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Ricerca Iperossaluria primitiva

Dal 1925 ad oggi sono stati sviluppati nuovi farmaci e la mortalità dei pazienti è calata (ma solo nei Paesi occidentali): un bilancio in occasione della settimana dedicata alla malattia

 Era il 1925 quando l'urologo francese C. Lepoutre descrisse per la prima volta la presenza di cristalli di ossalato nel rene. Facciamo un salto di quasi un secolo e siamo nel 2020, quando la Food and Drug Administration (FDA) e l'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) approvano il farmaco lumasiran, la prima terapia che, riducendo drasticamente la sintesi dell'ossalato endogeno, ha rivoluzionato l'algoritmo di trattamento per le persone affette da iperossaluria primitiva di tipo 1 (PH1). Un percorso lungo, composto da numerose tappe importanti: a riassumerle sono stati i nefrologi Justine Bacchetta (Francia) e Kyle D. Wood (Stati Uniti) nel loro editoriale pubblicato sul Clinical Kidney Journal, con il quale introducono un supplemento completamente dedicato alla patologia. Riportiamo le loro riflessioni in occasione della Hyperoxaluria Awareness Week, la settimana dedicata alla consapevolezza di questa malattia, che è stata celebrata in tutto il mondo dal 7 al 12 novembre.

La PH1 è una patologia rara, autosomica recessiva, dovuta a una mutazione nel gene AGXT, che codifica per l'enzima epatico alanina-gliossilato aminotransferasi (AGT). I difetti nell'AGT aumentano notevolmente la produzione di ossalato, e quest'ultimo provoca calcoli renali, nefrocalcinosi e malattia renale cronica a evoluzione verso insufficienza renale terminale. Sono state descritte correlazioni fra genotipo e fenotipo, ma i sintomi e l'età alla diagnosi variano notevolmente, dalle forme infantili più gravi e a più rapida progressione, che portano a una malattia allo stadio terminale nei primi mesi di vita, fino alle forme adulte con insufficienza renale e calcoli renali ricorrenti.

Dal 1925 ad oggi la fisiopatologia della PH1 è stata compresa più a fondo e la gestione dei pazienti affetti da questa grave malattia è decisamente migliorata. Parallelamente, su entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico sono emerse reti scientifiche e associazioni di pazienti, con la Oxalosis and Hyperoxaluria Foundation (OHF) negli Stati Uniti e OxalEurope in Europa. Ciò ha portato allo sviluppo di registri clinici che hanno notevolmente migliorato la conoscenza dell'epidemiologia e del decorso clinico della malattia, non solo della PH1 ma anche degli altri due sottotipi attualmente noti, PH2 e PH3.

Nel 2012, per orientare la diagnosi e la gestione dei pazienti, sono state proposte delle linee guida cliniche, che sono oggi in fase di aggiornamento per integrare l'utilizzo delle terapie introdotte di recente. Prima del 2020, gli unici trattamenti disponibili erano l'idratazione intensiva, l'alcalinizzazione delle urine, la supplementazione con piridossina (nei pazienti con specifiche mutazioni genetiche), l'emodialisi intensiva e infine il trapianto combinato o sequenziale di fegato e rene.

Recentemente è disponibile una nuova terapia basata sul meccanismo dell'RNA interference (RNAi) il cui obiettivo è inibire l'eccesso di sintesi dell'ossalato epatico attraverso il silenziamento del gene idrossiacido ossidasi 1 (HAO1) e la conseguente riduzione dei livelli dell'enzima glicolato ossidasi (GO) negli epatociti. Lumasiran è stato approvato nel 2020 sia dall'EMA che dalla FDA e rappresenta un vero punto di svolta per la gestione dei pazienti con PH1.

“Stiamo entrando in una nuova fase del trattamento dell'iperossaluria primitiva”, proseguono Justine Bacchetta e il collega statunitense John C. Lieske in una delle pubblicazioni contenute nel supplemento del Clinical Kidney Journal. “I risultati ottenuti con le terapie RNAi attualmente disponibili dimostrano una significativa riduzione dell'escrezione urinaria di ossalato nei pazienti con PH1. L'approccio RNAi mirato al fegato rappresenta una rivoluzione nel campo della patologia”, concludono gli esperti. “Questo tipo di terapia porta quindi una grande speranza alle famiglie e ai pazienti, che in futuro potrebbero essere in grado di evitare il doppio trapianto di fegato e rene (e persino il trapianto di rene se l'RNAi viene avviato all'inizio del decorso della malattia), nonché di subire un minor numero di eventi di calcoli renali, forse con regimi terapeutici meno rigidi”.

IL PUNTO DI VISTA DEL NEFROLOGO PEDIATRICO: LE QUESTIONI ETICHE

In età infantile, l'ossalosi, ossia l’accumulo di ossalato nei reni e negli altri organi, presenta sempre grandi difficoltà per il medico: secondo un recente studio del registro europeo (abstract OP-32), in 95 pazienti con questa patologia nati tra il 1980 e il 2018 è stata riscontrata una mortalità precoce del 28%, che però è fortemente diminuita nel corso del tempo. Dati in linea con uno studio precedente, che ha rilevato una mortalità a 3 anni nel 26% dei bambini con iperossaluria primitiva di età inferiore a 2 anni. Inoltre, i pazienti con ossalosi infantile avevano un rischio di morte precoce 3,4 volte maggiore rispetto ai pazienti con PH di età superiore a 2 anni all'inizio della terapia sostitutiva renale. Lo stesso studio, infine, ha riportato una significativa diminuzione del rischio di mortalità nella PH infantile dopo l'anno 2000.

