Il caso clinico illustrato dalla dr.ssa Marina Di Luca (Pesaro) evidenzia il rischio di insufficienza renale cronica in assenza di una diagnosi precoce
Pesaro – “Se ci fosse stata l'identificazione precoce della malattia, non saremmo stati costretti ad avviare una dialisi urgente in un paziente così giovane”, riflette la dr.ssa Marina Di Luca, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi presso l'ospedale di Pesaro. Il caso clinico che racconta è quello di un ragazzo di 33 anni, e la malattia in questione è l'iperossaluria primitiva di tipo 1 (PH1), una patologia genetica ultra-rara, a trasmissione autosomica recessiva, che colpisce da uno a tre individui su un milione in Europa e negli Stati Uniti ed è responsabile dell’1-2% dei casi pediatrici di insufficienza renale terminale.
L’esordio dei sintomi varia dall’infanzia alla sesta decade di vita, e la malattia spesso non viene riconosciuta per diversi anni. La PH1 è caratterizzata da una sovrapproduzione di ossalato nel fegato, che provoca la deposizione di cristalli di ossalato di calcio nei reni e nel tratto urinario e può portare alla formazione di nefrocalcinosi e a calcoli renali dolorosi e ricorrenti. La malattia è associata a un progressivo declino della funzionalità renale che esacerba la condizione, poiché l'ossalato in eccesso non può più essere espulso efficacemente e si accumula nelle ossa, negli occhi, nella pelle e nel cuore.
Dottoressa Di Luca, ci può illustrare brevemente il caso clinico?
“Il giovane paziente è giunto alla nostra osservazione per il riscontro di una severa insufficienza renale associata a sintomatologia uremica, per la quale è stato avviato un trattamento dialitico trisettimanale. Dall’anamnesi patologica è emersa una storia di litiasi recidivante ostruente radiopaca (almeno cinque episodi). Il mancato beneficio del posizionamento di stent ureterali bilaterali ci ha fatto escludere l’origine ostruttiva delle manifestazioni; l'ecografia e la TAC hanno poi riscontrato un quadro di imaging suggestivo di nefrocalcinosi. Abbiamo perciò eseguito una biopsia renale, che ha diagnosticato una nefrite interstiziale cronica avanzata, secondaria a depositi di ossalato (nefropatia da cristalli di ossalato). In seguito abbiamo eseguito un dosaggio di ossalemia e ossaluria, iniziato la terapia con vitamina B6 e inviato il paziente al test genetico per la ricerca di mutazioni connesse a iperossaluria primitiva. Il test genetico ha confermato il sospetto, con il riscontro di una delle mutazioni più frequenti in letteratura associate a iperossaluria primitiva di tipo 1, che non risulta responsiva alla terapia con vitamina B6. Il paziente è stato avviato al trattamento con il farmaco lumasiran ad uso compassionevole”.
Come avviene la diagnosi di iperossaluria e perché nel caso in questione è stata così tardiva?
“La diagnosi di iperossaluria avviene sulla base dell’anamnesi (generalmente positiva per calcolosi ricorrente in età giovanile), mediante ricerca di ossalati su plasma e urine e infine mediante test genetico per la ricerca di mutazioni dell’enzima AGT. Il paziente è giunto alla nostra attenzione solo al momento del riscontro di insufficienza renale cronica all'ultimo stadio: non erano stati eseguiti precedenti studi metabolici, né analisi chimiche sui calcoli rimossi. Dal momento del sospetto clinico, la prima ricerca degli ossalati sulle urine è risultata negativa ed è stato necessario attendere i referti dei laboratori esterni relativi ai dosaggi di ossalemia e ossaluria, oltre che del test genetico per la conferma della diagnosi. Questi risultati sono pervenuti successivamente a quello della biopsia renale, che comunque era già di per sé diagnostica”.
Quali effetti ha avuto sul paziente la terapia con lumasiran, e quali effetti avrebbe potuto avere se la diagnosi fosse stata più precoce?
“Lumasiran è un farmaco che si basa sulla tecnologia dell’RNA interference (RNAi) e che ha come target terapeutico specifico l’mRNA del gene HAO1, il quale codifica per la glicolato-ossidasi, al fine di inibire la produzione di ossalato. Purtroppo questa terapia è stata iniziata tardivamente, quando il danno renale si era ormai instaurato in maniera irreversibile; tuttavia sono stati esclusi al momento della diagnosi e allo stato attuale altri coinvolgimenti d’organo (osseo, oculare, cardiaco, ghiandolare, vascolare e del sistema nervoso). Una diagnosi e un avvio della terapia precoci avrebbero potenzialmente rallentato, se non evitato, la progressione del danno renale. Ciò avrebbe consentito al paziente di rimandare l’avvio del trattamento dialitico o di non intraprenderlo affatto”.
Quali sono le speranze per il futuro di questo ragazzo, riguardo al suo stato di salute e alla qualità di vita?
“La speranza è che l’avvio della terapia con lumasiran possa aver evitato al paziente ulteriori danni ad altri organi. D’altro canto è auspicabile che questa terapia lo abbia messo nelle condizioni migliori possibili per affrontare un trapianto, che ci auguriamo sia prossimo e che possa migliorarne nettamente la qualità di vita”.
Cosa ci può insegnare questo caso clinico?
“Occorre pensare che, sebbene sia una malattia genetica rara, la PH1 esiste ed è necessaria una sensibilizzazione generale, in particolare nei confronti dei colleghi urologi a cui questi pazienti giungono spesso in un primo momento all’attenzione. Fra tutti i casi di calcolosi, andrebbero selezionati quelli meritevoli di ulteriori approfondimenti diagnostici (episodi ricorrenti, giovane età, anamnesi familiare positiva per litiasi o malattia renale) al fine di giungere ad una diagnosi il più precoce possibile e indirizzare correttamente il successivo percorso del paziente. Sarebbe auspicabile l’avvio precoce delle terapie ad oggi disponibili e un adeguato follow-up, oltre ad una informazione corretta tale per cui, almeno, non ci si debba trovare ad avviare una dialisi urgente in un paziente giovane adulto. Riteniamo quindi fondamentale una più stretta collaborazione urologo-nefrologo, che consentirebbe di inviare a quest’ultimo i casi che necessitano di approfondimenti diagnostici specifici: in particolare, tutte le forme a rischio di evoluzione verso l’insufficienza renale e le forme recidivanti”.
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