La presidente dell'associazione italiana Federica Verduzzo racconta la recente nascita della Onlus, che riunisce i genitori di 28 bambini nati con questa rarissima anomalia
Roma – L'avvio di un'associazione di pazienti è sempre un percorso lungo e complicato, costellato di difficoltà dettate sia dall'ordinaria amministrazione che dalla burocrazia. Ma a volte l'entusiasmo e la voglia di essere utili ai propri iscritti e a quelli che potrebbero diventarlo, supera anche questi problemi. Un esempio virtuoso è quello dell'Associazione Nazionale Macrodattilia Onlus, che in meno di un anno di attività è riuscita a mettersi in contatto con le famiglie di 28 bambini, creare un sito web, pubblicare una scheda sulla patologia e organizzare un convegno a livello nazionale, il prossimo 16 dicembre.
Artefici di tutto ciò sono un gruppo di papà e di mamme, fra cui Federica Verduzzo e Federica Borgini: i loro bambini sono affetti da questa rara malattia congenita per cui una o più dita della mano o del piede sono molto più grandi delle altre. I primi incontri fra le famiglie sono avvenuti negli ospedali oppure su internet, dove i genitori cercavano informazioni: poi, lo scorso gennaio, la discussione si è trasferita da un blog a una pagina Facebook e a un gruppo WhatsApp, e infine si è deciso di costituire l'associazione, diventata Onlus a settembre. Recentemente, inoltre, l'Associazione Nazionale Macrodattilia è entrata a far parte dell'Alleanza Malattie Rare, l'iniziativa promossa dall'Intergruppo Parlamentare per le Malattie Rare e dall'Osservatorio Farmaci Orfani (OSSFOR), che riunisce già circa 70 organizzazioni di pazienti.
“Un percorso reso ancora più complesso dal fatto che la macrodattilia non è inclusa nel registro delle malattie rare, neppure nella nuova versione dei LEA: perciò non abbiamo accesso ai registri per poter avere informazioni precise sulla malattia”, spiega la presidente, Federica Verduzzo.
Dai pochi dati disponibili in letteratura, sembra che la malattia colpisca maggiormente le mani (una sola o entrambe) rispetto ai piedi: dall'esperienza dell'associazione, invece, risulta che i casi di macrodattilia della mano siano solo 3 contro 25. Questo può essere spiegato in due modi: prima di tutto il campione della Onlus (28 casi) non può essere significativo in termini statistici. Inoltre, anche il modo in cui le famiglie si sono conosciute potrebbe aver introdotto un bias di selezione dei casi: chi frequentava centri specializzati nel trattamento del piede ha incontrato famiglie con lo stesso problema.
“Data la rarità, spesso non è semplice riconoscere la macrodattilia: a mio figlio, che ora ha 11 anni, all'inizio era stata diagnosticata solo la sindattilia, un'altra anomalia congenita che consiste nella fusione di due o più dita delle mani o dei piedi. Ci siamo rivolti a diversi ospedali, dal Buzzi di Milano al Gaslini di Genova, fino al San Raffaele, dove il dr. Maurizio De Pellegrin, che aveva maturato un'esperienza anche in Africa con Medici Senza Frontiere, mi fece vedere le foto dei bambini affetti da questa malformazione. Fino ad oggi, mio figlio ha affrontato quattro interventi: il primo, di epifisiodesi, a 9 mesi, il secondo a 18 mesi per l'amputazione di un intero raggio del piede, e altri due per l'asportazione del tessuto molle. E l'anno prossimo l'ortopedico prevede che sarà necessario un altro intervento all'alluce, perché nonostante le operazioni – che hanno l'obiettivo di migliorare l'appoggio – il dito sta continuando a crescere”.
La forma da cui è affetto il figlio di Federica Verduzzo è quella progressiva: il bambino nasce con un dito normale o quasi, che poi si ingrandisce in modo esponenziale. “Prima dell'amputazione, aveva delle difficoltà a camminare: doveva indossare una scarpa di due o tre numeri più grande dell'altra”, prosegue la presidente. “Ho sempre cercato di fargli accettare la sua condizione: da piccolo ha fatto karate, uno sport che prevede lo stare scalzi, e al mare porta le infradito come tutti. Ma occorre che le famiglie possano ricevere un aiuto e sentire che non sono sole: ai bambini occorre un supporto psicologico per poter affrontare questa situazione, ma spesso ne hanno bisogno anche i genitori”.
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