Nel libro ‘Le conseguenze indesiderate del progresso medico’ la malattia usata come paradigma

Il progresso medico, nella sua volontà di dare risposte a delle malattie, può raggiungere il suo scopo e, paradossalmente, condannare a una vita peggiore e anche più breve le stesse persone che sta curando. Sono gli ‘effetti collaterali’ del progresso medico, le sue conseguenze indesiderate.  Non è solo una ipotesi teorica e in questo la storia delle terapie per l’emofilie può essere considerata un paradigma. È proprio in questo modo che la intende il prof. Stephen Pemberton del New Jersey Institute of Technology. “The Bleeding Disease: Hemophilia and the Unintended Consequences of Medical Progress”, appunto è il titolo del suo ultimo libro, edito dalla John Hopkins University Press che si concentra sulle conseguenze indesiderate del progresso medico sulla vita delle persone affette da questa malattia genetica del sangue. Il libro racconta la storia promettente, ma anche pericolosa, degli sforzi medici e sociali per la gestione emofilia nel ventesimo secolo in America. Provocatoriamente, il libro utilizza anche l'emofilia e la sua storia per far luce su numerosi problemi che hanno dovuto affrontare gli americani come conseguenza della loro ricerca di aiuto e soluzioni per alcuni mali da cui erano afflitti. Il libro ripercorre la storia della ricerca di terapie per la malattia focalizzandosi sul cambiamento avvenuto nel 1970, quando la rivoluzione terapeutica promise che, nei decenni a venire, l’emofilia sarebbe stata trasformata da una oscura malattia ereditaria in un disturbo della coagulazione gestibile.

Ma la gloria di questo risultato è stato di breve durata, afferma Pemberton. Gli stessi trattamenti che hanno permesso ad alcune persone affette da emofilia di raggiungere la ‘normalità’ hanno portato a risultati inaspettatamente fatali un numero impressionante di persone con l’avvento degli anni ’80 e dunque con la scoperta che molti avevano contratto HIV-AIDS ed epatite C.
Nel libro Pemberton chiede: "Cosa significa per la medicina moderna e la società il fatto che uno dei nostri più avanzati  sforzi per gestire le malattie e promuovere la salute abbia di fatto, all’opposto, favorito per molti la debolezza o anche la morte prematura?". In tal senso la storia della gestione dell’emofilia può essere vista come un successo ma anche come un avvertimento. La conquista della normalità è certamente stata un successo, scaturito anche dalla spinta nata negli anni ’50 – ’60 di un movimento di difesa dei pazienti che ha voluto rompere l’isolamento sociale e l’atteggiamento iper-protettivo nei confronti dei ragazzi e degli uomini affetti dalla forma più grave della malattia. Ecco però che questa ricerca continua di normalità, condotta insieme ai medici, all’industria del sangue  e anche alle istituzioni abbia anche avuto delle conseguenze non intenzionali.
"Ho pensato – ha detto Pemberton - che fosse importante mostrare ai lettori l'ironia e conseguenze non intenzionali che sono inerenti a molti dei nostri continui sforzi per gestire la malattia. Nel caso dell’ emofilia, ci fu uno sforzo collettivo per trasformare le speranze dei pazienti di una vita normale in una merce acquistabile. Ironia della sorte, questa strategia ha reso fin troppo facile per gli attori chiave e le istituzioni negli Stati Uniti ignorare i pericoli potenziali di fornire una maggiore salute e autonomia. Così, nella ricerca di normalità, i nostri esperti medici e dei loro alleati prodotto l'opposto del normale, e fu uno tra i gruppi più vulnerabili in America che hanno pagato il prezzo più alto per questo errore ".

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