Il prof. Luca Richeldi: “Tante le molecole in sperimentazione, tre delle quali sono già in fase avanzata”
Roma – Non è decisamente un periodo proficuo per la ricerca sulla fibrosi polmonare idiopatica (IPF): nonostante le molecole in sperimentazione siano diverse, poche riescono a dimostrarsi efficaci, migliorando la funzionalità respiratoria. Il quadro delle opzioni terapeutiche è sostanzialmente invariato dall'approvazione – ormai quindici anni fa – dei primi farmaci antifibrotici, il pirfenidone e il nintedanib, sicuri ed efficaci nel rallentare la progressione di malattia. Nei prossimi mesi, però, qualche buona notizia potrebbe arrivare.
“La fibrosi polmonare idiopatica è una patologia polmonare cronica e progressiva, le cui cause sono sconosciute”, spiega il prof. Luca Richeldi, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Pneumologia della Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” IRCCS e Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma. “In Italia non ci sono dati precisi sulla sua incidenza, che in altre nazioni è di 20 casi su 100.000 persone; nel nostro Paese, quindi, si possono ipotizzare circa 20.000 pazienti, e 5.000 nuovi casi ogni anno”.
La prima delusione, per i pazienti affetti da IPF, è arrivata nel febbraio 2023, quando Roche annunciò di aver interrotto per futilità [l'incapacità di uno studio clinico di raggiungere i suoi obiettivi, N.d.R.] il trial di Fase III STARSCAPE, che stava valutando l'efficacia e la sicurezza della proteina ricombinante umana pentraxina-2 (rhPTX-2; PRM-151), una molecola che agisce sui macrofagi, bloccando l’attività di quelli profibrotici. Già nella Fase II, comunque, il farmaco acquisito dalla biotech Promedior non aveva dimostrato un aumento della capacità vitale forzata (FVC, una misura della funzione polmonare), ma solo un calo leggermente inferiore rispetto al placebo.
La stessa sorte è toccata, pochi mesi dopo, al pamrevlumab, un farmaco a somministrazione endovenosa come la pentraxina, sviluppato da FibroGEN: neanche questo anticorpo monoclonale, diretto contro un fattore di crescita per il connettivo, è riuscito a dimostrare di poter avere un impatto sulla funzionalità respiratoria; il suo studio di Fase III, chiamato ZEPHYRUS I, non ha raggiunto l'endpoint ed è stato sospeso.
“Ma la ricerca per l'IPF prosegue: ci sono diversi altri studi in corso, e speriamo che forniscano dati positivi”, si augura il prof. Richeldi. “Quelli in fase più avanzata (Fase III) si svolgono anche in diversi centri italiani e riguardano due farmaci conosciuti con una sigla: BMS-986278, un antagonista orale del recettore 1 dell'acido lisofosfatidico (LPA1) prodotto da Bristol-Myers Squibb, e BI 1015550, un inibitore delle fosfodiesterasi 4b sviluppato da Boehringer Ingelheim. Il primo trial terminerà nell'ottobre 2026, mentre per il secondo i risultati arriveranno già nel novembre di quest'anno. C'è infine il treprostinil, farmaco per inalazione di United Therapeutics che fa parte della categoria degli analoghi della prostaciclina: gli studi di Fase III TETON e TETON-2 termineranno entrambi nel giugno 2025; il primo si svolgerà solo negli Stati Uniti e in Canada, il secondo in tanti altri Paesi fra cui l'Italia”, conclude Richeldi.
Ma se guardiamo un po' più indietro, nella precedente fase di sviluppo, anche questo scenario è affollato: il bexotegrast di Pliant Therapeutics ha ottenuto dati positivi in uno studio di Fase IIA ed è testato in un altro studio globale di Fase IIB, BEACON-IPF. Infine, due inibitori delle autotassine: il cudetaxestat di Blade Therapeutics è in Fase II, con il trial RESPIRARE, così come BBT-877, della coreana Bridge Biotherapeutics.
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