Podcast Miastenia gravis - Dr. Mantegazza e Maya

La decima puntata del podcast “gMG your Way”: il dialogo tra il Dr. Mantegazza (Besta, Milano) e Maya, persona affetta dalla malattia

Quanto è importante una corretta comunicazione tra medico e paziente? A dibattere sull’argomento sono Maya, farmacista affetta da miastenia gravise il suo neurologo, il Dr. Renato Mantegazza, uno dei massimi esperti nazionali della patologia. Insieme, sono i protagonisti della decima puntata del podcast gMG your Way” (realizzato da Alexion Pharma, Astra Zeneca Disease e  AIM ODV, che fa parte di Alleanza Malattie Rare), condotta da Giuseppe Brugnone, marito e caregiver di Marta, che è affetta da miastenia gravis: attraverso i due punti di vista differenti, si rifletterà su come rendere efficace e proficua l’interazione tra medico e paziente, per una comprensione reciproca sia delle aspettative cliniche che della qualità di vita.

È essenziale che il medico si faccia capire, e che il paziente capisca quale sia la sua situazione e le prospettive riguardanti la sua qualità della vita. Proprio per questo, io spendo molto tempo, soprattutto all’inizio, nel cercare di comprendere quanto il paziente sappia circa la sua patologia”, spiega Mantegazza.

“Dell’importanza di una reciproca comprensione – racconta Maya, che è membro di AIM, Associazione Italiana Miastenia e malattie immunodegenerative Amici del Besta ODV – ho avuto di recente la conferma, quando una paziente mi ha raccontato di non sentirsi ascoltata dal suo neurologo, ritenendolo poco empatico e per questo motivo di aver abbandonato la terapia. Di fronte a questo episodio, mi sono venuti i brividi, perché è fondamentale l’aderenza terapeutica e questa può venire a mancare proprio a causa di una comunicazione poco efficace. L’ascolto da parte del medico è fondamentale, fa parte della terapia anche questo”.

Quali sono quindi gli strumenti per rendere questa comunicazione efficace? È importante creare una situazione di scambio – risponde il prof. Mantegazza – e farsi comprendere dal paziente. Io spesso mi avvalgo di disegni, che ritengo uno strumento semplice per capire certe cose. Chiaramente ci sono dei termini che sono ostici, che bisogna spiegare bene, anche attraverso allegorie o metafore. Certo questo richiede tempo, e diventa difficile quando si hanno le visite contingentate. Purtroppo abbiamo un tempo limitato a disposizione per ciascun paziente, tra i 15 e i 20 minuti, un po’ di più quando si tratta di una prima visita, ma non bisogna dimostrare fretta, perché egli deve avere la possibilità di raccontare la sua storia”. “Eppure – ribatte Maya – siccome durante la prima visita siamo meno lucidi ed emotivamente provati, le domande spesso ci sorgono nelle visite successive, quando paradossalmente, c’è meno tempo a disposizione”.

Un argomento a sé è quello dei caregiver: “Spesso – spiega Mantegazza – abbiamo dei caregiver invasivi, ma noi medici dobbiamo rapportarci prima di tutto con il paziente ed è difficile da gestire una situazione del genere. Quando accade è necessario far valere la propria autorità e mettere al suo posto l’accompagnatore”. “Di solito faccio le visite da sola, ma ci sono persone che vanno con il caregiver – specifica Maya -perché temono di non essere creduti dal medico. Questo invalida in partenza la comunicazione tra clinico e paziente, perché manca la fiducia, che dev’essere alla base”.

Cosa potrebbe fare un paziente per essere più pronto ad un dialogo con il medico, dunque? “Che il paziente arrivi già preparato, con l’elenco già scritto delle loro problematiche – consiglia Mantegazza – così da affrontare l’ansia che magari sorge davanti al camice bianco. Il paziente non deve stilare una relazione minuziosa di tutto quello che ha, ma deve essere istruito dal medico nel trovare i punti essenziali che caratterizzano la malattia”. Della stessa opinione è Maya: “Noi pazienti, questa lista, non la facciamo mai perché sono sintomi così importanti che riteniamo sia impossibile dimenticarsene. Eppure qualcosa la dimentichiamo sempre. Quindi è essenziale farsela, noi pazienti abbiamo bisogno di un minimo di educazione per sapere cosa è importante segnarsi e cosa no, ed è qualcosa che si affina con le visite”.

In tutto questo l’empatia da parte del medico nei confronti del paziente è importantissima. “Purtroppo a noi medici – spiega Mantegazza – non viene insegnato niente riguardo l’empatia, sta alla sensibilità di ciascuno. È importante mantenere asetticità in certi casi ma lo è altrettanto far capire al paziente che si è compartecipi dei suoi problemi”. “L’empatia non si può insegnare – aggiunge Maya – ma spero sempre che si possa imparare il modo corretto di comunicare. L’ascolto dev’essere reale, altrimenti la comunicazione non porterà da nessuna parte. Uno dei maggiori “killer” della comunicazione, in molte patologie tra cui la miastenia, è partire dal presupposto che i nostri sintomi siano frutto della nostra immaginazione, dell’ansia o della depressione”.

L’obiettivo del clinico è portare il paziente miastenico ad un miglioramento della qualità della vita. Per questo, e su questo sono entrambi concordi, è importante far sapere al medico che stile di vita ha il paziente, perché l’impatto dei sintomi spesso dipende da quello.

Quali sono, in conclusione, i consigli per migliorare il dialogo tra pazienti e medici? Dal punto di vista di Maya sono “Comprendere la propria patologia, stilare la famosa lista dei sintomi e ricordarsi che è fondamentale avere fiducia nel clinico, altrimenti la relazione non funziona”. Per il dr. Mantegazza, “trasparenza, credibilità e capacità, sono i tre concetti base che il medico deve avere”.

Ricapitolando, non è facile avere un dialogo tra medico e paziente quando si parla di una malattia rara, ma sicuramente ci sono degli strumenti che possono aiutare entrambi, come la consapevolezza del tempo a disposizione durante una visita, un ascolto attivo da parte del medico, e la fiducia tra i due attori di questa relazione.

Ascolta il podcast in versione integrale su Amazon Music e Spotify

Leggi anche: “Maya, digital artist e paziente, disegna la miastenia gravis per vincere l'invisibilità”.

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