L’intervista al Prof. Antonio Pisani: “A Napoli 55 pazienti in cura, quasi tutti effettuano terapia domiciliare”

NAPOLI – Negli ultimi dieci anni sono stati fatti importanti progressi nella conoscenza e nella cura della malattia di Fabry, ma secondo le stime basate sui dati di prevalenza e d’incidenza solo la metà dei casi viene diagnosticata. A sostenerlo è il prof. Antonio Pisani, nefrologo dell’Università Federico II di Napoli ed esperto di questa rara patologia.

 

La malattia di Fabry è una patologia da accumulo lisosomiale a modalità X linked, progressiva ed ereditaria, causata da un difetto nel metabolismo dei glicosfingolipidi. I pazienti in età pediatrica possono presentare già alcuni sintomi tipici, che però spesso non vengono riconosciuti dagli specialisti, come il dolore alle mani o ai piedi, i disturbi intestinali o gli angiocheratomi.

"Il ritardo diagnostico – avverte il prof. Pisani – può portare alla compromissione d’organo, con il rischio di dover ricorrere alla dialisi. Se invece viene individuata precocemente, la malattia è ormai quasi completamente gestibile".

Professore, come avviene la gestione del paziente nel suo centro?

La Nefrologia del Federico II di Napoli, nell’ambito del Centro malattie rare della Regione Campania, si occupa di questa patologia da 14 anni. Al momento abbiamo 55 pazienti in cura, dei quali 50 in trattamento. Il nostro è un centro clinico ad alta specializzazione, un punto di riferimento coordinato da noi e associato ad altre specialità: cardiologia, radiologia, endocrinologia, neurologia e pediatria. Un gruppo che è anche autore di trenta pubblicazioni di estremo interesse.

Quanti pazienti hanno scelto la terapia domiciliare?

Tutti. Dopo aver effettuato il dosaggio enzimatico e aver riscontrato la presenza della malattia, passiamo alla valutazione sull’interessamento e sul danno d’organo. In seguito si inizia la terapia enzimatica sostitutiva (un’infusione ogni due settimane) presso la nostra struttura, per poi passare all’assistenza domiciliare, con il sostegno di un infermiere. Il follow up avviene, a seconda della gravità del caso, ogni tre o sei mesi.

Recentemente è stato pubblicato un suo studio sull’uso del paracalcitolo (un analogo sintetico della vitamina D) per la cura della proteinuria, la presenza di proteine nell’urina.

Si tratta del primo studio al mondo sull’uso del paracalcitolo nella malattia di Fabry. Abbiamo seguito 15 pazienti, che non sono pochi per uno studio su una malattia rara, ma sono ancora pochi per avere delle certezze. In ogni caso il risultato è stato molto forte: è la prima evidenza che il paracalcitolo, assunto come additivo alla terapia enzimatica, è efficace e ha portato ad una completa risoluzione della proteinuria in sei mesi. Il nostro centro lo usava già per altre nefropatie, ed ora anche per la malattia di Fabry.

Sembrano molto promettenti le ricerche sulle molecole chaperoniche.

Le molecole chaperoniche sono le nuove frontiere: sono proteine molto semplici che sono in grado di modificare la struttura primaria di un enzima. Nel nostro centro sono in corso specifici studi, in collaborazione con il Dipartimento di Pediatria diretto dal prof. Giancarlo Parenti, che credo daranno risultati importanti: la speranza è quella di poter modificare la modalità di assunzione della terapia sostitutiva enzimatica da endovenosa ad orale. Le molecole chaperoniche, infatti, aumentano l’efficacia della terapia sostitutiva, però sono utili solo per i pazienti che hanno un minimo di attività enzimatica residua.

Ritiene che sarebbe utile uno screening neonatale?

Rispetto allo screening neonatale, credo che sarebbe molto più utile ed economico uno screening per una sottopopolazione di pazienti a rischio, ad esempio fra quelli con insufficienza renale senza diagnosi e coloro che hanno avuto un ictus giovanile ingiustificato.

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