Le due giovani sono arrivate in Italia con la loro famiglia grazie all’associazione “Le Ali di Camilla”: ora potranno ricevere le necessarie cure mediche
Tra le tante immagini di guerra, sofferenza e distruzione che arrivano dall’Ucraina in queste settimane, ogni tanto, fortunatamente, vi è anche qualche storia che porta con sé speranza e un lieto fine: è il caso della vicenda di due sorelle ucraine, di 30 e 32 anni, affette da epidermolisi bollosa, che sono riuscite a fuggire dalla guerra e a recarsi a Modena, dove riceveranno cure e sostegno presso il Policlinico della stessa città, eccellenza internazionale per questa malattia rara.
L'epidermolisi bollosa (EB) è una malattia genetica ereditaria, rara e invalidante, che provoca bolle e lesioni in corrispondenza della pelle e delle mucose interne, sintomi che possono verificarsi a causa della più lieve frizione o persino spontaneamente. La patologia è nota anche come “sindrome dei bambini farfalla”, facendo riferimento alla fragilità dei pazienti, accomunata a quella proverbiale delle ali di una farfalla. La presa in carico del paziente consiste nell'evitare la comparsa delle bolle, tramite una meticolosa protezione della cute e l'adozione di stili di vita appropriati, che limitino i traumi, e nel prevenire le infezioni secondarie mediante un'attenta cura delle ferite.
Le due giovani ucraine, sono arrivate a Modena dopo un viaggio di quattro giorni, accompagnate da altri sei familiari, grazie all’Associazione “Le Ali di Camilla” che da anni aiuta i pazienti che si recano a Modena per le cure, supporta la ricerca sull’epidermolisi bollosa e fa parte dell’Alleanza Malattie Rare (AMR).
La presidente, Stefania Bettinelli, ci racconta com’è andata: “Quando ho sentito che era scoppiata la guerra in Ucraina, e ho visto le terribili immagini delle folle di profughi che si ammassavano nei treni per scappare o nei bunker, mi sono chiesta: come faranno i bambini affetti da epidermolisi bollosa? Sono soggetti fisicamente molto fragili e non possono subire traumi. Quindi ci siamo subito attivati prendendo contatti con l’associazione ucraina dei “bambini farfalla” e, aiutati dall’Associazione Debra Alto Adige (anch’essa membro dell’Alleanza Malattie Rare e impegnata nell’assistenza ai bambini farfalla), abbiamo contattato l’associazione Debra International dando la nostra disponibilità per accogliere a Modena, dove la nostra associazione opera, le famiglie bisognose”.
“Come prima cosa – racconta Stefania Bettinelli - abbiamo inviato un particolare latte artificiale per neonati in Polonia, per una piccola “bambina farfalla” che poteva assumere solo una determinata marca di latte che in Polonia non si trova. Successivamente è arrivata la richiesta di ospitalità da parte di dieci persone, poi diventate otto, che stavano arrivando in Italia ma non sapevano dove andare. Si trattava della famiglia di queste due ragazze. Recuperata la famiglia all’aeroporto di Ancona, li abbiamo portati a Modena, facendo tutta la trafila necessaria: ci siamo recati con loro all’ASL, per fare il controllo di profilassi per il COVID-19, e per ricevere un codice temporaneo di assistenza che implica l’assegnazione di un pediatra, che consente ai pazienti ucraini di ricevere le cure necessarie in Italia. Poi siamo andati in questura per segnalare la presenza di questa nuova famiglia sul territorio e ci siamo messi in contatto con i servizi sociali, la prefettura e le associazioni umanitarie del posto, affinché venissero presi in carico nel progetto dedicato ai profughi offerto dal governo”.
“L’aiuto che abbiamo ricevuto da tutti è stato commuovente”, spiega Bettinelli. “Chi ci ha dato dei pasti attraverso le associazioni, comuni cittadini che ci ha donato coperte, piatti, utensili: siamo riusciti a mettere in piedi una casa in sole 24 ore, rendendo abitabile un’abitazione vuota: qui ci staranno fino a quando non potranno rientrare in Ucraina in sicurezza. Anche dalla comunità ucraina locale abbiamo ricevuto molto supporto. La famiglia che abbiamo aiutato è molto contenta per l’accoglienza, avevano scelto l’Italia un po’ a caso, solo perché hanno una parente che lavora come badante nel nostro Paese. Al Policlinico di Modena le due ragazze “farfalla” avranno diritto allo stesso trattamento dei pazienti italiani, quindi potranno ricevere medicazioni e cure. L’unica grossa difficoltà che abbiamo avuto è stata la barriera linguistica: loro non parlavano nessun’altra lingua al di fuori della loro, quindi abbiamo avuto bisogno di un mediatore.”
“Come associazione – conclude Bettinelli – stiamo facendo preventivamente una ricognizione all’interno delle nostre famiglie, in tutta Italia, per capire se anche altri possano muoversi come abbiamo fatto noi, per ospitare nel lungo periodo altre famiglie bisognose. Avere malattia rara è già un incubo, se poi si è stranieri non si può finire in un punto qualunque in Italia e rimanere abbandonati a sé stessi. Vogliamo garantire a queste famiglie un ambiente protetto, in grado di prendersi cura di loro, lontano dagli orrori della guerra”.
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