Ho frequentato regolarmente sia la scuola primaria sia la scuola media, quest'ultima in parte in Francia a causa dei miei interventi. Il periodo più complesso è stato quello dell'adolescenza, quando facevo avanti e indietro tra Italia e Francia per gli interventi, passando sei mesi qui e sei mesi lì.

Quanti interventi hai subito?

Considerando tutti gli arti, sia superiori che inferiori, e alcuni interventi che ho dovuto ripetere perché non erano riusciti bene, più l'intervento alla colonna vertebrale per la scoliosi che è durato circa 7 ore, direi tra i 10 e i 15 interventi in totale.

Come è stato il supporto della tua famiglia?

Ho una famiglia super unita, soprattutto dal lato di mamma che ha due sorelle che sono come seconde mamme per me. Lo stesso vale per i miei nonni materni. In più, quando i miei genitori dovevano seguire me negli ospedali, mio fratello maggiore è stato accudito dai nonni. Questa unione familiare continua ancora oggi: ho dei cugini che considero fratelli e delle zie che considero seconde mamme.

E che rapporto hai con tuo fratello?

Ho un ottimo rapporto con lui, che ha tre anni più di me. Da poche settimane mi ha regalato un nipotino, quindi gli perdono tutte le cose del passato! Ora faccio lo zio e mi godo il nipotino come tutti gli zii.

Parlaci delle tue passioni

Sono tante, forse troppe! Sono un ambientalista, sono vegetariano e amo la natura. Una delle mie più grandi soddisfazioni è riuscire a visitare montagne considerate difficili da raggiungere per persone in carrozzina. Quest'estate sono stato in Trentino-Alto Adige, che era da sempre un mio sogno. Sono un grande appassionato di videogiochi e sono referente di Pokémon Go.

Come vedi il tuo futuro?

Sono in un periodo di cambiamenti, con l'arrivo di mio nipote. Tra i miei obiettivi c'è quello di trovare uno sport adatto a me, sto pensando alle bocce paralimpiche. Vorrei anche trovare un lavoro che mi permetta di unire le mie passioni, magari a contatto con la natura. Il mondo del lavoro mi ha sempre messo un po' a disagio, forse per insicurezza, ma sono sicuro che quando troverò la determinazione giusta, raggiungerò i miei obiettivi.

Hai avuto esperienze negative legate alla tua condizione?

Più che la disabilità fisica, il problema più grande è come la società si pone. Per esempio, nel 2020 ho fatto 6 ore di macchina per andare a un concerto all'Arena di Verona, ma il posto per disabili era così lontano e mal posizionato che non sono riuscito a vedere nulla. Quando l'ho fatto presente, mi è stato risposto che "al concerto si va per ascoltare, non per vedere". È frustrante vedere come spesso le barriere più grandi non siano quelle architettoniche, ma culturali.

Che messaggio vorresti dare a chi scopre di avere l'osteogenesi imperfetta?

Parlarne fa sempre bene, che sia come stimolo di conoscenza, di informazione, di apprendimento o anche di conforto. Nascondere una patologia come l'osteogenesi, o qualsiasi altro problema, secondo me è solo un errore. Parlarne può solo portare miglioramenti o, nel caso si prenda qualche batosta, comunque si impara qualcosa. Vorrei anche dire allo Stato di migliorare la disponibilità degli ausili: troppo spesso le persone con disabilità vengono trattate tutte allo stesso modo, senza considerare le specifiche necessità di ciascuno. Come gli occhiali per chi non vede bene, ogni persona con disabilità dovrebbe avere gli strumenti giusti per vivere con la massima autonomia possibile.

Leggi anche: "Osteogenesi imperfetta, il vero problema è il dolore cronico"

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