Queste cifre, tuttavia, riguardano pazienti provenienti dai Paesi occidentali, come sottolineano l'israeliano Efrat Ben-Shalom e gli olandesi Sander F. Garrelfs e Jaap W. Groothoff nel loro studioLa formazione di calcoli renali (urolitiasi) in età pediatrica è una condizione endemica nei Paesi del Nord Africa e dell'Asia centrale a causa di diversi fattori, come il clima caldo e le abitudini alimentari. In Asia centrale i tassi di prevalenza dell'urolitiasi raggiungono il 15% nei bambini sotto i 15 anni, rispetto all'1-5% delle nazioni occidentali. In uno studio indiano, l'iperossaluria è stata riconosciuta come causa di calcoli renali pediatrici addirittura nel 40% dei casi. “Anche l'incidenza della stessa PH è molto più alta in questi Paesi, a causa di un elevato tasso di consanguineità”, spiegano Ben-Shalom e i colleghi.

“In Arabia Saudita, ad esempio, l’iperossaluria primitiva è stata segnalata come causa primaria di insufficienza renale pediatrica allo stadio terminale nel 10,7% dei casi, mentre un centro di dialisi nel nord di Israele ha riferito che il 38% dei loro pazienti in dialisi erano persone con PH di origine drusa-araba. Le scarse risorse, le infrastrutture inadeguate e la mancanza di strumenti diagnostici per il monitoraggio della malattia sono tutti elementi che possono rendere complicato curare i bambini che vivono in luoghi come il Medio Oriente e il Maghreb”.

In Italia, invece, la qualità delle cure per questa patologia nella popolazione pediatrica è elevatissima. L'unica difficoltà risiede nel fattore tempo: come spiega il prof. Francesco Emma, responsabile della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, “il lumasiran blocca la produzione in eccesso di ossalato, quindi se viene dato in tempo ne evita l'accumulo e le relative complicanze, protegge i reni e di fatto cura la malattia. La diagnosi, però, deve essere molto rapida e avvenire il prima possibile, quando non si sono ancora formati depositi sistemici”.

LE OPZIONI DI TRATTAMENTO PER I PAZIENTI ADULTI

Finora, come dicevamo, la gestione dei pazienti adulti con iperossaluria persistente e rischio di formazione di calcoli si è basata su un'elevata assunzione di liquidi e sull'uso di inibitori della cristallizzazione come gli alcali di potassio, che possono ridurre il rischio di calcoli, sebbene non ci siano studi nei pazienti con PH. Come fanno notare Shabbir H. Moochhala (Londra) ed Elaine M. Worcester (Chicago) nel loro studio, la fonte di ossalato è per lo più endogena, quindi una dieta a basso contenuto di ossalato sarebbe di scarso beneficio. Evitare il sale, l'uso di diuretici e l'ipovolemia è invece prudente per prevenire la formazione di cristalli di ossalato di calcio nel nefrone, che possono causare il deterioramento della funzione renale.

“Molti pazienti diagnosticati nell'adolescenza arrivano fino all'età adulta senza lo sviluppo di malattia renale allo stadio terminale: quelli che hanno una buona risposta alla terapia con piridossina possono normalizzare l'escrezione urinaria di ossalato e mantenere una buona funzione renale. In altri, l'escrezione di ossalato rimane elevata, con rischio sia di calcoli e nefrocalcinosi, sia di un'eventuale progressione a malattia renale allo stadio terminale, e la formazione di calcoli ricorrenti può rendere necessarie procedure per la loro rimozione”, spiegano gli autori. “Con l'avvento di farmaci efficaci per ridurre l'ossalato, cioè gli agenti che inibiscono gli enzimi della via epatica dell'ossalato come la glicolato ossidasi, potrebbe esserci un impatto sulla prognosi a lungo termine, sia per la funzione renale che per la recidiva dei calcoli”.

Una valutazione condivisa dalla dr.ssa Giorgia Mandrile, dirigente medico della SSD Microcitemie e della funzione di Counselling genetico presso l'AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino), che ha recentemente riassunto in una pubblicazione gli ultimi trent'anni di esperienza nel trattamento dell'iperossaluria primitiva in Italia. “È stato fatto tanto per cercare di aumentare l'efficienza diagnostica, ma purtroppo i risultati non sono ottimali. Se valutiamo il tempo intercorso fra l'insorgenza dei sintomi e la diagnosi, questo rimane ancora molto lungo e non è sostanzialmente modificato nelle diagnosi più recenti (quattro anni per le diagnosi prima del 2010, tre anni per le diagnosi successive al 2010), per cui abbiamo ancora molto da lavorare”, sottolinea la dr.ssa Mandrile. “La necessità di una diagnosi tempestiva è sempre più pressante, non solo per ridurre l'odissea diagnostica delle famiglie ma anche per garantire l'accesso alle nuove terapie con RNA interference, che sono da poco disponibili e che potrebbero essere di grande aiuto”.

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