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Studio Europeo mostra un tempo medio di un anno e mezzo, con casi limite fino a 12 anni

“Ero arrabbiato e turbato, ci sono voluti più di 2 anni per ottenere una diagnosi e mi sono sentito come se nessuno dei medici se ne curasse”. A raccontarlo è un paziente italiano che ha partecipato allo studio Doxa 'Vivere con la Fibrosi Polmonare Idiopatica’ commissionato da InterMune e pubblicato a Novembre 2011 su Chronic Respiratory Disease.

“Il mio medico non aveva neanche mai auscultato i miei polmoni prima di mandarmi alla clinica di cardiologia e io sono senza fiato, pensate” racconta un altro paziente, inglese. Un’osservazione giusta visto che la Fibrosi Polmonare Idiopatica è caratterizzata da riduzione del volume dei polmoni e respirazione difficoltosa (dispnea) che, peggiorando progressivamente, limitano l’attività fisica di routine fino ad impedirla. Diagnosticarla però rimane ancora difficile a causa della non specificità dei sintomi che la caratterizzano, della limitata conoscenza delle cause scatenanti e della scarsità di terapie disponibili. L’età media dei 45 partecipanti allo studio era di 67 anni e al 60 per cento di questi la malattia era stata diagnosticata nei 5 anni precedenti; solo per il 16 per cento la IPF era stata confermata prima del 2000, anno in cui sono stati fissati gli attuali criteri diagnostici. Il tempo medio trascorso tra l’insorgenza e la diagnosi confermata è stato di un anno e mezzo, con casi limite che vanno da meno di una settimana a ben 12 anni. Nel 58 per cento dei casi il ritardo ha comunque superato i 12 mesi e il 55 per cento degli intervistati aveva consultato 3 o più medici prima di ricevere la diagnosi.


“Nonostante sia chiaro che i percorsi e le esperienze di ogni paziente siano unici – spiegano i ricercatori - sono apparse evidenti due diverse strade che hanno portato alla diagnosi: la più comune è caratterizzata da un’iniziale scarsa attenzione verso i sintomi, seguita da ripetute visite mediche (generalmente presso un medico di base o un cardiologo) per ulteriori esami. Questo percorso, seguito dal 58 per cento dei pazienti (26 su 45), è stato generalmente interrotto da un ‘evento acuto’ – ad esempio un attacco ischemico transitorio o una polmonite - che frequentemente ha portato al ricovero ospedaliero e alla definitiva diagnosi di IPF da parte di uno pneumologo. La durata di questo percorso è stata di 2-12 anni. Nella minoranza dei casi, solo il 16 per cento, la diagnosi è arrivata entro un mese dalla comparsa iniziale dei sintomi. In questi casi la scoperta iniziale è stata attribuita a un paziente ben informato, grazie alla ricerca online dei sintomi o ad un medico ben informato che, grazie alla auscultazione del petto, ha sentito i tipici “rantoli a Velcro®” e ha suggerito ulteriori esami”.
Questi due tipi di percorsi cambiano non solo il tempo di attesa della diagnosi ma anche il vissuto dei pazienti. Chi ha impiegato più tempo spesso ha anche avuto diagnosi  o ipotesi diagnostiche errate; le più comuni sono state asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), polmonite, pertosse, pleurite e pericardite. In entrambe i gruppi molti si sono detti insoddisfatti del modo in cui la diagnosi è stata comunicata e sono state segnalate mancanza di sensibilità da parte del personale sanitario e poco tempo a disposizione per ascoltare o indirizzare le domande e le preoccupazioni dei pazienti. Che a volte il dialogo medico paziente non sia dei migliori lo testimoniano bene i racconti di alcuni dei pazienti intervistati.

“Lo pneumologo- ha detto un paziente francese -  mi disse che non avrei capito nulla se mi avesse spiegato cos’è la fibrosi. So di non essere andato all’università ma penso che, se mi avesse spiegato le cose, sarei stato in grado di ricordare qualche dettaglio. Ho l’impressione che mi aiuterebbe sapere di più della mia condizione”. “Mi fu detto – racconta invece un paziente inglese – ‘lei ha questa malattia e non c’è una cura’. Non mi spiegarono nulla al riguardo. Cercai su Google e uscì un sito, diceva che l’aspettativa di vita è di 2-5 anni. Avevo questa malattia da qualche anno e ho pensato ‘ oh santo cielo morirò quest’anno!’  Ero molto spaventato, penso proprio che questa cosa sia stata gestita male.”

Clicca qui per lo studio completo (Traduzione in Italiano a cura di Anna Maria Ranzoni per Osservatorio Malattie Rare)
Clicca qui per lo studio in inglese (English Version)

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